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L'uragano

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 23:25
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21/07/2009 21:58
 
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L'uragano - parte seconda
Laura è totalmente diversa da Lucrezia.
Ciò che più affascina in lei è la dolcezza, con la quale mi ha fatto innamorare quasi subito. Io provenivo da un'esperienza disastrosa con una donna autoritaria e arrogante che aveva apparentemente inibito tutta la parte più bella e buona di me.
Stavo per diventare cattivo e arrogante anch'io quando la incontrai e, dapprima, non la riconobbi sembrandomi inverosimile l'esistenza di una ragazza dolce e gentile come lei.
Fui attratto dalla sua quiete e mi adagiai sulla sua spiaggia languida, come un'imbarcazione squassata dall'uragano che raggiunga un golfo placido dove l'acqua è pulita e trasparente, dopo aver solcato per anni un oceano di onde limacciose.
La sua dedizione a volte mi commuove perché penso di non meritarla fino in fondo, soprattutto quando l'aggredisco esponendo le mie vecchie ferite, solo apparentemente guarite, ricucite alla buona per non morire dissanguato.
Con lei ho riscoperto la poesia dei baci che temevo di avere archiviato e che avevo sostituito, durante i miei anni tempestosi, con morsi voraci privi di sensualità. Ho ritrovato la fragranza del corpo di una bimba che esplode ogni sera sul letto offrendomi le sue parti che assaporo separate e poi ricompongo in un gioco allettante accarezzandolo, senza sgualcirlo, con le mani che temevo ruvide e che, invece, si rivelano morbide e infantili.
Laura mi fa sentire bambino, sotto la corteccia rugosa e ostica di adulto che mi aiuta a svestire.
Litigare con Laura è impossibile. Non è aggressiva abbastanza per sostenere nemmeno un banale diverbio e quando, per un motivo futilissimo, riciclo i miei antichi malesseri non ancora del tutto guariti, lei recede per prima rifugiandosi nella tana della sua tranquillità.
Mi lascia a litigare da solo pur senza ignorarmi, guardandomi con i suoi occhioni impauriti che vorrebbero non vedermi ed io me la prendo con me stesso, con la mia irruenza sgarbata e alla fine sono io a rintanarmi rabbioso.
Quando la riprendo, lei è sempre il batuffolo di cotone che avevo respinto rudemente, di nuovo mia per detergere le ferite che avevano ripreso a sanguinare, per stemperare con la dolcezza gl'impulsi astiosi, prodotti dall'odio di infiniti giorni e accumulati dentro di me alla rinfusa.
- Mi ami?
- Mi fai rabbia, per quanto ti amo.
- Dimmi che mi ami.
- E dammi la tua bocca. Lasciala così, morbida, per farmela gustare come se fosse il vino bianco. Labbra dolci di miele. Voglio assaggiare anche il tuo seno. No... non spogliarti, voglio mangiarti così, come una pesca matura. Siediti sul tavolo e lasciati fare tutto. Mi piaci, sì, mi piace tutto di te... e ti amo...
Laura ha un buon sapore, mi piace bagnarle la maglietta e sentire il suo gusto attraverso la stoffa, mi piace soddisfare il mio appetito stendendola sul tavolo della cucina mentre con le dita raccolgo i bocconi prelibati.
Adoro possederla con calma, in tutti i modi possibili consentitimi dal tempo amico del dopo pranzo, tra il tinnire dei bicchieri e delle posate nei piatti vuoti, mentre le voci dei passanti nell'attigua strada assolata eccitano le nostre fantasie narcise ch'esibiscono, per gioco, la violenza e la vergogna del coito.
Poi, sazio, raccolgo le briciole del mio pasto e le conservo nelle tasche della memoria golosa, talmente affaticata dalle passate avversità da rasentare l'avarizia. E durante il resto della giornata posso ruminare un lembo della sua pelle liscia e bianca come il latte, aspirare il suo odore rimastomi sulle dita, rievocare il sapore del suo seno, il solletico dei suoi capezzoli sul viso, e risentire, fra i rumori della città frigida, i suoi brevi lamenti ritmati sulle mie spinte.

Il giorno dopo Lucrezia venne a trovarmi al mio studio, dove trascorro gran parte della giornata, bussò delicatamente alla porta a vetri, quasi per non disturbare, appoggiandovi appena le nocche e dando veloci occhiate furtive attorno a sé, come un'amante segreta che tema il giudizio dei vicini. Aprendo la trovai con le mani incrociate dietro la schiena e mi guardava con l'aria da Alice nel paese delle meraviglie.
- Mi scusi, signor pittore, me lo farebbe un ritratto?
- Mi dispiace deluderla - le risposi serio - ma per i miei nudi cerco modelle molto carine. - e feci per chiudere la porta.
- Scemo!
- Ah, ma sei Lucrezia! Scusa, non ti avevo riconosciuta. Laura non c'è - le dissi - lo sai che la mattina è a scuola. O sei venuta proprio per me? Non oso sperarci.
- Perché, la cosa ti farebbe schifo?
- Ma no, entra stupidina, mi fa piacere la tua visita.
- Lo so, ti si legge sul viso. C'è scritto esattamente "Oh, che piacere inaspettato, questa splendida ragazza è venuta a cercare proprio me. Cosa avrò fatto per meritare tanto?"
- Sarà per lo schiaffo che ti ho dato ieri sera. Non puoi più farne a meno, vero?
- Di quello ne riparleremo, non credere di passarla liscia. Hai da fare?
- Solo questo stupido quadro, non riesco a terminarlo come vorrei.
- Ora che ci sono io ti verrà l'ispirazione. - si avvicinò per osservarlo meglio - Bello, perché non lo lasci così? Come s'intitola, Lucrezia?
- No, Lucy.
- E chi è questa? E' più bella di me? - ma, ai miei occhi esperti, la sua gelosia apparve solo un atteggiamento malizioso, buttato lì per farmi credere che ci teneva tanto alla mia considerazione.
- Non dirmi che sei gelosa. Proprio da te non me lo aspetterei.
- E di chi dovrei essere gelosa, di questi quadrati e di questi triangoli?
- Non sono quadrati e triangoli. E' una "(s)composizione" - e le spiegai il senso della mia ultima ricerca pittorica.
- Allora non si chiama Lucy!
- No, e non si chiamerà nemmeno Lucrezia.
- Però è bello, me lo regali?
- A una condizione.
- Quale?
- Che tu lo metta in camera tua, ai piedi del tuo letto per poterlo guardare anche la notte.
- Oh si! Mio Dio, mi masturberò guardandolo... che notti...
- Senti, piccola, ma nessuno ti ha mai mandato a fare in culo?
- Tu sei il primo - sussurrò avvicinandosi - il primo, capisci? - e questa volta assunse l'aria di Marlene nell'Angelo azzurro.
- Preferirei essere l'ultimo, tesoro. - le risposi con l'aria di Bogart in Casablanca.
La guardai per un po', mentre lei ruotava il suo visino impertinente e posava le pupille su tutto ciò che ci stava attorno evitando accuratamente il mio sguardo. Poi le presi la mano e lei, docile, si fece guidare s’uno sgabello, l'aiutai a sedersi, le presi anche l'altra mano nelle mie. Lei mi gettò uno sguardo fulminante, ma ai suoi fulmini ero abituato e non ci feci caso.
- Lucrezia... - le dissi.
- Dimmi... - mormorò fremente.
- Perché ogni volta che c'incontriamo dobbiamo recitare un film?
- Quale film?
- Via col vento, credo. Sei innamorata pazza di me e non vuoi confessarlo nemmeno a te stessa.
- ...innamorata... nel film o nella realtà?
- E' quello che vorrei sapere. - le dissi stringendole forte le mani e fissandola dritta nell'iride dove si distingueva benissimo la mia immagine.
- Perché se è la realtà reale che stiamo vivendo, allora dovremmo parlarne, se, invece, vogliamo vivere una fantasia, la realtà fantastica o il sogno reale, come preferisci, possiamo andare anche oltre e recitare fino in fondo questa parte che ci appassiona tanto.
Si morse le labbra mentre cercava la sua immagine riflessa nell'ocra dei miei occhi.
- E quali potrebbero essere le conseguenze di questo... lo chiamiamo gioco?
- Mi sembra il termine esatto. - annuii - Non saprei. Proprio perché sarebbe un gioco, potremmo modificarne la trama ogni giorno, adattarla ai nostri desideri quotidiani, alle nostre paure, ai nostri entusiasmi. Potremmo spingerla fino ai confini, indefiniti, del sentimento e posare una mano, o anche solo un dito nel territorio del sesso.
- Cosa vuol dire?
- Esattamente quello che ho detto. Questo è un dito - le mostrai il mio indice destro - e questo è il sesso - dissi indicando uno dei suoi seni.
Lucrezia osservò il mio dito che si avvicinò lentamente alla sua maglietta e si posò, come un'ape, in corrispondenza del suo capezzolo.
- E, se la cosa non ci spaventa, possiamo usare la mano intera che diventa uno strumento del gioco, un giocattolo biologico.
Le dita della mia mano si aprirono come uno sciame e poi si chiusero sulla sua tettina stringendola appena appena. Lei la guardava immobile, come impietrita o ipnotizzata, con le braccia abbandonate lungo il tronco. La mia mano l'accarezzò risalendo sul collo fino ad afferrare il suo mento e le girai la testina verso di me.
- Cosa ne pensi di questo gioco per adulti?
- ...ho paura... però mi piace.
- Ne riparleremo... quando vorrai. Ora ti andrebbe di fare qualcosa per me? - le dissi alzandomi e riprendendo i pennelli.
- No, per niente. Ma dimmi di che si tratta, vedrò di accontentarti.
- Grazie... siediti sul divano... così, brava... ora prendi quel libro ed aprilo a pagina 152... trovata? Bene! Leggila ventiquattro volte e sta' zitta, per almeno mezz'ora.
- Ma guarda questo... ed io che lo sto a sentire.
- Amore... hai promesso. Lasciami finire il quadro, dai!
- Non ti parlo più. Parola che non ti parlo più.
Si tolse le scarpe, si accoccolò sul divano e s'immerse nella lettura.

Laura rientrò tardi, perché una riunione imprevista l'aveva trattenuta a scuola ed aveva perso il treno delle 12,20. Distratto dal mio lavoro e dalla visita di Lucrezia, non avevo cucinato niente e fummo costretti a consumare un'insalata di pomodori e del formaggio.
La sua sorellina se n'era andata in silenzio, salutandomi a gesti pur di non venir meno al giuramento di non parlarmi più. Aveva rifiutato il consueto bacio di commiato ed io, per dispetto, l'avevo spennellata di verde sulla guancia. Aveva annotato anche questa tra le cose da farmi pagare alla prima occasione.
Il pranzo sarebbe stato velocissimo se la pioggia non avesse cominciato a scrosciare. Il cielo si oscurò repentinamente e l'acqua venne giù a secchiate, scaraventata sul davanzale della finestra spalancata, a rinfrescare un'estate pigra che si prolungava oltre i suoi confini stagionali.
Mi piacque subire l'ispirazione della sete che contrastai col vino rosso, saporito come la frutta matura.
I filamenti ininterrotti di cielo, che, liquido e freddo, si precipitava sull'asfalto a lavare spessi strati di polvere, solcavano il quadro oblungo della mia visuale segnandolo come "tagli" di Fontana. Gl'intonaci delle palazzine, inzuppati a larghe chiazze, assumevano strane colorazioni scure che si allargavano in ripide discese, accogliendo il buio incombente, a tratti percorso da frustate saettanti.
Prolungai la colazione per godermi lo spettacolo del temporale, attizzai la mia arsura col formaggio piccante e col ricordo recente dell'agosto afoso, proprio per dissetare con desiderio voluttuoso la gola e gli occhi adulti, quasi stanchi della natura e delle piccole emozioni ch'essa procura.
Laura osservava impaurita sobbalzando ad ogni tuono che scrollava le fragili imposte. Le chiesi di non chiudere la finestra e lei lasciò che mi saziassi di brividi. Quando la bufera cessò la bottiglia era vuota, accesi il mio sigaro per prolungare il lento piacere delle piccole cose ed abbrustolii, insieme al tabacco amaro, anche i miei pensieri ubriachi.
Laura dell'occhio sinistro beveva il cielo che si apriva e Laura dell'occhio destro mi scrutava indagatrice. Ed io chiusi l'occhio destro, l'attirai a me e la baciai sull'unica bocca che trovai ad accogliermi.
- Cos'hai oggi?- mi chiese - ti sei scolato la bottiglia senza dire una parola.
- Scusami, ero distratto dal temporale. Spero di non essere ubriaco.
- Quante sono queste? - disse mostrandomi i seni.
- Due... lo sapevo, vedo già doppio.
- Ma no, due è la risposta esatta.
- Che fortuna. Cos'ho vinto?
- Il premio lo riceverai subito. Chiudi gli occhi e socchiudi la bocca.
Eseguii le sue disposizioni mentre immaginavo già il premio, che sentìì subito dopo insinuarsi fra le mie labbra. Accolsi il suo capezzolo duro e lo succhiai lentamente, spremendolo come un bimbo affamato. Lei, che reggeva la mia testa guidandola, con l'altra mano mi offriva il seno eretto, quasi staccandolo dal corpo, per vedere meglio la mia bocca che lo suggeva e immaginando che stessi baciando il seno di un'altra.
- E adesso, bacia un po' anche il mio... - mormorò spingendomi verso il suo seno sinistro che aveva denudato.
Io colsi al volo la sua fantasia erotica, continuai a baciarle entrambe eccitandomi sempre di più, scelsi un nome per la nostra provvisoria compagna e la chiamai ora col suo nome vero, poi con quello dell'altra, baciai la bocca di Laura e subito dopo morsi le labbra di Lisa. Questo nome la fece sciogliere di piacere perché Lisa è una sua collega molto carina che ha un debole per me.
Quando Lisa mi aveva visto (non sapeva ch'ero sposato con Laura) le aveva detto:
- Vedi, con quello ci andrei a letto anche senza conoscerlo, senza sapere come si chiama.
- Se vuoi glielo posso chiedere - l'aveva interrotta Laura - lo conosco bene, è mio marito.
E me l'aveva presentata subito, senza darle il tempo di riprendersi. Lisa, frastornata, mi aveva teso la mano timidamente, forse temendo che Laura si fosse offesa o perché si aspettava qualche battuta imbarazzante. Quando aveva ritrovato il colorito, si era accostata all'amica e le aveva bisbigliato all'orecchio:
- Questa sera, fagli qualcosa anche da parte mia.
E quella sera Laura era scivolata sotto il tavolo, aveva tirato la cerniera dei miei jeans e mi aveva offerto un dolcissimo dessert.
- Questo da parte della mia amica Lisa. - mi aveva detto dopo.
Non l'avesse mai detto. La notte diventò lunghissima e, in nome di Lisa, che in quel momento, probabilmente, fantasticava a sua volta aspettando il suo stanco compagno che le avrebbe offerto un veloce amplesso, ripercorremmo, senza mai cedere all'ansia dell'arrivo, tutti i sentieri lussuriosi che i nostri corpi, durante la loro breve convivenza, avevano saputo inventare.

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