Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!




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L'uragano

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 23:25
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20/07/2009 20:24
 
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L'uragano - parte prima
La noia è una malattia fomentata dall'intelligenza recettiva.
Maggiore è la capacità di apprendere, più si corre il rischio di annoiarsi, perché le nozioni finiscono (o si smarrisce il senso della cultura nozionistica), le emozioni provate e recepite si sbiadiscono nella ripetizione quotidiana e a quarant'anni il temporale cittadino, rivissuto decine di volte, ha saturato la memoria di scrosci e lampi e tuoni sempre uguali.
Io cerco l'uragano di montagna che mi percuota con le grandinate, che mi lavi i circuiti arrugginiti o inquinati da milioni di parole e di gesti ripetuti all'infinito, che mi aspiri l'aria dai polmoni e la sostituisca con l'acqua gelida. Che cancelli, infine, la mia sapienza erotica e mi regali una nuova ingenuità, da annerire lentamente col carboncino, come disegnavo le ombre sui fogli bianchi al liceo, quando non conoscevo giochi più emozionanti delle mie masturbazioni.
Oggi, anche i miei quadri astratti hanno perso la fragranza dell'ingenuità, appaiono costruiti e meditati e stanno assumendo una compostezza adulta, fatta di accostamenti di colori e forme equilibrati, organicamente inseriti nello spazio imposto dalla superficie, e sono lo specchio fedele della mia serenità psichica raggiunta dopo decenni di tumulti istintuali.
Ma a guardare bene, soprattutto nell'ultima serie di "(s)composizioni", si scorgono, in ognuno dei dipinti, alcuni indizi del mio disagio attuale, temporaneo forse, che fra qualche anno, probabilmente, sarà superato e archiviato definitivamente. Scaturisce dalla vitalità del mio corpo, ancora giovane, o dalle funzioni di esso che non mi appaiono gran che dissimili da quelle di vent'anni fa, il quale è costretto ad assecondare, suo malgrado, la sopravvenuta coscienza di adulto, esattamente come le forme, oggi, si adattano alle dimensioni imposte dalla tela.
Perciò le disposizioni geografiche a volte sembrano azzardate, come lo sono alcuni abbinamenti di colori apparentemente inconcepibili, il rosa pallido e il verde veronese, il giallo limone e il celeste turchese, l'ocra chiara e il violetto.
Insieme alla mia serenità, dipingo il disagio naturale per averla finalmente raggiunta.
E se me ne rendo conto cerco di fuggire, per ripercorrere a ritroso la strada che mi ci ha condotto, per godere ancora le gioie del percorso, le difficoltà della ricerca, anche le emozioni dei traguardi aspirati che non appaiono più, una volta raggiunti, la fonte di benessere che sognavo.
Forse perché la vera gioia consiste nell'esecuzione dei progetti.
Scomporre è altrettanto piacevole che comporre, distruggere lo è altrettanto quanto costruire. Il rischio è, essenzialmente, fermarsi nell'azione compiuta.
La conquista della serenità è stata, per me, una lunga battaglia che mi ha appassionato, stranamente, e, come un vecchio guerriero, conservo le mie ferite come cimeli, da mostrare a coloro che non hanno conosciuto la crudeltà di una guerra.
E come un vecchio soldato, istupidito (o estremamente saggio, chissà?), sono pronto a partire per un nuovo fronte.

Le due sorelle mi avevano sfrattato dal divano. Si erano sedute accanto a me costringendomi stretto stretto in un angolino scomodo proprio mentre stavo cominciando a gustare il mio riposo, il bicchiere di Cirò ed il Toscano. Dovevano stare larghe e affondate nei cuscini per potersi abbracciare, dimenando le gambe che roteavano nell'aria come spade. Perciò mi alzai e mi accomodai sulla sedia di fronte a loro portandomi appresso la bottiglia.
La visuale fu splendida e mi ripagò della scortesia subita perché potei dissetare i miei occhi con le cosce ben tornite di Lucrezia fasciate dai collant chiari, che si sollevavano spesso per mostrarmi anche i glutei sodi e invitanti. Continuai a sorseggiare il mio vino e ad aspirare voluttuosamente il sigaro, assaporando il liquido tra la lingua ed il palato per poi sostituirlo rapidamente col gusto del fumo caldo ed acre mentre il seno di Laura, a stento contenuto dalla maglietta nera, fluttuava scosso dalle sue risa e dagli spintoni maliziosi della sorellina.
Riuscivo così a non annoiarmi fingendo di ascoltare i loro discorsi o di ammirare il colore del vino sollevando il bicchiere contro la lampadina.
- I maschi sono tutti stronzi! - esordì Lucrezia, ma mi resi conto ch’era solo l'epilogo di una conversazione con la sorella, immaginai sulla onestà sentimentale degli uomini, il vecchio argomento che continuava a tenere banco durante i nostri incontri e che serviva da capsula detonante per innescare le nostre belle litigate.
Mi guardava dal basso verso l'alto al di sopra degli occhiali e aspettava impaziente che cogliessi la provocazione, come se prolungare la serata polemizzando con me avesse potuto placare il suo senso di colpa che, come al solito, precedeva di qualche ora la sua uscita con il ragazzino di turno.
- Però ti piacciono. - le risposi senza guardarla - Mi sembra di ricordare che il più stronzo di tutti, quel Roberto che le prende e le molla a due a due, ti piace ancora. E se potessi mettere da parte la stima che vuoi conservare di te, con lui ci torneresti subito. Non è così?
Le mie considerazioni crude ed impietose la facevano sempre sobbalzare come se la stessi sculacciando, facendola urlare non so (e non lo sapeva nemmeno lei) se di dolore o di piacere.
- Certo - sorrise amaro - più sono stronzi e più mi piacciono. Cosa ci posso fare?
- Potresti non andare con gli uomini. O cercartene uno tranquillo, che ti ami davvero e non voglia solo scoparti.
- Ecco, vedi - intervenne Laura - perché attirano di più gli uomini disonesti, arroganti, cattivi e non, invece, i ragazzi buoni... come Armando, per esempio, ch'era pazzo di te e tu non l'hai nemmeno filato?
- Ma Armando era troppo tranquillo - confermò Lucrezia seccata di dover ripetere sempre la stessa cosa. - Un uomo deve farti stare sulla corda. Altrimenti che gusto c'è? Cosa me ne faccio di uno che sa dirmi solo ti amo, vivo solo per te, ti penso sempre? Queste cose mi annoiano.
- Certo - la interruppi con cattiveria - è molto meglio se ti pianta qualche cornino o ti rifila una sberla di tanto in tanto, per farti capire ch'è un vero maschio.
- A me le sberle non le ha date mai nessuno.
- E sarebbe ora che qualcuno cominciasse, per farti calmare un po'.
Un sorriso speranzoso le illuminò il visino e mi guardò con il miglior atteggiamento di sfida che sapesse esprimere.
- Chi, per esempio?
- Proprio io. Mi piacerebbe darti uno schiaffo su quel viso impertinente. - le risposi mostrandole la mia grande mano aperta.
- ...Provaci! - mi sfidò apertamente, sicura che l'avrei fatto.
Mi alzai e mi avvicinai a lei che rimase immobile porgendo bene la guancia, assumendo un atteggiamento che avrebbe voluto far credere ch'era sicura che non l'avrei toccata.
Avvicinai la mia mano alla sua guancia, mi fermai un attimo guardandola negli occhi con un sorriso beffardo e le mollai un ceffone.
- Ah... come ti permetti!? - gridò tenendosi la faccia senza riuscire a reprimere un sorriso.
- Mi hai detto provaci ed io ci ho provato. Quando ne vorrai un altro dimmelo.
- Non ti permettere! Ma lo hai visto? - si rivolse indignata alla sorella - E tu non dici niente?
- Ma dai - recitò anche Laura - lo sai che ti vuole bene; era solo una pacca affettuosa. Ma tu perché lo provochi?
- Io non lo provoco, è lui ch'è un cafone. Non ha argomenti ed alza le mani.
- Va bene - le dissi - ti giuro che non ti picchio più. Per questa sera. Facciamo la pace? - e le tesi la mano fingendo di avvicinarmi minaccioso alla sua guancia rossa.
- No! - disse categorica mentre le accarezzavo il viso. Ma poi si sciolse in un bellissimo sorriso.
Ciò che mi piaceva di Lucrezia era esattamente la sua natura irrequieta e contraddittoria, il suo modo disonesto di trattare gli uomini, il suo aspetto semplice e quasi dimesso che non avrebbe fatto sospettare una personalità così complessa che si scopre, però, frequentandola e dialogando con lei per almeno un paio d'anni.
Perché dapprima si nascondeva ed attuava la sua strategia di seduzione mirando ad inibire le difese naturali dell'uomo che aveva sotto mano, per costringerlo ad innamorarsi di lei così perdutamente ed altrettanto inutilmente dato che quella passione non sarebbe stata per niente ricambiata.
Aveva fatto così con i diversi ragazzi che aveva avuto occasione d'incontrare da quando era stata piantata da Roberto, l'unico che l'aveva trattata con disprezzo ed anche l'unico che lei avesse amato davvero.
Le sue storie cominciavano con l'amicizia, con le uscite insieme per andare al cinema o in pizzeria, proseguivano con le conversazioni notturne in automobile che lei, abilmente, pilotava in direzione del sentimento, dell'amore, fino a spingere il poveretto a confessarle che... sì, gli piaceva molto ma non capiva ancora se era innamorato di lei. Seguivano diversi giorni d'incontri, telefonate, carezze casuali (o quasi), finché lui era cotto al punto giusto da dichiararle il suo amore (o presunto tale) ed allora Lucrezia, soddisfatta, lo abbandonava dopo avergli concesso niente più che qualche bacio e una veloce strusciata.
A quel punto il ragazzo era perduto nella passione che, come succede sempre, meno viene ricambiata più si accende e tormenta.
Lei, la mantide, si nutriva del malessere della sua vittima estemporanea che la esaltava e la faceva sentire donna desiderata riscattando, così, la sconfitta subita col ripudio di Roberto.
In fondo non le importava gran che di instaurare un rapporto fisico col suo corteggiatore, perché la sua sessualità era ancora poco sviluppata.
Da quando la conoscevo avevamo litigato tante volte perché io le dicevo sinceramente ciò che pensavo di lei, le dicevo di conoscerla meglio di quanto si conoscesse lei stessa e lei mi diceva ch'ero un presuntuoso antipatico.
Quasi ogni volta che ci lasciavamo eravamo imbronciati e non ci salutavamo nemmeno. Ma poi ci cercavamo ancora. O le mandavo un bacio tramite Laura o mi telefonava disperata perché, se non facevamo pace, non riusciva più a studiare.
Un giorno mi chiamò alle tre del pomeriggio, la sera prima avevamo litigato di brutto dato che, come al solito, contestavo alcune sue scelte.
- Ciao, sono Lucrezia.
- Lo so che sei Lucrezia, riconosco la tua voce anche se non è stridula come ieri sera.
- Che stai facendo?
- Sto parlando con una che dice di chiamarsi Lucrezia.
- Spiritoso. Non essere scortese, non voglio litigare. Facciamo pace?
- Non ho mai fatto guerra.
- Fai il diplomatico? Davvero, perché non facciamo pace? Non riesco a studiare e ho pure perso la voce.
- Perché non riesci a studiare?
- Perché sono agitata e penso a tutte le cose brutte che mi hai detto ieri sera.
- Anche tu hai detto cose brutte.
- Lo so. Allora, facciamo pace?
- Sei andata via senza darmi nemmeno un bacio.
- Avrei voluto picchiarti.
- Perché non l'hai fatto?
- Perché mi avresti fatto male.
- Forse è questo che vuoi?
- Forse. Allora, pace?
- E pace sia! Fino a quando?
- Fino a stasera.
Sia io che lei eravamo attratti reciprocamente dalle nostre personalità. A me piaceva il suo modo di essere una stronza affascinante e a lei piaceva il modo come uscivo indenne dalla sua trama, scoprendola e criticandola apertamente senza alcun timore di perdere il suo affetto che, invece, avevo conquistato definitivamente.
O forse pensava ancora di sedurmi, magari affinando la sua strategia per adattarla alla mia scaltrezza.
Certo, non aveva ancora pensato a coinvolgermi in un gioco sessuale, l'unico con cui avrebbe potuto travolgermi. O forse, pensavo, aveva rifiutato l'idea perché la sua sorellina non ne sarebbe stata troppo contenta in quanto Laura è mia moglie.
Se fossimo riusciti a proseguire così, saremmo rimasti sempre amici e avremmo litigato ancora per tanti anni, finché le forze mi avrebbero sorretto (non dovevo dimenticare che ho vent'anni più di lei).
Devo dire che, fisicamente, Lucrezia non mi piaceva troppo o meglio, non aveva quelle cose che io cercavo nel corpo di una donna. Il suo seno è piccolo piccolo e se non indossasse il reggiseno non si vedrebbe nemmeno. Io la prendevo un po' in giro, ma solo per sdrammatizzare il suo complesso, e le dicevo che le sue tettine m'incuriosivano e che mi sarebbe piaciuto vederle.
- Cresceranno ancora, vedrai.
- A vent'anni il seno non cresce più.
- Ma sì. Scommettiamo che a venticinque anni porterai la terza misura?
- Guarda, non parliamo del mio seno che vado in depressione. Parliamo del mio culo, ti va?
- Beh, è certo la cosa migliore che hai!
- Schifoso.
- Ora non farmi fare la figura del quarantenne voglioso. Hai detto tu di parlare del tuo culo.
- Cos'hai da dire sul mio culo?
- Solo ch'è il più bel culo che abbia mai visto.
- Non lo hai visto, l'hai solo intuito.
- Tesoro, non fai molto per nasconderlo.
- Perché lo dovrei nascondere? Non ti piace?
- Sì, mi piace. Ma a che serve se non posso darci nemmeno una pacca di tanto in tanto?
- Sei un maiale, ecco cosa sei. E non so come faccia mia sorella a stare con te.
- Perché non lo chiedi a lei?
- Già... Laura, ma come fai a stare con un porco simile? Sai cos'ha detto? che gli piacerebbe darmi una pacca sul culo.
- Beh, lo capisco, con un culetto simile chi non vorrebbe provarci? - aveva risposto Laura che, quando vuole, sa essere anche più depravata della sorella - Io so cosa piacerebbe a Luca, con una mano toccare il tuo culo e con l'altra accarezzare il mio seno - disse manovrando le sue mani come se fossero le mie.
- Brutte schifose - pronunciai indignato - non si tratta così un uomo alle dieci del mattino! - e me ne andai mentre loro sghignazzavano.

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