È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!




Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

L'uragano

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 23:25
OFFLINE
Email Scheda Utente
20/07/2009 20:24
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'uragano - parte prima
La noia è una malattia fomentata dall'intelligenza recettiva.
Maggiore è la capacità di apprendere, più si corre il rischio di annoiarsi, perché le nozioni finiscono (o si smarrisce il senso della cultura nozionistica), le emozioni provate e recepite si sbiadiscono nella ripetizione quotidiana e a quarant'anni il temporale cittadino, rivissuto decine di volte, ha saturato la memoria di scrosci e lampi e tuoni sempre uguali.
Io cerco l'uragano di montagna che mi percuota con le grandinate, che mi lavi i circuiti arrugginiti o inquinati da milioni di parole e di gesti ripetuti all'infinito, che mi aspiri l'aria dai polmoni e la sostituisca con l'acqua gelida. Che cancelli, infine, la mia sapienza erotica e mi regali una nuova ingenuità, da annerire lentamente col carboncino, come disegnavo le ombre sui fogli bianchi al liceo, quando non conoscevo giochi più emozionanti delle mie masturbazioni.
Oggi, anche i miei quadri astratti hanno perso la fragranza dell'ingenuità, appaiono costruiti e meditati e stanno assumendo una compostezza adulta, fatta di accostamenti di colori e forme equilibrati, organicamente inseriti nello spazio imposto dalla superficie, e sono lo specchio fedele della mia serenità psichica raggiunta dopo decenni di tumulti istintuali.
Ma a guardare bene, soprattutto nell'ultima serie di "(s)composizioni", si scorgono, in ognuno dei dipinti, alcuni indizi del mio disagio attuale, temporaneo forse, che fra qualche anno, probabilmente, sarà superato e archiviato definitivamente. Scaturisce dalla vitalità del mio corpo, ancora giovane, o dalle funzioni di esso che non mi appaiono gran che dissimili da quelle di vent'anni fa, il quale è costretto ad assecondare, suo malgrado, la sopravvenuta coscienza di adulto, esattamente come le forme, oggi, si adattano alle dimensioni imposte dalla tela.
Perciò le disposizioni geografiche a volte sembrano azzardate, come lo sono alcuni abbinamenti di colori apparentemente inconcepibili, il rosa pallido e il verde veronese, il giallo limone e il celeste turchese, l'ocra chiara e il violetto.
Insieme alla mia serenità, dipingo il disagio naturale per averla finalmente raggiunta.
E se me ne rendo conto cerco di fuggire, per ripercorrere a ritroso la strada che mi ci ha condotto, per godere ancora le gioie del percorso, le difficoltà della ricerca, anche le emozioni dei traguardi aspirati che non appaiono più, una volta raggiunti, la fonte di benessere che sognavo.
Forse perché la vera gioia consiste nell'esecuzione dei progetti.
Scomporre è altrettanto piacevole che comporre, distruggere lo è altrettanto quanto costruire. Il rischio è, essenzialmente, fermarsi nell'azione compiuta.
La conquista della serenità è stata, per me, una lunga battaglia che mi ha appassionato, stranamente, e, come un vecchio guerriero, conservo le mie ferite come cimeli, da mostrare a coloro che non hanno conosciuto la crudeltà di una guerra.
E come un vecchio soldato, istupidito (o estremamente saggio, chissà?), sono pronto a partire per un nuovo fronte.

Le due sorelle mi avevano sfrattato dal divano. Si erano sedute accanto a me costringendomi stretto stretto in un angolino scomodo proprio mentre stavo cominciando a gustare il mio riposo, il bicchiere di Cirò ed il Toscano. Dovevano stare larghe e affondate nei cuscini per potersi abbracciare, dimenando le gambe che roteavano nell'aria come spade. Perciò mi alzai e mi accomodai sulla sedia di fronte a loro portandomi appresso la bottiglia.
La visuale fu splendida e mi ripagò della scortesia subita perché potei dissetare i miei occhi con le cosce ben tornite di Lucrezia fasciate dai collant chiari, che si sollevavano spesso per mostrarmi anche i glutei sodi e invitanti. Continuai a sorseggiare il mio vino e ad aspirare voluttuosamente il sigaro, assaporando il liquido tra la lingua ed il palato per poi sostituirlo rapidamente col gusto del fumo caldo ed acre mentre il seno di Laura, a stento contenuto dalla maglietta nera, fluttuava scosso dalle sue risa e dagli spintoni maliziosi della sorellina.
Riuscivo così a non annoiarmi fingendo di ascoltare i loro discorsi o di ammirare il colore del vino sollevando il bicchiere contro la lampadina.
- I maschi sono tutti stronzi! - esordì Lucrezia, ma mi resi conto ch’era solo l'epilogo di una conversazione con la sorella, immaginai sulla onestà sentimentale degli uomini, il vecchio argomento che continuava a tenere banco durante i nostri incontri e che serviva da capsula detonante per innescare le nostre belle litigate.
Mi guardava dal basso verso l'alto al di sopra degli occhiali e aspettava impaziente che cogliessi la provocazione, come se prolungare la serata polemizzando con me avesse potuto placare il suo senso di colpa che, come al solito, precedeva di qualche ora la sua uscita con il ragazzino di turno.
- Però ti piacciono. - le risposi senza guardarla - Mi sembra di ricordare che il più stronzo di tutti, quel Roberto che le prende e le molla a due a due, ti piace ancora. E se potessi mettere da parte la stima che vuoi conservare di te, con lui ci torneresti subito. Non è così?
Le mie considerazioni crude ed impietose la facevano sempre sobbalzare come se la stessi sculacciando, facendola urlare non so (e non lo sapeva nemmeno lei) se di dolore o di piacere.
- Certo - sorrise amaro - più sono stronzi e più mi piacciono. Cosa ci posso fare?
- Potresti non andare con gli uomini. O cercartene uno tranquillo, che ti ami davvero e non voglia solo scoparti.
- Ecco, vedi - intervenne Laura - perché attirano di più gli uomini disonesti, arroganti, cattivi e non, invece, i ragazzi buoni... come Armando, per esempio, ch'era pazzo di te e tu non l'hai nemmeno filato?
- Ma Armando era troppo tranquillo - confermò Lucrezia seccata di dover ripetere sempre la stessa cosa. - Un uomo deve farti stare sulla corda. Altrimenti che gusto c'è? Cosa me ne faccio di uno che sa dirmi solo ti amo, vivo solo per te, ti penso sempre? Queste cose mi annoiano.
- Certo - la interruppi con cattiveria - è molto meglio se ti pianta qualche cornino o ti rifila una sberla di tanto in tanto, per farti capire ch'è un vero maschio.
- A me le sberle non le ha date mai nessuno.
- E sarebbe ora che qualcuno cominciasse, per farti calmare un po'.
Un sorriso speranzoso le illuminò il visino e mi guardò con il miglior atteggiamento di sfida che sapesse esprimere.
- Chi, per esempio?
- Proprio io. Mi piacerebbe darti uno schiaffo su quel viso impertinente. - le risposi mostrandole la mia grande mano aperta.
- ...Provaci! - mi sfidò apertamente, sicura che l'avrei fatto.
Mi alzai e mi avvicinai a lei che rimase immobile porgendo bene la guancia, assumendo un atteggiamento che avrebbe voluto far credere ch'era sicura che non l'avrei toccata.
Avvicinai la mia mano alla sua guancia, mi fermai un attimo guardandola negli occhi con un sorriso beffardo e le mollai un ceffone.
- Ah... come ti permetti!? - gridò tenendosi la faccia senza riuscire a reprimere un sorriso.
- Mi hai detto provaci ed io ci ho provato. Quando ne vorrai un altro dimmelo.
- Non ti permettere! Ma lo hai visto? - si rivolse indignata alla sorella - E tu non dici niente?
- Ma dai - recitò anche Laura - lo sai che ti vuole bene; era solo una pacca affettuosa. Ma tu perché lo provochi?
- Io non lo provoco, è lui ch'è un cafone. Non ha argomenti ed alza le mani.
- Va bene - le dissi - ti giuro che non ti picchio più. Per questa sera. Facciamo la pace? - e le tesi la mano fingendo di avvicinarmi minaccioso alla sua guancia rossa.
- No! - disse categorica mentre le accarezzavo il viso. Ma poi si sciolse in un bellissimo sorriso.
Ciò che mi piaceva di Lucrezia era esattamente la sua natura irrequieta e contraddittoria, il suo modo disonesto di trattare gli uomini, il suo aspetto semplice e quasi dimesso che non avrebbe fatto sospettare una personalità così complessa che si scopre, però, frequentandola e dialogando con lei per almeno un paio d'anni.
Perché dapprima si nascondeva ed attuava la sua strategia di seduzione mirando ad inibire le difese naturali dell'uomo che aveva sotto mano, per costringerlo ad innamorarsi di lei così perdutamente ed altrettanto inutilmente dato che quella passione non sarebbe stata per niente ricambiata.
Aveva fatto così con i diversi ragazzi che aveva avuto occasione d'incontrare da quando era stata piantata da Roberto, l'unico che l'aveva trattata con disprezzo ed anche l'unico che lei avesse amato davvero.
Le sue storie cominciavano con l'amicizia, con le uscite insieme per andare al cinema o in pizzeria, proseguivano con le conversazioni notturne in automobile che lei, abilmente, pilotava in direzione del sentimento, dell'amore, fino a spingere il poveretto a confessarle che... sì, gli piaceva molto ma non capiva ancora se era innamorato di lei. Seguivano diversi giorni d'incontri, telefonate, carezze casuali (o quasi), finché lui era cotto al punto giusto da dichiararle il suo amore (o presunto tale) ed allora Lucrezia, soddisfatta, lo abbandonava dopo avergli concesso niente più che qualche bacio e una veloce strusciata.
A quel punto il ragazzo era perduto nella passione che, come succede sempre, meno viene ricambiata più si accende e tormenta.
Lei, la mantide, si nutriva del malessere della sua vittima estemporanea che la esaltava e la faceva sentire donna desiderata riscattando, così, la sconfitta subita col ripudio di Roberto.
In fondo non le importava gran che di instaurare un rapporto fisico col suo corteggiatore, perché la sua sessualità era ancora poco sviluppata.
Da quando la conoscevo avevamo litigato tante volte perché io le dicevo sinceramente ciò che pensavo di lei, le dicevo di conoscerla meglio di quanto si conoscesse lei stessa e lei mi diceva ch'ero un presuntuoso antipatico.
Quasi ogni volta che ci lasciavamo eravamo imbronciati e non ci salutavamo nemmeno. Ma poi ci cercavamo ancora. O le mandavo un bacio tramite Laura o mi telefonava disperata perché, se non facevamo pace, non riusciva più a studiare.
Un giorno mi chiamò alle tre del pomeriggio, la sera prima avevamo litigato di brutto dato che, come al solito, contestavo alcune sue scelte.
- Ciao, sono Lucrezia.
- Lo so che sei Lucrezia, riconosco la tua voce anche se non è stridula come ieri sera.
- Che stai facendo?
- Sto parlando con una che dice di chiamarsi Lucrezia.
- Spiritoso. Non essere scortese, non voglio litigare. Facciamo pace?
- Non ho mai fatto guerra.
- Fai il diplomatico? Davvero, perché non facciamo pace? Non riesco a studiare e ho pure perso la voce.
- Perché non riesci a studiare?
- Perché sono agitata e penso a tutte le cose brutte che mi hai detto ieri sera.
- Anche tu hai detto cose brutte.
- Lo so. Allora, facciamo pace?
- Sei andata via senza darmi nemmeno un bacio.
- Avrei voluto picchiarti.
- Perché non l'hai fatto?
- Perché mi avresti fatto male.
- Forse è questo che vuoi?
- Forse. Allora, pace?
- E pace sia! Fino a quando?
- Fino a stasera.
Sia io che lei eravamo attratti reciprocamente dalle nostre personalità. A me piaceva il suo modo di essere una stronza affascinante e a lei piaceva il modo come uscivo indenne dalla sua trama, scoprendola e criticandola apertamente senza alcun timore di perdere il suo affetto che, invece, avevo conquistato definitivamente.
O forse pensava ancora di sedurmi, magari affinando la sua strategia per adattarla alla mia scaltrezza.
Certo, non aveva ancora pensato a coinvolgermi in un gioco sessuale, l'unico con cui avrebbe potuto travolgermi. O forse, pensavo, aveva rifiutato l'idea perché la sua sorellina non ne sarebbe stata troppo contenta in quanto Laura è mia moglie.
Se fossimo riusciti a proseguire così, saremmo rimasti sempre amici e avremmo litigato ancora per tanti anni, finché le forze mi avrebbero sorretto (non dovevo dimenticare che ho vent'anni più di lei).
Devo dire che, fisicamente, Lucrezia non mi piaceva troppo o meglio, non aveva quelle cose che io cercavo nel corpo di una donna. Il suo seno è piccolo piccolo e se non indossasse il reggiseno non si vedrebbe nemmeno. Io la prendevo un po' in giro, ma solo per sdrammatizzare il suo complesso, e le dicevo che le sue tettine m'incuriosivano e che mi sarebbe piaciuto vederle.
- Cresceranno ancora, vedrai.
- A vent'anni il seno non cresce più.
- Ma sì. Scommettiamo che a venticinque anni porterai la terza misura?
- Guarda, non parliamo del mio seno che vado in depressione. Parliamo del mio culo, ti va?
- Beh, è certo la cosa migliore che hai!
- Schifoso.
- Ora non farmi fare la figura del quarantenne voglioso. Hai detto tu di parlare del tuo culo.
- Cos'hai da dire sul mio culo?
- Solo ch'è il più bel culo che abbia mai visto.
- Non lo hai visto, l'hai solo intuito.
- Tesoro, non fai molto per nasconderlo.
- Perché lo dovrei nascondere? Non ti piace?
- Sì, mi piace. Ma a che serve se non posso darci nemmeno una pacca di tanto in tanto?
- Sei un maiale, ecco cosa sei. E non so come faccia mia sorella a stare con te.
- Perché non lo chiedi a lei?
- Già... Laura, ma come fai a stare con un porco simile? Sai cos'ha detto? che gli piacerebbe darmi una pacca sul culo.
- Beh, lo capisco, con un culetto simile chi non vorrebbe provarci? - aveva risposto Laura che, quando vuole, sa essere anche più depravata della sorella - Io so cosa piacerebbe a Luca, con una mano toccare il tuo culo e con l'altra accarezzare il mio seno - disse manovrando le sue mani come se fossero le mie.
- Brutte schifose - pronunciai indignato - non si tratta così un uomo alle dieci del mattino! - e me ne andai mentre loro sghignazzavano.

OFFLINE
Email Scheda Utente
21/07/2009 21:58
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'uragano - parte seconda
Laura è totalmente diversa da Lucrezia.
Ciò che più affascina in lei è la dolcezza, con la quale mi ha fatto innamorare quasi subito. Io provenivo da un'esperienza disastrosa con una donna autoritaria e arrogante che aveva apparentemente inibito tutta la parte più bella e buona di me.
Stavo per diventare cattivo e arrogante anch'io quando la incontrai e, dapprima, non la riconobbi sembrandomi inverosimile l'esistenza di una ragazza dolce e gentile come lei.
Fui attratto dalla sua quiete e mi adagiai sulla sua spiaggia languida, come un'imbarcazione squassata dall'uragano che raggiunga un golfo placido dove l'acqua è pulita e trasparente, dopo aver solcato per anni un oceano di onde limacciose.
La sua dedizione a volte mi commuove perché penso di non meritarla fino in fondo, soprattutto quando l'aggredisco esponendo le mie vecchie ferite, solo apparentemente guarite, ricucite alla buona per non morire dissanguato.
Con lei ho riscoperto la poesia dei baci che temevo di avere archiviato e che avevo sostituito, durante i miei anni tempestosi, con morsi voraci privi di sensualità. Ho ritrovato la fragranza del corpo di una bimba che esplode ogni sera sul letto offrendomi le sue parti che assaporo separate e poi ricompongo in un gioco allettante accarezzandolo, senza sgualcirlo, con le mani che temevo ruvide e che, invece, si rivelano morbide e infantili.
Laura mi fa sentire bambino, sotto la corteccia rugosa e ostica di adulto che mi aiuta a svestire.
Litigare con Laura è impossibile. Non è aggressiva abbastanza per sostenere nemmeno un banale diverbio e quando, per un motivo futilissimo, riciclo i miei antichi malesseri non ancora del tutto guariti, lei recede per prima rifugiandosi nella tana della sua tranquillità.
Mi lascia a litigare da solo pur senza ignorarmi, guardandomi con i suoi occhioni impauriti che vorrebbero non vedermi ed io me la prendo con me stesso, con la mia irruenza sgarbata e alla fine sono io a rintanarmi rabbioso.
Quando la riprendo, lei è sempre il batuffolo di cotone che avevo respinto rudemente, di nuovo mia per detergere le ferite che avevano ripreso a sanguinare, per stemperare con la dolcezza gl'impulsi astiosi, prodotti dall'odio di infiniti giorni e accumulati dentro di me alla rinfusa.
- Mi ami?
- Mi fai rabbia, per quanto ti amo.
- Dimmi che mi ami.
- E dammi la tua bocca. Lasciala così, morbida, per farmela gustare come se fosse il vino bianco. Labbra dolci di miele. Voglio assaggiare anche il tuo seno. No... non spogliarti, voglio mangiarti così, come una pesca matura. Siediti sul tavolo e lasciati fare tutto. Mi piaci, sì, mi piace tutto di te... e ti amo...
Laura ha un buon sapore, mi piace bagnarle la maglietta e sentire il suo gusto attraverso la stoffa, mi piace soddisfare il mio appetito stendendola sul tavolo della cucina mentre con le dita raccolgo i bocconi prelibati.
Adoro possederla con calma, in tutti i modi possibili consentitimi dal tempo amico del dopo pranzo, tra il tinnire dei bicchieri e delle posate nei piatti vuoti, mentre le voci dei passanti nell'attigua strada assolata eccitano le nostre fantasie narcise ch'esibiscono, per gioco, la violenza e la vergogna del coito.
Poi, sazio, raccolgo le briciole del mio pasto e le conservo nelle tasche della memoria golosa, talmente affaticata dalle passate avversità da rasentare l'avarizia. E durante il resto della giornata posso ruminare un lembo della sua pelle liscia e bianca come il latte, aspirare il suo odore rimastomi sulle dita, rievocare il sapore del suo seno, il solletico dei suoi capezzoli sul viso, e risentire, fra i rumori della città frigida, i suoi brevi lamenti ritmati sulle mie spinte.

Il giorno dopo Lucrezia venne a trovarmi al mio studio, dove trascorro gran parte della giornata, bussò delicatamente alla porta a vetri, quasi per non disturbare, appoggiandovi appena le nocche e dando veloci occhiate furtive attorno a sé, come un'amante segreta che tema il giudizio dei vicini. Aprendo la trovai con le mani incrociate dietro la schiena e mi guardava con l'aria da Alice nel paese delle meraviglie.
- Mi scusi, signor pittore, me lo farebbe un ritratto?
- Mi dispiace deluderla - le risposi serio - ma per i miei nudi cerco modelle molto carine. - e feci per chiudere la porta.
- Scemo!
- Ah, ma sei Lucrezia! Scusa, non ti avevo riconosciuta. Laura non c'è - le dissi - lo sai che la mattina è a scuola. O sei venuta proprio per me? Non oso sperarci.
- Perché, la cosa ti farebbe schifo?
- Ma no, entra stupidina, mi fa piacere la tua visita.
- Lo so, ti si legge sul viso. C'è scritto esattamente "Oh, che piacere inaspettato, questa splendida ragazza è venuta a cercare proprio me. Cosa avrò fatto per meritare tanto?"
- Sarà per lo schiaffo che ti ho dato ieri sera. Non puoi più farne a meno, vero?
- Di quello ne riparleremo, non credere di passarla liscia. Hai da fare?
- Solo questo stupido quadro, non riesco a terminarlo come vorrei.
- Ora che ci sono io ti verrà l'ispirazione. - si avvicinò per osservarlo meglio - Bello, perché non lo lasci così? Come s'intitola, Lucrezia?
- No, Lucy.
- E chi è questa? E' più bella di me? - ma, ai miei occhi esperti, la sua gelosia apparve solo un atteggiamento malizioso, buttato lì per farmi credere che ci teneva tanto alla mia considerazione.
- Non dirmi che sei gelosa. Proprio da te non me lo aspetterei.
- E di chi dovrei essere gelosa, di questi quadrati e di questi triangoli?
- Non sono quadrati e triangoli. E' una "(s)composizione" - e le spiegai il senso della mia ultima ricerca pittorica.
- Allora non si chiama Lucy!
- No, e non si chiamerà nemmeno Lucrezia.
- Però è bello, me lo regali?
- A una condizione.
- Quale?
- Che tu lo metta in camera tua, ai piedi del tuo letto per poterlo guardare anche la notte.
- Oh si! Mio Dio, mi masturberò guardandolo... che notti...
- Senti, piccola, ma nessuno ti ha mai mandato a fare in culo?
- Tu sei il primo - sussurrò avvicinandosi - il primo, capisci? - e questa volta assunse l'aria di Marlene nell'Angelo azzurro.
- Preferirei essere l'ultimo, tesoro. - le risposi con l'aria di Bogart in Casablanca.
La guardai per un po', mentre lei ruotava il suo visino impertinente e posava le pupille su tutto ciò che ci stava attorno evitando accuratamente il mio sguardo. Poi le presi la mano e lei, docile, si fece guidare s’uno sgabello, l'aiutai a sedersi, le presi anche l'altra mano nelle mie. Lei mi gettò uno sguardo fulminante, ma ai suoi fulmini ero abituato e non ci feci caso.
- Lucrezia... - le dissi.
- Dimmi... - mormorò fremente.
- Perché ogni volta che c'incontriamo dobbiamo recitare un film?
- Quale film?
- Via col vento, credo. Sei innamorata pazza di me e non vuoi confessarlo nemmeno a te stessa.
- ...innamorata... nel film o nella realtà?
- E' quello che vorrei sapere. - le dissi stringendole forte le mani e fissandola dritta nell'iride dove si distingueva benissimo la mia immagine.
- Perché se è la realtà reale che stiamo vivendo, allora dovremmo parlarne, se, invece, vogliamo vivere una fantasia, la realtà fantastica o il sogno reale, come preferisci, possiamo andare anche oltre e recitare fino in fondo questa parte che ci appassiona tanto.
Si morse le labbra mentre cercava la sua immagine riflessa nell'ocra dei miei occhi.
- E quali potrebbero essere le conseguenze di questo... lo chiamiamo gioco?
- Mi sembra il termine esatto. - annuii - Non saprei. Proprio perché sarebbe un gioco, potremmo modificarne la trama ogni giorno, adattarla ai nostri desideri quotidiani, alle nostre paure, ai nostri entusiasmi. Potremmo spingerla fino ai confini, indefiniti, del sentimento e posare una mano, o anche solo un dito nel territorio del sesso.
- Cosa vuol dire?
- Esattamente quello che ho detto. Questo è un dito - le mostrai il mio indice destro - e questo è il sesso - dissi indicando uno dei suoi seni.
Lucrezia osservò il mio dito che si avvicinò lentamente alla sua maglietta e si posò, come un'ape, in corrispondenza del suo capezzolo.
- E, se la cosa non ci spaventa, possiamo usare la mano intera che diventa uno strumento del gioco, un giocattolo biologico.
Le dita della mia mano si aprirono come uno sciame e poi si chiusero sulla sua tettina stringendola appena appena. Lei la guardava immobile, come impietrita o ipnotizzata, con le braccia abbandonate lungo il tronco. La mia mano l'accarezzò risalendo sul collo fino ad afferrare il suo mento e le girai la testina verso di me.
- Cosa ne pensi di questo gioco per adulti?
- ...ho paura... però mi piace.
- Ne riparleremo... quando vorrai. Ora ti andrebbe di fare qualcosa per me? - le dissi alzandomi e riprendendo i pennelli.
- No, per niente. Ma dimmi di che si tratta, vedrò di accontentarti.
- Grazie... siediti sul divano... così, brava... ora prendi quel libro ed aprilo a pagina 152... trovata? Bene! Leggila ventiquattro volte e sta' zitta, per almeno mezz'ora.
- Ma guarda questo... ed io che lo sto a sentire.
- Amore... hai promesso. Lasciami finire il quadro, dai!
- Non ti parlo più. Parola che non ti parlo più.
Si tolse le scarpe, si accoccolò sul divano e s'immerse nella lettura.

Laura rientrò tardi, perché una riunione imprevista l'aveva trattenuta a scuola ed aveva perso il treno delle 12,20. Distratto dal mio lavoro e dalla visita di Lucrezia, non avevo cucinato niente e fummo costretti a consumare un'insalata di pomodori e del formaggio.
La sua sorellina se n'era andata in silenzio, salutandomi a gesti pur di non venir meno al giuramento di non parlarmi più. Aveva rifiutato il consueto bacio di commiato ed io, per dispetto, l'avevo spennellata di verde sulla guancia. Aveva annotato anche questa tra le cose da farmi pagare alla prima occasione.
Il pranzo sarebbe stato velocissimo se la pioggia non avesse cominciato a scrosciare. Il cielo si oscurò repentinamente e l'acqua venne giù a secchiate, scaraventata sul davanzale della finestra spalancata, a rinfrescare un'estate pigra che si prolungava oltre i suoi confini stagionali.
Mi piacque subire l'ispirazione della sete che contrastai col vino rosso, saporito come la frutta matura.
I filamenti ininterrotti di cielo, che, liquido e freddo, si precipitava sull'asfalto a lavare spessi strati di polvere, solcavano il quadro oblungo della mia visuale segnandolo come "tagli" di Fontana. Gl'intonaci delle palazzine, inzuppati a larghe chiazze, assumevano strane colorazioni scure che si allargavano in ripide discese, accogliendo il buio incombente, a tratti percorso da frustate saettanti.
Prolungai la colazione per godermi lo spettacolo del temporale, attizzai la mia arsura col formaggio piccante e col ricordo recente dell'agosto afoso, proprio per dissetare con desiderio voluttuoso la gola e gli occhi adulti, quasi stanchi della natura e delle piccole emozioni ch'essa procura.
Laura osservava impaurita sobbalzando ad ogni tuono che scrollava le fragili imposte. Le chiesi di non chiudere la finestra e lei lasciò che mi saziassi di brividi. Quando la bufera cessò la bottiglia era vuota, accesi il mio sigaro per prolungare il lento piacere delle piccole cose ed abbrustolii, insieme al tabacco amaro, anche i miei pensieri ubriachi.
Laura dell'occhio sinistro beveva il cielo che si apriva e Laura dell'occhio destro mi scrutava indagatrice. Ed io chiusi l'occhio destro, l'attirai a me e la baciai sull'unica bocca che trovai ad accogliermi.
- Cos'hai oggi?- mi chiese - ti sei scolato la bottiglia senza dire una parola.
- Scusami, ero distratto dal temporale. Spero di non essere ubriaco.
- Quante sono queste? - disse mostrandomi i seni.
- Due... lo sapevo, vedo già doppio.
- Ma no, due è la risposta esatta.
- Che fortuna. Cos'ho vinto?
- Il premio lo riceverai subito. Chiudi gli occhi e socchiudi la bocca.
Eseguii le sue disposizioni mentre immaginavo già il premio, che sentìì subito dopo insinuarsi fra le mie labbra. Accolsi il suo capezzolo duro e lo succhiai lentamente, spremendolo come un bimbo affamato. Lei, che reggeva la mia testa guidandola, con l'altra mano mi offriva il seno eretto, quasi staccandolo dal corpo, per vedere meglio la mia bocca che lo suggeva e immaginando che stessi baciando il seno di un'altra.
- E adesso, bacia un po' anche il mio... - mormorò spingendomi verso il suo seno sinistro che aveva denudato.
Io colsi al volo la sua fantasia erotica, continuai a baciarle entrambe eccitandomi sempre di più, scelsi un nome per la nostra provvisoria compagna e la chiamai ora col suo nome vero, poi con quello dell'altra, baciai la bocca di Laura e subito dopo morsi le labbra di Lisa. Questo nome la fece sciogliere di piacere perché Lisa è una sua collega molto carina che ha un debole per me.
Quando Lisa mi aveva visto (non sapeva ch'ero sposato con Laura) le aveva detto:
- Vedi, con quello ci andrei a letto anche senza conoscerlo, senza sapere come si chiama.
- Se vuoi glielo posso chiedere - l'aveva interrotta Laura - lo conosco bene, è mio marito.
E me l'aveva presentata subito, senza darle il tempo di riprendersi. Lisa, frastornata, mi aveva teso la mano timidamente, forse temendo che Laura si fosse offesa o perché si aspettava qualche battuta imbarazzante. Quando aveva ritrovato il colorito, si era accostata all'amica e le aveva bisbigliato all'orecchio:
- Questa sera, fagli qualcosa anche da parte mia.
E quella sera Laura era scivolata sotto il tavolo, aveva tirato la cerniera dei miei jeans e mi aveva offerto un dolcissimo dessert.
- Questo da parte della mia amica Lisa. - mi aveva detto dopo.
Non l'avesse mai detto. La notte diventò lunghissima e, in nome di Lisa, che in quel momento, probabilmente, fantasticava a sua volta aspettando il suo stanco compagno che le avrebbe offerto un veloce amplesso, ripercorremmo, senza mai cedere all'ansia dell'arrivo, tutti i sentieri lussuriosi che i nostri corpi, durante la loro breve convivenza, avevano saputo inventare.

OFFLINE
Email Scheda Utente
Post: 36.157
Sesso: Femminile
21/07/2009 22:10
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota


Laura mi fa sentire bambino, sotto la corteccia rugosa e ostica di adulto che mi aiuta a svestire.
Litigare con Laura è impossibile. Non è aggressiva abbastanza per sostenere nemmeno un banale diverbio e quando, per un motivo futilissimo, riciclo i miei antichi malesseri non ancora del tutto guariti, lei recede per prima rifugiandosi nella tana della sua tranquillità.
Mi lascia a litigare da solo pur senza ignorarmi, guardandomi con i suoi occhioni impauriti che vorrebbero non vedermi ed io me la prendo con me stesso, con la mia irruenza sgarbata e alla fine sono io a rintanarmi rabbioso.




bella questa parte






---------------------------------------------
- Prendi un piatto e tiralo a terra.
- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
- Adesso chiedigli scusa.
- Scusa.
- È tornato come prima?
- No.
- Adesso capisci?



OFFLINE
Email Scheda Utente
22/07/2009 20:16
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'uragano - parte terza
- Mi hai pensato?
- Nel mio hard disk ci sono programmi importanti, non posso sprecare spazio per una ragazzina.
- Appunto, uno spazio piccolo piccolo per me, una cosina piccola così, non lo trovi?
- No! Ma posso utilizzarti come dischetto. Questo sì, non m'impegna troppo. Anzi, vieni, cominciamo subito.
Portai Lucrezia accanto al mio computer, inserii un dischetto e vi trasferii un programma di scrittura.
- Questo dischetto si chiama Lucrezia - dissi - ed ha due soli file. Uno si chiama - e digitai - AMORE. L'altro si chiama SESSO. Vuoi giocare con me?
Mi guardò stupita, ma non di me, era stupita di se stessa, per essere arrivata a quel punto in un tempo più breve di quanto avrebbe immaginato. Ed ora che vi era giunta, senza avere avuto il tempo di ragionare con calma, senza aver potuto valutare i rischi oggettivi di un gioco così rischioso, era imbarazzata ed indecisa. Pensò che avrebbe fatto davvero la figura della ragazzina se si fosse tirata indietro e, subito dopo, capì che i suoi dubbi erano fittizi perché, dentro di sé, sapeva bene di voler giocare con me.
Mise da parte la sua adolescenza, ma non tanto lontano, la scostò appena per potersene rivestire subitaneamente se il gioco fosse diventato insostenibile, la tenne lì accanto a sé e decise di essere una donna.
Quando pensai di averle concesso un tempo sufficiente per una decisione non affrettata ma nemmeno meditata, le misi addosso il mio sguardo beffardo di adulto.
- Con quale vuoi cominciare?
Sospirò profondamente.
- Si comincia sempre con l'amore.
- Sei cauta - sorrisi - ma sei certa di non rischiare di più?
- E tu, ne sei certo?
- No, ma è un problema mio. Solo, non vorrei ferirti.
- Pensa per te! - mi sfidò.
- Bene, signora, si comincia. Auguri.
- Auguri anche a te.
Digitai: - LUCA VUOLE GIOCARE AD INNAMORARSI.
Lei mi seguì: - ANCHE LUCREZIA VUOLE GIOCARE AD INNAMORARSI.
- MA COME PUO' FARE UNA RAGAZZINA DI VENT'ANNI A INNAMORARSI DI UN UOMO DI QUARANTA?
- E' FACILE SE LUI E' FORTE E CORTESE, E SA PARLARE COSI' BENE DI GUERRA E D'AMORE. E' QUESTO CHE CERCA UNA "RAGAZZINA" DI VENT'ANNI. E' FACILE SE LUI... E' LUCA.
- E LUCA, COSA PUO' TROVARE IN LUCREZIA, CHE NON SIA LA BELLEZZA DEL SUO CORPO DI BIMBA APPENA CRESCIUTA?
- PUO' TROVARE LA DONNA CHE NON HA ANCORA VOLUTO VEDERE.
- MA SE LUCA S'INNAMORERA' DI LUCREZIA, COSA NE SARA' DI LUI FRA QUALCHE ANNO?
- NON AVER PAURA, NON CONTANO GLI ANNI, CONTANO SOLO I MINUTI, UN PO' MENO LE ORE E I GIORNI SONO GIA' TROPPO LUNGHI E I MESI ESISTONO SOLO NELLA FANTASIA.
- E' bellissimo quello che hai scritto, non ti conoscevo così... sei più bella di quanto immaginavo.
- Non conoscevi quasi niente di me, ma adesso saprai tutto. Se vuoi.
- VOGLIO SAPERE TUTTO DI TE, RACCONTAMI COME SEI.
- VORREI VIVERE TUTTA LA VITA IN UN MINUTO, CHE SIA INTENSO E COMPRESSO, COMPATTO E MINUSCOLO MA GRANDE COME TUTTA UNA VITA, UN MINUTO CHE SIA IL "BUCO NERO" DELLA MIA GALASSIA. VORREI VEDERE L'INIZIO E LA FINE DELLA MIA ESISTENZA SOLO SPOSTANDO GLI OCCHI, SENZA DIMENTICARE I MIEI VAGITI E SENZA AVER PAURA DELLA MORTE. VORREI CHE LA MIA VITA IMPLODESSE ALL'IMPROVVISO NEL MINUTO ATTUALE E, CON ESSA, TUTTE LE MIE PAURE DEL FUTURO, DELL'IGNOTO, DELLA MIA FINE.
- SEI BELLISSIMA. MI STO INNAMORANDO DI TE. CONTINUA, TI PREGO.
- TU PERCORRI LA TUA VITA SENZA TEMERE DI ANDARE A MORIRE, SPESSO TORNI INDIETRO PER RIVIVERE LE BATTAGLIE, ANCHE QUELLE CHE HAI PERDUTO, PERCHE' CIO' CHE TI AFFASCINA NON E' LA VITA STESSA, MA LA LOTTA PER VIVERE, COME VEDI HO CAPITO BENE LA TUA LEZIONE SULLE "(S)COMPOSIZIONI", E DURANTE LE TUE SORTITE NON T'ACCORGI NEMMENO DI UNA "RAGAZZINA" COME ME.
GUARDA, INVECE, QUANTO SONO IMPORTANTE. TI STO FACENDO BATTERE IL CUORE COME SE T'INNAMORASSI PER LA PRIMA VOLTA. NO, NON SONO LA TUA COMPAGNA DI GIOCHI NEL LONTANO CORTILE DELLA TUA INFANZIA, E NEMMENO LA BIONDINA CHE TI SEDEVA ACCANTO SUI BANCHI DI SCUOLA. NON SONO NEMMENO LAURA CHE TI HA SEDOTTO CON LA DOLCEZZA, STRAPPANDOTI A FORZA DAL TERRENO MINATO NEL QUALE TI TRASTULLAVI, BEATO ED INCOSCIENTE GUERRIERO. SONO SOLO QUELLA MINUSCOLA LUCREZIA CHE, A VOLTE, STRAPAZZI UN PO' PER APPAGARE LA TUA PRESUNZIONE DI MASCHIO ADULTO E VIRILE. MI VUOI?
- SE TI VOGLIO? TU MI HAI GIA' PRESO. E' VERO, IL CUORE MI BATTE FORTE ED ANCHE IL TUO, LO SENTO, PERCHE' PARLARTI COSI', ATTRAVERSO QUESTO SCHERMO, MI HA FATTO EMOZIONARE COME UN RAGAZZINO, ANCHE SE SO CH'E' SOLO UN GIOCO.
- QUANDO SI GIOCA, NON SI DICE MAI CHE IL GIOCO E' UN GIOCO.
- E' VERO, SCUSA, SEMBRI PIU' SAGGIA DI ME.
Lucrezia guardò l'orologio e balzò in piedi.
- E' tardi, devo scappare.
Salvò il file. Anch'io, perplesso, mi alzai per salutarla.
- Ci sei domani?
- Ti aspetterò.
Avrei voluto darle un bacio sulla guancia ma lei girò il viso proprio mentre mi ero avvicinato e mi baciò sulla bocca. Un bacio veloce, appena accennato, ed io restai come uno stupido a guardarla andar via.
"Un gioco, anche questo è un gioco?" pensai toccandomi le labbra.
"Ha confuso il gioco con la realtà o è davvero innamorata di me?"
Per il resto della giornata pensai a quel bacio che mi formicolava sulla bocca, e a tutte le conseguenze future del nostro gioco pericoloso.
Per qualche ora fui pentito di averla coinvolta così tanto, perché immaginai che fosse davvero troppo piccola per recitare una parte complessa come quella che le avevo imposto. Ed ogni volta che cercavo una spiegazione al suo bacio concludevo sempre che la passione l'aveva travolta e non sapeva trovarvi rimedio.
Non potevo ipotizzare, io, maschio adulto e presuntuoso, che Lucrezia fosse più donna di quanto sembrasse, che anche lei attuava le sue strategie, adattate alla mia età, per potermi coinvolgere più di quanto io stesso avrei voluto.
La "piccola" Lucrezia mi costringeva a pensarla, a pensare alle frasi che aveva scritto sul file AMORE, a rileggerle, a collegarle col suo bacio finale, a dubitare che avesse accettato il mio gioco, a questo punto solo mio, perché non le avrei concesso altro modo per potermi dichiarare il suo sentimento.
Mi costrinse a pensarla tutto il giorno e la sera mi telefonò.
- Luca, scusami. Ero così presa dal nostro gioco e l'istinto di baciarti è stato così veloce che non ho avuto il tempo di fermarlo.
- Hai fatto bene a chiamarmi. Ero perplesso e ci ho pensato tutto il giorno. Temevo di aver fatto qualcosa di male, di averti coinvolto in un'avventura troppo grande, di averti ferita. Se vuoi smettiamo subito, un gioco non deve farci male.
- Allora mi hai preso davvero per una ragazzina. Ho accettato di giocare con te, adesso non farti venire sensi di colpa. Sono grande abbastanza per sapere cosa faccio, se non ce la farò mi tirerò indietro.
- Promettimi che lo farai.
- Promesso. Ti posso fare una domanda?
- Concessa.
- Cos'hai provato col mio bacio?
- Ma quello non è stato un bacio. Le nostre labbra si sono toccate, tutto qui. Un bacio è un'altra cosa.
- Allora, perché ci hai pensato tanto?
- Perché non riuscivo ad immaginare cosa ti passasse per la testa.
- Ora che lo sai, permetterai che le nostre labbra si tocchino ancora? Come vedi non parlo di bacio, so anch'io cos'è.
- Solo questo? Non dimenticare che c'è un altro file nel nostro dischetto.
- Non l'ho dimenticato. Credevo l'avessi dimenticato tu.
- Tutt'altro, aspettavo appunto la tua telefonata per chiederti, domani, d'indossare un vestitino, quello arancione che mi piace tanto, e il chiodo e gli anfibi. Biancheria intima rigorosamente bianca e, soprattutto, niente collant, solo calze velate autoreggenti.
- Non sforzarti troppo, ormai lo so che sei un maiale.
- Sì, porcellina mia, a domani.

Se avessi saputo immaginare il mio malessere che ne é derivato, avrei smesso subito il gioco con Lucrezia ed anche lei, forse, avrebbe preferito pensarmi come amico, sarebbe più giusto dire "fratello" dato che siamo cognati, invece di fuggire lontano, così lontano da non vederci più. La lontananza, che ci siamo inflitta quale pena da espiare in congiunta consapevolezza, trascorre lenta e monotona come una prigionia, più dura ancora di tutti gli anni futuri e inconoscibili che impaurivano la "ragazzina" che ho conosciuto.
- Non devo vederti più! - mi disse prima di partire per Bologna, un anno fa. Tramite Laura ho saputo che si è sistemata in un minuscolo appartamento insieme ad una compagna di università. Non ha intenzione di tornare né di vedermi. Le poche volte che sono costretto a parlarle al telefono, quando Laura la chiama per salutarla, le chiedo solo dei suoi esami e sto male perché vorrei poterla abbracciare, o rassicurarla che tutto è passato, che il gioco è finito e, come tutti i giochi, non ha lasciato tracce evidenti.
Ma lo so che non è così. E lo sa anche lei.
Quel gioco, scaturito dalla nostra fantasia, è diventato più reale della realtà che volevamo eludere, ci ha presi e non ci molla più.
L'uragano, passato veloce e tremendo su di noi, ci ha divelto insieme agli alberi, trascinato coi detriti della montagna fino a sbatterci l'uno contro l'altro stordendoci.
Ma ora il bosco non esiste più. Annullato dalla furia dell'acqua, disperso dal vento suo complice, non lo troviamo, nonostante sia impresso nella nostra memoria reale com'era esattamente all'inizio della nostra storia.
Credevamo, voltandoci, di ritrovarlo sul crinale, dov'era sempre stato, fin troppo tranquillizzante nella sua staticità che abbiamo voluto sovvertire.
E' stata la nostra fantasia ad immaginarlo distrutto e l'abbiamo distrutto davvero.
All'inizio era solo un gioco, un gioco fra due presuntuosi con due forti personalità che hanno voluto sfidarsi e ne sono usciti feriti gravemente. Le ferite che ci siamo inferti reciprocamente ci avevano legato molto più di quanto avremmo voluto. E' stata la vista del sangue che ci ha drogato, e ci ha spinti a colpirci ancora per sopprimerci, senza immaginare che ogni colpo inferto all'altro lo avrebbe costretto ad aggredirci a sua volta.
Così, di colpo in colpo, ci eravamo martoriati per non soccombere ma eravamo già condannati.
Il nostro gioco non aveva regole e questo fu un errore. Fu la stessa Lucrezia, quando mi vide in difficoltà, a suggerirmi le mosse più astute, perché ispirare la mia abilità le avrebbe consentito di prolungare il piacere della vittoria. E quando anch'io mi credevo vittorioso su di lei, la istigavo a difendersi attaccandomi, fingendomi vulnerabile.
Se Lucrezia non fosse la sorella di Laura, questa potrebbe essere una storia d'amore, tumultuosa e lussuriosa come poche, tra una ventenne che impara il sesso e un quarantenne che le fa da maestro, tra un uomo adulto che ha quasi dimenticato le emozioni dell'innamoramento e una ragazza che gli rammenta l'adolescenza e s'insinua nei suoi pensieri.
Ma chi può dirlo con certezza? Forse, senza quella complicazione morbosa, Lucrezia sarebbe passata inosservata alla mia vista distratta ed anch'io, al suo sguardo miope, sarei apparso insignificante. Chi può dire quali meccanismi psicologici scattano in certi casi?
Ma io le volevo bene come a una sorellina più piccola e non mi rassegnerò mai ad averla perduta così.
Se potessi parlarne con Laura, forse mi aiuterebbe a capire cos'è accaduto, lei così saggia e riflessiva, ma finirei col perdere anche lei e in questo momento non posso permettermi di perdere altro; mi è rimasto così poco. Come se tutti i miei averi, guadagnati in decenni di lavoro, fossero stati trafugati dalla mia amante e trattenuti in pegno del suo silenzio.
Non sono mai stato così povero.
Anche Lucrezia avrebbe voluto parlarne con la sorella, avrebbe voluto liberare la sua coscienza da un peso così grande e insostenibile; ma anche lei, nella sua avarizia, sa che perderebbe un bene prezioso che non ritroverebbe più.

Iniziammo, dunque, a giocare anche col file SESSO.
Quella mattina Lucrezia si presentò splendida come poche volte l'avevo vista. Aveva indossato esattamente l'abbigliamento che le avevo suggerito.
- VESTITINO ARANCIONE OK, CHIODO OK, ANFIBI OK, CALZE VELATE OK, AUTOREGGENTI?
Lucrezia, che seguiva emozionata la mia scrittura e notava il mio sguardo che si soffermava, ogni volta, sui particolari menzionati, trascinò lentamente il suo vestitino, pieghettandolo nel palmo delle mani, fino a scoprire l'elastico delle calze. Era seduta vicina vicina e si stringeva ancora di più per leggere agevolmente lo schermo del computer. Io sentivo il suo profumo insinuante ed avvertivo il suo batticuore impedirle quasi il respiro, mentre esibiva una sicurezza spavalda che appariva esagerata, fissando i suoi occhi dritti sui miei ed evitando anche di battere le ciglia. Mi sfidava, per dimostrarmi di saper condurre il gioco almeno quanto me, per farmi capire che stavo giocando con una donna e non con la ragazzina che immaginavo che fosse.
- OK, BIANCHERIA INTIMA?
Anch'io la guardai dritta negli occhi, e con gli occhi le dicevo: "Lo so che non avrai il coraggio di scoprirti, perché sei piccola e il gioco è più grande di te".
Per infierire le suggerii di rispondere semplicemente il colore della biancheria. Ma lei percepì il mio sarcasmo e non accettò.
Si alzò in piedi e continuò, lentissimamente, sempre fissandomi con uno sguardo di sfida misto ad una forte emozione, a sollevare il vestito fino a mostrarmi gli slip bianchi, finemente ricamati.
Io smisi per un attimo di sostenere il raggio laser dei suoi occhi e l'ammirai. Poi si chinò verso di me, le scostai la scollatura ed ispezionai il colore del reggiseno.
- OK, PER OGGI BASTA COSI', NON CAPISCO PIU' NIENTE.
- SEI GIA' ANDATO FUORI DI TESTA? PER COSI' POCO? MI SAREI ASPETTATA MOLTO DI PIU' DA TE.
- COSA, DI PIU'.
- RICORDI IL NOSTRO GIOCATTOLO BIOLOGICO, LA TUA MANO DESTRA? LA SOGNO TUTTE LE NOTTI ENTRARE DENTRO IL MIO VESTITINO E INSINUARSI SOTTO IL REGGISENO.
Mi voltai, sorridendo, ma lei era seria, ruotò sul sedile dello sgabello e mi voltò le spalle, poi si appoggiò su di me.
- Dai, volevi tanto vedere le mie tettine, te le faccio addirittura toccare.
Rimasi allibito ed esitai. Le cinsi la vita con l'altra mano ma lei la scostò.
- Solo il nostro giocattolo! - disse categorica.
Aveva ragione, solo il nostro giocattolo poteva entrare nel gioco.
La mia mano, quasi tremante e indecisa, violò l'ampia scollatura e scivolò sotto il merletto dell'indumento, avvolse il suo piccolo seno e lo scoprì. Lei mi aiutò trattenendo la stoffa, sentii il suo cuore impazzito palpitarmi fra le dita mentre perlustravo i due coni appuntiti che mi offriva. Anche il mio cuore percorreva a salti tutte le vie delle arterie e bussava forte alla sua testa. La vedevo muoversi al ritmo delle mie pulsazioni, vedevo i suoi occhi sbarrati che seguivano ogni carezza, sentivo il suo respiro affannato quando le stringevo i capezzoli fra le dita.
L'accarezzai a lungo e lei mi lasciò fare. Quando la ritirai, la mia mano bruciava come se l'avessi affondata nella brace. Lucrezia sistemò il suo vestito.
- Dormirai meglio stanotte? - le chiesi.
- No... credo che non dormirò più. E tu... dormirai?
- Lucrezia... - avrei voluto dirle tante cose ma non trovavo le parole né il modo, e a quel punto ogni parola ed ogni considerazione, su ciò che stavamo facendo, sarebbe apparso un tentativo ignobile di sfuggire le responsabilità oggettive. Ed ancora più ignobile sarebbe stato il tentativo di eludere la nostra passione morbosa, che alimentavamo con le sfide reciproche giustificandola con l'alibi del gioco.
Mi zittì spingendo la sua mano sulla mia bocca.
- Non dire niente... è meglio non dire niente. Ricorda solo una cosa: nella realtà non puoi permetterti quello che ti consento durante il gioco. Non dimenticarlo, ed anche per me sarà così. E' come se stessi facendo un sogno. Tu non lo sai, ma qualche volta ho sognato di fare l'amore con te e non mi sono mai sentita in colpa. Perché un sogno non è la realtà, e nemmeno un gioco lo è.
Ma non diciamolo più. Sei d'accordo? Quando questo dischetto è disinserito noi viviamo nella realtà e quello che abbiamo fatto oggi non ci è più permesso.
Nella mente di ognuno stagnava pesante il nome di Laura ma nessuno lo pronunciava.

OFFLINE
Email Scheda Utente
23/07/2009 20:15
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'uragano - parte quarta
No, piccola Lucrezia, non è stato così, la nostra fantasia si era trasformata in realtà e andava oltre il dischetto e il nostro computer. Il nostro gioco continuava per tutto il giorno, lo sai, ci tormentava coi ricordi delle carezze, degli sguardi, dei baci che non abbiamo mai voluto chiamare con questo nome.
"Poggia le tue labbra sulle mie" dicevi prima di lasciarmi, e io ti baciavo, mordevo la tua bocca, masticavo il tuo labbro. Un bacio casto non è un bacio? Ma io il tuo sapore l'ho sentito, ho assaggiato il desiderio che ti affiorava fra i denti, che ricacciavi a forza nella gola mentre io volevo succhiarlo per cibarmene.
Lucrezia sembrava più scaltra di me, ma in effetti le sue parole erano anche le mie. Semplicemente, io aspettavo che a pronunciarle fosse lei per concederle il privilegio di guidare le prossime mosse e, forse, per acquietare la mia coscienza in agguato.
Per diversi giorni, dopo quella mattina, Lucrezia non venne a trovarmi e non mi telefonò. Furono giorni terribili di attesa e di tormento.
Senza una briciola di vergogna, la mia convivenza con Laura proseguiva nella tranquillità di sempre, solo fomentata dal mio desiderio sessuale moltiplicato. Il nostro gioco era intervenuto anche sulla mia fisicità sconvolgendo i ritmi biologici che si erano pianificati in anni di routine.
Laura non si accorgeva di nulla, e come avrebbe potuto immaginare un tradimento così squallido? era certa che il rapporto tra me e Lucrezia fosse basato sull'affetto e la sincerità. Indovinava l'ascendente che, da sempre, avevo avuto sulla sua sorellina e sperava che io diventassi per lei una guida ed un sicuro punto di riferimento, come se fossi stato il suo fratello maggiore o addirittura il padre che non aveva conosciuto.
Se sapesse in quale fango di lussuria incestuosa ci siamo rotolati, ne proverebbe orrore. Se immaginasse anche soltanto le parole che ci siamo scambiati, o gli sguardi, nei quali erano racchiusi tutti i desideri repressi, distorti e adattati all'esecuzione della nostra trama. Se solo potesse interpretare il nostro distacco, avvenuto repentinamente, o la nostra ripugnanza a parlarci, o a scriverci. Cosa sarebbe di lei se sapesse? E cosa sarebbe di noi?
La sue giornate proseguono tranquille come sempre, con i punti cardinali della sua vita segnati a grandi lettere su ognuna delle sue azioni: io, il suo lavoro, il suo gatto, sua sorella. E se uno di questi riferimenti venisse a mancare improvvisamente, lei sarebbe naufraga nella geografia del mondo, più sola e condannata di un relitto sperduto.
La sua spiaggia assolata e pulita, timorosa delle nuvolaglie innocue e delle brezze notturne, agonizzerebbe di terrore alla vista del nostro uragano. Del quale siamo stati registi e interpreti, forse anche lascivi spettatori, e che, sfuggito alle nostre deboli redini, ci ha spazzato via come fuscelli.

Sono sicuro che Lucrezia provasse lo stesso senso di repulsione che invadeva anche me ogni volta che il nostro gioco smetteva.
Ma era solo la lontananza dei nostri corpi che alimentava quel disagio incontenibile, e la prima reazione era la promessa a noi stessi di smetterla, di cancellare quella tresca immorale e di provare a dimenticare.
Ma era un disagio di poche ore, giusto il tempo che il nostro cervello elaborasse e giustificasse le azioni appena compiute. Poi il nostro insano desiderio ritrovava il terreno fertile sul quale sarebbe germogliato, e le giornate diventavano lunghe e insignificanti, in attesa del nuovo giorno che ci avrebbe ancora corrotto.
Noi, consenzienti, tornavamo ad accendere il computer, ad inserire il dischetto, a interpretare, con rinnovata libidine, i ruoli che ci assegnavamo di volta in volta.
- TI AMO, SONO PAZZA DI TE. QUESTA NOTTE NON HO DORMITO PERCHE' PENSAVO AL MIO SENO DENTRO LA TUA MANO. NON SONO RIUSCITA A SMETTERE NEMMENO PER UN MOMENTO DI PENSARTI E MI SONO ACCAREZZATA FINGENDO CHE LA MIA MANO FOSSE LA TUA, HO PERCORSO TUTTO IL MIO CORPO CHE BRUCIAVA E TREMAVA, TI VOLEVA. L'HO PERCORSO DECINE DI VOLTE DOLCEMENTE, POI L'HO STRETTO NELLA MORSA DELLE DITA, L'HO PALPATO, TORMENTATO, SCHIACCIATO, STRITOLATO, INFINE HO TROVATO UN PUNTO PIU' CALDO ED UMIDO DEGLI ALTRI ED HO CAPITO CHE IL DESIDERIO DI TE NASCEVA DA LI' E SI SPANDEVA PER TUTTO IL CORPO.
LA MIA MANO (LA TUA) HA SCOPERTO QUELLA VASCHETTA DI PIACERE E CI SI E' AFFONDATA, NON L'HA MOLLATA PIU' PER TUTTA LA NOTTE, SFREGANDOLA E PENETRANDOLA CON LE DITA. NON SO QUANTE VOLTE SEI SCOPPIATO IN ME. CENTO FORSE, O MILLE, ED OGNI VOLTA ERA PIU' BELLO.
- MI SAREBBE PIACIUTO VEDERE LA TUA MANO (LA MIA), ACCAREZZARE LA TUA PELLE E AFFONDARE IN QUEL PUNTO DOVE NASCE IL DESIDERIO DI ME. VORREI VEDERTI MENTRE SOGNI LE MIE CAREZZE ED ESSERTI ACCANTO QUANDO LA TUA VOGLIA ESPLODE.
Lucrezia si girò, allargò le gambe e poggiò i piedi sulla mia sedia. Con calma, sempre guardandomi negli occhi, sollevò la gonna mostrandosi senza apparente pudore, sfilò le mutandine fino al ginocchio e cominciò ad accarezzarsi.
La sua mano sembrò esitare lungo le cosce, poi giunse sulla vulva dorata e le sue dita si smarrirono. Le intravidi ritrovarsi brillanti di rugiada, inseguirsi frenetiche e nascondersi di nuovo, inventare un ritmo col suo respiro. Ed i suoi occhi, Dio! è come se li vedessi ancora, sempre fissi su di me, senza alcuna vergogna, affondare come le dita fin dentro gli occhi miei, inumidirsi anch'essi mentre ansimava e stimolava sempre più veloce il suo piacere.
La mia vista impazzita vagava, senza aver deciso una meta, dalla sua mano al suo viso, entrambi contratti dalla foga dell'orgasmo che la rapì, sotto il mio sguardo, così vicino e violento che mi parve di sentirne i fremiti. Solo per un attimo chiuse le due stelle luminose e, riaprendole, mi apparve bellissima e stanca.
Allungai la mia mano, il nostro giocattolo, e lei mi porse la sua che portai sulle mie labbra. L'aiutai a sistemarsi mentre gustavo ancora il suo sapore dolciastro e lo mischiai con le sue labbra.
- Il dischetto è ancora inserito - le dissi - e voglio dirti che ti amo, ricordalo anche quando sarai a casa, questa notte, e ripenserai alle brevissime ore che hai trascorso qui. Vorrei rubarti al mondo e tenerti con me, rinchiuderti in un cubo di vetro e guardarti vivere. Sì, t'imprigionerei se ti potessi avere. Perciò fuggi da me, finché sei in tempo!
La tenevo stretta e lei sentiva tutto il mio desiderio penetrare attraverso i nostri vestiti e raggiungere la nudità del suo corpo. Avrebbe voluto, lo so, abbandonarsi sulla scrivania e fare l'amore, accogliermi nella realtà come fantasticava la notte, ma sapeva reprimersi, per timore della sua coscienza che le aveva già consentito troppo.
Anch'io lottavo con me stesso, con quella parte razionale di me che si opponeva all'istinto bestiale che voleva possederla. E mediavo, ogni volta, una soluzione aleatoria di compromesso tra il corpo animale e la coscienza di umano che mi sentivo cucita sulla pelle. Che avrei voluto strappare e calpestare perché rendeva così difficile e dolorosa la splendida intesa fra di noi.
Lucrezia era pronta per abbandonarsi completamente ma ciò che la tratteneva era la stessa identica paura che attanagliava anche me. Ognuno di noi aspettava che fosse l'altro a decidere per entrambi, come se l'arditezza di uno, che ci avrebbe trovato concordi, avesse potuto attenuare o rendere sopportabile il senso di colpa insopprimibile che avvolgeva, come una nebbia, i nostri incontri.
Ma, come la nebbia, forse ci proteggeva agli occhi del mondo che ci avrebbe condannati, isolava i nostri corpi dalla realtà circostante troppo severa e inesorabile per le nostre fantasie ludiche che avevano necessità di vivere anche i desideri incestuosi, le brame lussuriose proibite.
Il nostro gioco si appagava di sé. E si proteggeva dal giudizio degli altri confinandosi in un arco temporale limitato e invalicabile, perché sapevamo, come solo i bambini sanno, che la censura può colpire la realtà ma non riesce mai a insinuarsi nei giochi, che ne restano immuni.
Ripercorrevamo le nostre esperienze infantili, Lucrezia, bambina appena svezzata e Luca, adulto incolpevole della sua crescita che gli è stata imposta impietosa e crudele, come una punizione della natura.
Ma di quali peccati, o di quali reati sono colpevole per meritare il castigo enorme della vecchiaia che si prospetta all'orizzonte? Come un treno che sarà impossibile deviare. Io godevo solo di una brevissima fermata e mi dissetavo prima di riprendere il viaggio.
Lucrezia, invece, ha davanti a sé tutta la vita e non può ancora avvertire il disagio di un corpo che cede lentamente alla gravità della morte. Eppure fu lei stessa a parlarmi di paura, a dirmi che la consapevolezza di una fine lunga, diluita nel tempo, è così violenta e inaccettabile più di quanto lo sarebbe nella compattezza e immediatezza di un attimo.
La tortura del tempo, che io conosco e che lei, forse, ha intuito, ci ha costretti a vivere il nostro minuto di pausa prima di un'altra accelerazione che potrebbe essere l'ultima. La nostra fortuna è di aver riconosciuto la stazione.
Quanti viaggiatori non si accorgono nemmeno delle fermate? E continuano a sonnecchiare o a parlare di cose inutili mentre il convoglio ti offre l'opportunità di vivere, breve, intensa, da afferrare e divorare al volo per ritrovarsi qualcosa da pensare e da digerire durante il viaggio.
Ora che ho vissuto il mio uragano, l'ultimo, forse, prima della quiete, ogni acquazzone o un breve temporale mi appariranno banali perché conosco la violenza della pioggia unita alla furia cieca del vento; sono stato trascinato per chilometri, come un tronco sradicato percorre la piena del fiume incontenibile.
O, forse, l'ho amata davvero? Ho troppi dubbi per ritrovare la serenità perduta, ma è certo che vivrò se avrò il coraggio di smantellare anche le ultime certezze che mi sono rimaste.
Cosa sarà di me, se deciderò di "(s)comporre" l'ultima parte della mia vita?

Lucrezia diventava sempre più bella, quasi che la nostra avventura ne avesse modificato ed abbellito i caratteri somatici, o ero io che, preso dalla passione, avevo riversato su di lei tutte le fantasie sul corpo femminile che mi accompagnavano da quando ero un ragazzo. Anche i suoi seni, che per molto tempo non mi avevano interessato, erano diventati splendidi nella loro piccolezza, desiderabili come due susine acerbe che la polpa amara rende più gustose.
Dure come il marmo ricordavo le sue tettine nella mia mano, eppure soffici come il velluto, elastiche come un palloncino, appuntite come le castagne. Avrei affondato il viso nel suo petto di adolescente, vi avrei strofinato i capelli, il naso, le labbra, avrei bevuto alle fontanelle dritte che offriva alla mia sete, che si moltiplicava nella fantasia per non appagarsi mai.
Lucrezia mi ha donato tutto il suo corpo ma non l'ho mai posseduta. A poco a poco, centimetro per centimetro, nel nostro gioco furono accolti, ma è più esatto dire che s'imposero approfittando di particolari momenti, entrambe le mie mani e la mia bocca, che perlustrarono tutta la superficie del suo corpo, soffermandosi sui seni che assaporai a lungo, succhiandoli e masticandoli con fame vorace, sul suo frutto succoso conservato fra le gambe, nel quale mi smarrii per ore intere cercandone i sapori più nascosti.
Lei mi lasciava fare, smarrendosi a sua volta nel piacere che le procuravano le mie carezze ed i miei baci, si donava tutta aprendosi, spingendo con forza il mio viso dentro di sé.
Del mio piacere non si parlò mai, come se fosse normale o convenuto che il mio sesso non avrebbe avuto alcuna parte attiva nel nostro gioco, come se gli orgasmi suoi avessero dovuto necessariamente appagare anche me.
Né io né lei menzionammo mai il mio desiderio, che apparve secondario per il proseguimento della storia.
Le mie esigenze sessuali si appagavano completamente con Laura, ed ho pensato spesso che questa fosse una cosa bruttissima. Ma l'istinto bestiale che la natura ci ha costretto a subire, nonostante ci abbia imposto anche un'intelligenza vivissima ed una sensibilità esasperata, mi costringeva ad usare il corpo di Laura, come avrei utilizzato il corpo di un'altra qualunque donna che mi si fosse offerta.
Pensai pure che le due sorelle vivevano una simbiosi inconsapevole e che i desideri dell'una corrispondevano ai piaceri dell'altra; in fondo la più eccitante fantasia erotica di Laura era la visione di me che facevo l'amore con un'altra. E Lucrezia rinunciava al piacere estremo della penetrazione ch'era prerogativa incontestabile della sorella maggiore.
Eravamo amanti. Me ne resi conto solo dopo un mese, quando già conoscevo ogni centimetro di lei e potevo rievocare a memoria tutte le pieghe della sua pelle.
Lei mi amava, al di là del gioco ch'era rimasto un alibi accettabile per le nostre coscienze immature, ed anch'io l'amavo, forse proprio perché non potevo possederla, ma sarebbe dipeso anche solo da me, o da una sua parola, o da una circostanza più favorevole.
Un giorno arrivò al mio studio trafelata dalla corsa, perché aveva poco tempo, esaudì il rito del computer e si sedette sulla scrivania proprio di fronte alla mia sedia. Io presi il mio posto consueto, le tolsi le mutandine e mi abbassai fra le sue gambe.
Il primo contatto con la mia bocca la mandò in estasi, poi le piacque sentire tutta la mia testa stretta fra le cosce e la spinse con forza finché si sciolse tutta. Fu velocissima. Io la sentivo, e restai ancora un po' per godere dei suoi fremiti che mi pulsavano sulle labbra.
Rideva, mentre risistemava i suoi indumenti.
- Grazie amore, come farei senza di te?
- Dovresti fare da sola, ma non sarebbe così bello.
- Lo so, forse è proprio per questo che ti amo. - diceva guardandomi con aria sorniona.
- Ne sono certo. - le risposi fingendo di crederci.
- Non è vero, stupido - e mi abbracciava - ti amo perché sei meraviglioso e non posso più fare a meno di te.
- Ora dove vai?
- Ho un appuntamento, con un compagno d'università. Sei geloso?
- Io non posso essere lui e lui non può essere me. Di cosa dovrei essere geloso?
- Luca, scherzavo. Da quando... sono innamorata di te, non m'interessa più nessuno. Questa storia è troppo forte, più di tutto quello che ho provato finora, e mi capita una cosa strana della quale vorrei parlare con te.
- Di che si tratta?
- No, adesso non ho tempo, devo scappare. Ti chiamo stasera.
- Ma... non lasciarmi così, accennami almeno qualcosa.
- Non ci pensare, non è così grave, ti amo. Ti amo, ti amo... spegni il computer altrimenti continuerò a dirtelo anche dalla strada.
Quando fu fuori si guardò in giro, non c'era nessuno, si voltò e mi chiese:
- L'hai spento?
- No.
- Ti amo.
- Non lo spegnerò più.
- Sei pazzo! Ti amo. - e mi guardò per rimproverarmi, o per prendermi con sé, o per capire cos'ero per lei.

OFFLINE
Email Scheda Utente
24/07/2009 23:25
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota

L'uragano - parte quinta
Le migliori qualità di Laura sono la calma e la tranquillità.
Penso sempre di essere stato fortunato ad incontrarla e certamente non avrebbe meritato un tradimento talmente squallido. Ma le cose sono andate così e non posso farci nulla.
Durante la relazione tra me e Lucrezia mi ero proposto di interrompere la nostra convivenza, ma non perché sentivo la necessità di allontanarmi da lei, anzi, averla accanto mi faceva stare meglio in quanto la sua presenza smorzava il mio senso di colpa, ma solo per non privarla ulteriormente della dignità che le rubavamo. Se non l'ho fatto, è perché sapevo che ne sarebbe morta. Mai avrebbe accettato la mia confessione e, tanto meno, quella della sua amata sorellina.
Laura è stata il mio rifugio durante la tempesta, dove andavo a nascondermi per riprendere fiato, la mia salvezza dai fulmini che mi avrebbero incenerito. E tutt'oggi è la mia casa, pronta a consolare ogni mio cruccio, disposta sempre ad abbracciarmi pur senza conoscermi, felice solo di avermi con sé, o di dividermi con le altre nella sua fantasia.
Lei non lo sa che le fantasie, prima o poi, diventano realtà. Perché vive nella realtà oggettiva, quella tangibile della quotidianità, banale se vogliamo ma sicura e concreta come le sue ore, le sue giornate, i suoi anni.
Laura rappresenta la parte calma di me, che tengo fuori dalle mie escursioni pericolose, ma abbastanza vicino da recuperarla in fretta in caso di bisogno o di paura. Come una chiocciola porta il suo guscio, io porto il mio rifugio che mi protegge.
Ora che la storia con Lucrezia è finita, potrei esaminare gli avvenimenti con senso critico svincolato dalle passioni estemporanee e capire cos'è accaduto, ma è proprio la serenità che mi manca e mi accorgo, con terrore, che Lucrezia ha lasciato un vuoto che sarà difficile colmare. Ed è un vuoto diverso, né migliore né peggiore, di quello che lascerebbe Laura se decidesse di andarsene.
La mia paura nasce da questa consapevolezza che annulla a priori ogni possibile futura serenità interiore, che spazza categoricamente qualsiasi eventuale rassegnazione. Eppure so di non amarla, o di non amarla più, però la penso e penso a tutte le ore che abbiamo trascorso insieme.
O penso allo sconvolgimento ch'è avvenuto nella mia vita, nella nostra vita, che, senza l'uno o l'altra, non sarà più possibile o non sarà vita.
Mi sono imposto, gliel'ho promesso, che non avremmo mai più parlato di ciò ch'è avvenuto, come se non parlandone potremo cancellare i peccati commessi. Ma restano tutti lì, davanti ai nostri occhi, so che anche per lei è così, e li percorriamo ogni giorno con la voglia di commetterli ancora.
A volte ho la tentazione di chiamarla e chiederle di rivederci (chissà se anche lei lo vorrebbe?), ma ogni volta che compongo il suo numero chiudo prima che lei risponda. Come potrei dirle? Forse devo aspettare che sia lei a cercarmi, e se non lo farà? Forse per lei è stato davvero un gioco, bello finché è durato ma passato come tutti i giochi. Ma se fosse così ne avremmo parlato serenamente.
Invece mi ha detto solo:
- Non devo vederti più! - e non mi ha più cercato. Ed io, che avrei dovuto risponderle:
- Perché, cosa c'è che non va? - le ho detto stupidamente:
- Se pensi che sia meglio così, non ci vedremo più. - e l'ho lasciata andare per sempre.
Entrambi abbiamo voluto recitare, fino in fondo, la parte dei duri e siamo rimasti beffati dalle nostre stesse recitazioni. Abbiamo voluto credere ch'era solo un gioco e invece era amore, abbiamo giocato col sesso per non confessarci ch'era amore, e abbiamo creduto che mettendo in gioco i nostri corpi avremmo potuto eludere il sentimento che ci aveva preso. Ma è stato davvero così?
Quanti dubbi. E se, invece, tutti questi dubbi fossero solo miei e lei fosse tranquilla per aver vissuto la sua storia proibita senza altre complicazioni? Dovrebbe essere di un cinismo impossibile, di una cattiveria che non le riconosco, no, Lucrezia non è così.
E se avesse pensato di trattarmi come uno dei suoi ragazzini? Se il suo istinto di "mantide" avesse prevalso sia sul sentimento che sull'eros? E se il suo senso erotico si appagasse di questa vittoria? Della certezza di avermi fatto innamorare e di essere entrata nella mia vita per sempre? E se il sesso fosse stato solo la chiave per intrufolarsi nei miei pensieri?
Devo sapere, devo sapere cos'è stato. Forse farei meglio a scriverle, a chiederle di spiegarci, ma farei la figura del bambino. E se lei pensasse la stessa cosa?

Nulla avrebbe fatto immaginare ciò ch'è accaduto. La giornata era tersa e calda, una di quelle giornate di ottobre che invitano alla pigrizia, a sdraiarsi sotto un albero per godersi la brezza autunnale non ancora fredda.
Le nuvole all'orizzonte erano chiare e montate come enormi coni gelato, il cielo azzurro si stagliava nettissimo, perimetrato dal disegno delle case che lo staccavano a forza dai colori spenti della città.
Da qualche giorno trascorrevo troppe ore nello studio e ne uscivo solo per brevissimi minuti; quando intravidi la macchia del cielo, spennellata sulla finestra aperta, avrei voluto aggiungervi una porzione di giallo, a tanto arrivava la mia presunzione, ma aspettavo Lucrezia ed ero preoccupato per lei.
La sera precedente mi aveva tenuto a lungo al telefono per confidarmi il suo malessere che non riusciva a spiegarsi. Ciò che la tormentava erano le ore che trascorrevano fuori del nostro gioco, la vita a computer spento, le notti che lei passava da sola nel suo letto ed io, doppiamente traditore, dedicavo a Laura.
Percepii la sua gelosia che cominciava a farsi strada nel dedalo dei sensi di colpa angoscianti, capii che il suo egoismo iniziava a smantellare le sovrastrutture affettive, a diradare i malesseri che nascevano dalla giustificazione di una familiarità accidentale. Nella sua mente, annebbiata dalla passione, Laura stava per svestire gli abiti della sorella per indossare quelli odiosi della rivale.
Questi disagi di Lucrezia non ebbero il tempo di concretizzarsi in azioni che sarebbero state distruttive, lei lo capì in tempo per sottrarsi ad ogni istigazione, per decidere la soluzione più razionale prima del disastro totale. Troncò, con un taglio netto, la nostra relazione e riconobbe alla sorella il diritto di avermi.
Quanto questa decisione fu giusta non posso dirlo e non so dire quanto lo sarebbe stata una totalmente opposta. Forse, se fossi rimasto con Lucrezia, oggi rimpiangerei Laura.
E, invece, rimpiango lei che m'ha lasciato in bocca il sapore della sua pelle e nella mente il gusto antico, e ormai sbiadito, della mia gioventù perduta, barattata con la dubbia saggezza delle rinunce, coi sacrifici della carne, con l'assurdità delle morali.
In nome di quale crescita? di quale maturità? di quale riscatto intellettuale?
E se cedessi, al senso animale che mi perseguita? E se distruggessi tutto, per dirottare il treno che prosegue incurante dei miei mali? Se cercassi un altro uragano che mi annienti?
Quando Lucrezia spalancò la porta del mio studio, il sole, che aspettava e spingeva, si catapultò su di me, m'invase con la sua prepotenza di padrone, accese i colori dei miei quadri sconvolgendo le ombre e i toni soffusi, s'impossessò della mia stanza come se fosse stata sua.
Lei mi gettò le braccia al collo e mi baciò, con uno dei suoi baci timidi e repressi, legando la sua lingua in fondo alla gola.
La sentii tremante e più disposta a cedere alla lussuria estrema.
Forse fu questo che m'impaurì. Ed impaurì anche lei. Perciò decidemmo di uscire e non accendemmo nemmeno il computer.
Non so chi guidò la mia auto fino a raggiungere i monti, scegliemmo un bosco di castagni sul crinale della montagna a precipizio.
La presi per mano e scendemmo fino al torrente. Sulla sponda opposta, il prato c'invitava e fu lì che ci sdraiammo. L'abbracciai.
La tenni stretta fra le mie braccia mentre lei si arrotolava come un gatto e si faceva accarezzare.
- Luca, tu come stai?
- Non lo so, ma non ci pensare, finché ti ho fra le braccia va tutto bene.
- Io non sto bene. Temo che tutto questo possa finire, debba finire. Mi capisci? Questo non è più un gioco. E' la realtà, e la realtà mi fa paura.
- No, non temere, questa è solo la nostra fantasia, l'abbiamo fatta diventare reale. Hai visto ch'è possibile?
- Ma ora ci prenderà, ci condurrà. Non siamo più i padroni.
- No, Lucrezia, siamo sempre i padroni, la realtà si può cambiare in qualsiasi momento. Basta non dimenticare che i padroni siamo noi.
- Ieri una mia amica è stata ricoverata in ospedale, le hanno detto che ha un brutto male e che forse morirà. Come si può cambiare questa realtà?
- Può scegliere quando e come morire. Dille di uccidersi!
Lucrezia rabbrividì, si svincolò dalle mie braccia e mi guardò stupita.
- Tu... tu sei pazzo! Come fai a dire una cosa simile?
- E tu, come fai a non dirla? - la ripresi e la strinsi forte sul mio petto. - Sì, siamo davvero pazzi solo se subiamo tutto ciò che la natura c'impone.
Ricordi cosa mi dicesti? Della tua vita che vorresti contrarre in un minuto, così da poter vedere la tua nascita e la tua morte con un solo sguardo? Decidere il momento e le circostanze della nostra morte, questo è l'affronto più grave che si possa fare alla realtà. Ma è il regalo più bello che possiamo fare alla nostra fantasia. Pensaci. Non è così?
- Forse, ma ci vuole un bel coraggio per togliersi la vita.
- Il coraggio non esiste. Il coraggio è solo la paura di aver paura. Noi viviamo di paure. E trasciniamo la nostra vita, anche quando non serve più, per paura della morte. Bisognerebbe trovare la forza di morire a quarant'anni.
- Già, e perché non a trenta, o a venti?
- No, a venti no, tu sei bellissima e sei qui con me. Finché ti amo sono salvo. Ma tu, mi ami?
- Sì, cavolo, ti amo, anche a computer spento, anche fuori del nostro gioco. Mi hai preso, canaglia, che sarà di me?
Si sollevò in ginocchio, mi teneva le mani e rideva mentre continuava a dirmi:
- Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, cavolo!
- Spogliati! - le dissi con tutta la serietà che mi consentiva quel momento, interrompendo bruscamente il suo torrente di "ti amo".
- Qui?
- Qui.
- Sei pazzo.
- Perché?
- Potrebbe vedermi qualcuno.
- Chiunque fosse, non subirebbe una brutta visione.
Sorrideva incredula mentre le sfilavo la maglietta. Le abbassai la gonna e lei mi aiutò facendo una mezza capriola sull'erba, poi tornò a inginocchiarsi davanti a me, si guardò intorno preoccupata e già vedevo nei suoi occhi la febbre che l'invadeva. Mi offrì il gancio del reggiseno che riuscii a scassinare al primo tentativo, si sedette e mi appoggiò le gambe sulle spalle.
Ero tentato di baciarla, di accarezzarla, ma non la toccai. Con due dita trascinai le mutandine e liberai le sue gambe. Lucrezia restò così, con le gambe spalancate, mentre aspettava i miei baci.
Mi alzai, le porsi una mano.
- Alzati. - si appese al mio braccio e si sollevò. - Vieni- le dissi - facciamo una passeggiata.
- Così? - si finse indignata, ma ormai era presa dal gioco. - E se ci vede qualcuno, cosa gli diciamo?
- Che sei più bella degli alberi, del torrente e del cielo, ed è un peccato coprirti. Chiunque sarà d'accordo.
Mi guardava affascinata mentre la conducevo ai margini del bosco, tenendola per mano.
La sua pelle bianca, sulla quale il solepadrone scivolava accarezzandola, assorbiva tutti i colori della campagna circostante e li rifletteva, il cielo si adagiava sulle sue susine acerbe, il prato colorava di verde le sue cosce e si beava sotto i suoi passi.
- Allarga le gambe su quel fiore, vivrà qualche giorno di più.
Lucrezia mi ubbidì, s'abbassò e sfiorò il fiore col suo. Rabbrividì a quel contatto come se si fosse offerta alla carezza di uno sconosciuto.
- Vieni, anche gli alberi ti vogliono toccare.
Si offrì ai giovani castagni, indugiando col suo corpo sui loro tronchi lisci. L'avevo lasciata, e lei proseguiva il nostro gioco ubriaca di voluttà. La vidi avvicinarsi a un tronco ruvido, accarezzarlo con le dita tremanti, mi accostai alle sue spalle e l'accarezzai a mia volta, poi la spinsi e la sigillai sul tronco.
- Abbraccialo. - le dissi, e lei lo avvolse. Le strofinai il seno sulla corteccia rugosa mentre la spingevo con tutto il mio corpo e sfregavo, con le dita, il suo clitoride.
Lucrezia ansimava, assecondava la mia mano coi movimenti ritmati del bacino, pronunciava brevi lamenti, per il piacere che le procuravo e per il dolore che le causava la corteccia ruvida dell'albero. Ma era un dolore che accoglieva volentieri, il suo piccolo seno, abraso e arrossato, fremeva e lei stessa lo guidava per torturarlo di più. Quando venne sulla mia mano, anch'io, pomiciando sulle sue natiche, stavo per raggiungerla come un ragazzino. Sarebbe stata la prima volta, ma era destino che io non dovessi.

Uno scoppio assordante, proprio sopra di noi, scosse le fronde provocando il distacco di molte foglie arrugginite e di qualche riccio spinoso che punse la mia amante facendola sobbalzare. Esaurito il piacere, anche il dolore diventava reale e fastidioso.
Totalmente rapiti, non ci eravamo accorti che i nuvoloni, neri e carichi di pioggia, in agguato dietro la cima del monte, avevano cancellato l'azzurro ed oscurato il sole. I tuoni si susseguirono violenti e le saette, bassissime, si precipitarono al suolo provocando ampi solchi.
L'afferrai e la trascinai, di corsa, a recuperare i suoi vestiti.
- Luca, ma che succede? - gridava impaurita.
- Corri, ho idea che sarà più brutto di quanto sembri.
Ricordai una capanna di pastori a qualche centinaio di metri da quel luogo, mentre le vasche del cielo si aprivano e l'acqua, di una violenza inaudita, si abbatteva su di noi piegandoci. La coprii con la mia giacca e l'aiutai nella corsa. Lucrezia, terrorizzata, si stringeva a me, la guardai ed era ancora bellissima, lavata come un passerotto sperduto e con gli occhi sbarrati.
La capanna era aperta, la spinsi dentro e serrai la porta di tavole.
Ora, la grandine, a chicchi grossi come noci, prese a percuotere il tetto di zinco producendo un rumore continuo e frastornante. Lucrezia, percepito il pericolo che avevamo corso, si rannicchiò disperata in un angolo della stanza buia e si tappò le orecchie.
Cercai di consolarla e le strofinai la testa ed il corpo con una coperta che recuperai dal pagliericcio.
- Ora accendo il fuoco. Non aver paura, queste capanne i pastori le fanno apposta per ripararsi dai temporali. - dovevo quasi gridare per superare il frastuono della grandinata che sembrava voler sfondare il tetto.
Ma non era un temporale, il vento cominciò a soffiare prima continuo, poi a raffiche sempre più violente, poi a spintoni sembrò sradicare la baracca dalle grosse travi che la reggevano. Uno scossone mandò in briciole il vetro della minuscola finestra e Lucrezia urlò. Chiusi gli sportelli, forzando la rabbia dell'uragano che voleva prenderci. Misi insieme un po' di legna, accatastata in un angolo e provai ad accenderla nel caminetto di pietra.
Non fu un'impresa facile perché il vento, che s'insinuava attraverso le tavole delle pareti e sotto le lamiere, spegneva il mio accendino. Poi trovai una lampada a petrolio, versai del liquido sui rami e provocai le fiamme abbrustolendomi la mano. Il fuoco fu come un caro amico accorso a salvarci.
Nel trambusto avevo perso di vista Lucrezia, mi girai e me la trovai accanto, attirata dal calore che si propagò subito. La liberai della coperta e massaggiai il suo corpo gelido.
Sulla mensola accanto alla porta trovai una bottiglia, era vino rosso, forte e provvidenziale. Ne bevvi un lungo sorso e lo trovai ottimo.
- Bevi! - le dissi porgendole la bottiglia.
- Quando finirà? - mi chiese.
- Presto, ma intanto riscaldiamoci, abbiamo preso tanta acqua. - Anche se cercavo di tranquillizzarla, ero preoccupato per il vento e speravo che il pastore avesse lavorato con criterio nel costruire il rifugio. Se il tetto avesse ceduto eravamo perduti.
Fu una fortuna non perire nell'uragano? Non so, forse sarebbe stato un bel finale, per la nostra storia, se i nostri corpi non fossero stati più ritrovati, se il torrente in piena ci avesse travolti davvero e frantumati come frantumò gli alberi del nostro ultimo amplesso.
Ancora non lo sapevo ma, da lì a qualche ora, la mia "ragazzina" mi avrebbe salutato per l'ultima volta, concedendomi, con fredda determinazione, un altro bacio, ancora una carezza, l'ultimo dei suoi indimenticabili "ti amo". Se l'avessi sospettato, avrei venduto i nostri corpi all'uragano, in cambio della serenità che non ho più.
Se avessi saputo ascoltare le sue parole, pronunciate d'un fiato guardandomi dritto negli occhi, come se stesse giocando a spogliarsi, le avrei chiesto di restare, forse. Ma Lucrezia fu coerente con quello che mi aveva promesso all'inizio della nostra storia, "se non ce la farò, mi tirerò indietro", e lo ha fatto, semplicemente.
Che stupido sono, allora, a cercare risposte che non esistono; la spiegazione è la fine del gioco, cominciato e finito com'era previsto nel nostro programma, niente di più. Ma nonostante ogni trama fantastica fomentata dalla nostra presunzione, la realtà s'è appropriata del sogno e l'ha sconvolto, riducendo anche noi a macerie informi, costretti a contemplarci.
Quando l'uragano finì, così improvviso com'era cominciato, il sole si riappropriò del monte, ma il monte non era più lo stesso. Lucrezia ed io ci guardammo e nei nostri stessi occhi si specchiò lo scompiglio della natura.
Il bosco era stato trascinato a valle insieme al fango che prima era terra, il torrente, giallo e impetuoso, si era moltiplicato rubando il prato e spingeva i tronchi accatastati che si aggrappavano l'uno all'altro in una disperata resistenza alla fine. Voltandoci, il nostro rifugio ci apparve squassato, miracolosamente sopravvissuto s'una lingua di terra circondata dall'acqua e dai detriti.
Non c'era segno di vita, se non nel frastuono del fiume che continuava a distruggere.

fine

è un racconto di basettun, tratto dal volume "Lento, violento amare"

Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Grazie Della Visita...Torna presto a Trovarci!

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 23:16. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com