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L'uragano

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 23:25
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23/07/2009 20:15
 
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L'uragano - parte quarta
No, piccola Lucrezia, non è stato così, la nostra fantasia si era trasformata in realtà e andava oltre il dischetto e il nostro computer. Il nostro gioco continuava per tutto il giorno, lo sai, ci tormentava coi ricordi delle carezze, degli sguardi, dei baci che non abbiamo mai voluto chiamare con questo nome.
"Poggia le tue labbra sulle mie" dicevi prima di lasciarmi, e io ti baciavo, mordevo la tua bocca, masticavo il tuo labbro. Un bacio casto non è un bacio? Ma io il tuo sapore l'ho sentito, ho assaggiato il desiderio che ti affiorava fra i denti, che ricacciavi a forza nella gola mentre io volevo succhiarlo per cibarmene.
Lucrezia sembrava più scaltra di me, ma in effetti le sue parole erano anche le mie. Semplicemente, io aspettavo che a pronunciarle fosse lei per concederle il privilegio di guidare le prossime mosse e, forse, per acquietare la mia coscienza in agguato.
Per diversi giorni, dopo quella mattina, Lucrezia non venne a trovarmi e non mi telefonò. Furono giorni terribili di attesa e di tormento.
Senza una briciola di vergogna, la mia convivenza con Laura proseguiva nella tranquillità di sempre, solo fomentata dal mio desiderio sessuale moltiplicato. Il nostro gioco era intervenuto anche sulla mia fisicità sconvolgendo i ritmi biologici che si erano pianificati in anni di routine.
Laura non si accorgeva di nulla, e come avrebbe potuto immaginare un tradimento così squallido? era certa che il rapporto tra me e Lucrezia fosse basato sull'affetto e la sincerità. Indovinava l'ascendente che, da sempre, avevo avuto sulla sua sorellina e sperava che io diventassi per lei una guida ed un sicuro punto di riferimento, come se fossi stato il suo fratello maggiore o addirittura il padre che non aveva conosciuto.
Se sapesse in quale fango di lussuria incestuosa ci siamo rotolati, ne proverebbe orrore. Se immaginasse anche soltanto le parole che ci siamo scambiati, o gli sguardi, nei quali erano racchiusi tutti i desideri repressi, distorti e adattati all'esecuzione della nostra trama. Se solo potesse interpretare il nostro distacco, avvenuto repentinamente, o la nostra ripugnanza a parlarci, o a scriverci. Cosa sarebbe di lei se sapesse? E cosa sarebbe di noi?
La sue giornate proseguono tranquille come sempre, con i punti cardinali della sua vita segnati a grandi lettere su ognuna delle sue azioni: io, il suo lavoro, il suo gatto, sua sorella. E se uno di questi riferimenti venisse a mancare improvvisamente, lei sarebbe naufraga nella geografia del mondo, più sola e condannata di un relitto sperduto.
La sua spiaggia assolata e pulita, timorosa delle nuvolaglie innocue e delle brezze notturne, agonizzerebbe di terrore alla vista del nostro uragano. Del quale siamo stati registi e interpreti, forse anche lascivi spettatori, e che, sfuggito alle nostre deboli redini, ci ha spazzato via come fuscelli.

Sono sicuro che Lucrezia provasse lo stesso senso di repulsione che invadeva anche me ogni volta che il nostro gioco smetteva.
Ma era solo la lontananza dei nostri corpi che alimentava quel disagio incontenibile, e la prima reazione era la promessa a noi stessi di smetterla, di cancellare quella tresca immorale e di provare a dimenticare.
Ma era un disagio di poche ore, giusto il tempo che il nostro cervello elaborasse e giustificasse le azioni appena compiute. Poi il nostro insano desiderio ritrovava il terreno fertile sul quale sarebbe germogliato, e le giornate diventavano lunghe e insignificanti, in attesa del nuovo giorno che ci avrebbe ancora corrotto.
Noi, consenzienti, tornavamo ad accendere il computer, ad inserire il dischetto, a interpretare, con rinnovata libidine, i ruoli che ci assegnavamo di volta in volta.
- TI AMO, SONO PAZZA DI TE. QUESTA NOTTE NON HO DORMITO PERCHE' PENSAVO AL MIO SENO DENTRO LA TUA MANO. NON SONO RIUSCITA A SMETTERE NEMMENO PER UN MOMENTO DI PENSARTI E MI SONO ACCAREZZATA FINGENDO CHE LA MIA MANO FOSSE LA TUA, HO PERCORSO TUTTO IL MIO CORPO CHE BRUCIAVA E TREMAVA, TI VOLEVA. L'HO PERCORSO DECINE DI VOLTE DOLCEMENTE, POI L'HO STRETTO NELLA MORSA DELLE DITA, L'HO PALPATO, TORMENTATO, SCHIACCIATO, STRITOLATO, INFINE HO TROVATO UN PUNTO PIU' CALDO ED UMIDO DEGLI ALTRI ED HO CAPITO CHE IL DESIDERIO DI TE NASCEVA DA LI' E SI SPANDEVA PER TUTTO IL CORPO.
LA MIA MANO (LA TUA) HA SCOPERTO QUELLA VASCHETTA DI PIACERE E CI SI E' AFFONDATA, NON L'HA MOLLATA PIU' PER TUTTA LA NOTTE, SFREGANDOLA E PENETRANDOLA CON LE DITA. NON SO QUANTE VOLTE SEI SCOPPIATO IN ME. CENTO FORSE, O MILLE, ED OGNI VOLTA ERA PIU' BELLO.
- MI SAREBBE PIACIUTO VEDERE LA TUA MANO (LA MIA), ACCAREZZARE LA TUA PELLE E AFFONDARE IN QUEL PUNTO DOVE NASCE IL DESIDERIO DI ME. VORREI VEDERTI MENTRE SOGNI LE MIE CAREZZE ED ESSERTI ACCANTO QUANDO LA TUA VOGLIA ESPLODE.
Lucrezia si girò, allargò le gambe e poggiò i piedi sulla mia sedia. Con calma, sempre guardandomi negli occhi, sollevò la gonna mostrandosi senza apparente pudore, sfilò le mutandine fino al ginocchio e cominciò ad accarezzarsi.
La sua mano sembrò esitare lungo le cosce, poi giunse sulla vulva dorata e le sue dita si smarrirono. Le intravidi ritrovarsi brillanti di rugiada, inseguirsi frenetiche e nascondersi di nuovo, inventare un ritmo col suo respiro. Ed i suoi occhi, Dio! è come se li vedessi ancora, sempre fissi su di me, senza alcuna vergogna, affondare come le dita fin dentro gli occhi miei, inumidirsi anch'essi mentre ansimava e stimolava sempre più veloce il suo piacere.
La mia vista impazzita vagava, senza aver deciso una meta, dalla sua mano al suo viso, entrambi contratti dalla foga dell'orgasmo che la rapì, sotto il mio sguardo, così vicino e violento che mi parve di sentirne i fremiti. Solo per un attimo chiuse le due stelle luminose e, riaprendole, mi apparve bellissima e stanca.
Allungai la mia mano, il nostro giocattolo, e lei mi porse la sua che portai sulle mie labbra. L'aiutai a sistemarsi mentre gustavo ancora il suo sapore dolciastro e lo mischiai con le sue labbra.
- Il dischetto è ancora inserito - le dissi - e voglio dirti che ti amo, ricordalo anche quando sarai a casa, questa notte, e ripenserai alle brevissime ore che hai trascorso qui. Vorrei rubarti al mondo e tenerti con me, rinchiuderti in un cubo di vetro e guardarti vivere. Sì, t'imprigionerei se ti potessi avere. Perciò fuggi da me, finché sei in tempo!
La tenevo stretta e lei sentiva tutto il mio desiderio penetrare attraverso i nostri vestiti e raggiungere la nudità del suo corpo. Avrebbe voluto, lo so, abbandonarsi sulla scrivania e fare l'amore, accogliermi nella realtà come fantasticava la notte, ma sapeva reprimersi, per timore della sua coscienza che le aveva già consentito troppo.
Anch'io lottavo con me stesso, con quella parte razionale di me che si opponeva all'istinto bestiale che voleva possederla. E mediavo, ogni volta, una soluzione aleatoria di compromesso tra il corpo animale e la coscienza di umano che mi sentivo cucita sulla pelle. Che avrei voluto strappare e calpestare perché rendeva così difficile e dolorosa la splendida intesa fra di noi.
Lucrezia era pronta per abbandonarsi completamente ma ciò che la tratteneva era la stessa identica paura che attanagliava anche me. Ognuno di noi aspettava che fosse l'altro a decidere per entrambi, come se l'arditezza di uno, che ci avrebbe trovato concordi, avesse potuto attenuare o rendere sopportabile il senso di colpa insopprimibile che avvolgeva, come una nebbia, i nostri incontri.
Ma, come la nebbia, forse ci proteggeva agli occhi del mondo che ci avrebbe condannati, isolava i nostri corpi dalla realtà circostante troppo severa e inesorabile per le nostre fantasie ludiche che avevano necessità di vivere anche i desideri incestuosi, le brame lussuriose proibite.
Il nostro gioco si appagava di sé. E si proteggeva dal giudizio degli altri confinandosi in un arco temporale limitato e invalicabile, perché sapevamo, come solo i bambini sanno, che la censura può colpire la realtà ma non riesce mai a insinuarsi nei giochi, che ne restano immuni.
Ripercorrevamo le nostre esperienze infantili, Lucrezia, bambina appena svezzata e Luca, adulto incolpevole della sua crescita che gli è stata imposta impietosa e crudele, come una punizione della natura.
Ma di quali peccati, o di quali reati sono colpevole per meritare il castigo enorme della vecchiaia che si prospetta all'orizzonte? Come un treno che sarà impossibile deviare. Io godevo solo di una brevissima fermata e mi dissetavo prima di riprendere il viaggio.
Lucrezia, invece, ha davanti a sé tutta la vita e non può ancora avvertire il disagio di un corpo che cede lentamente alla gravità della morte. Eppure fu lei stessa a parlarmi di paura, a dirmi che la consapevolezza di una fine lunga, diluita nel tempo, è così violenta e inaccettabile più di quanto lo sarebbe nella compattezza e immediatezza di un attimo.
La tortura del tempo, che io conosco e che lei, forse, ha intuito, ci ha costretti a vivere il nostro minuto di pausa prima di un'altra accelerazione che potrebbe essere l'ultima. La nostra fortuna è di aver riconosciuto la stazione.
Quanti viaggiatori non si accorgono nemmeno delle fermate? E continuano a sonnecchiare o a parlare di cose inutili mentre il convoglio ti offre l'opportunità di vivere, breve, intensa, da afferrare e divorare al volo per ritrovarsi qualcosa da pensare e da digerire durante il viaggio.
Ora che ho vissuto il mio uragano, l'ultimo, forse, prima della quiete, ogni acquazzone o un breve temporale mi appariranno banali perché conosco la violenza della pioggia unita alla furia cieca del vento; sono stato trascinato per chilometri, come un tronco sradicato percorre la piena del fiume incontenibile.
O, forse, l'ho amata davvero? Ho troppi dubbi per ritrovare la serenità perduta, ma è certo che vivrò se avrò il coraggio di smantellare anche le ultime certezze che mi sono rimaste.
Cosa sarà di me, se deciderò di "(s)comporre" l'ultima parte della mia vita?

Lucrezia diventava sempre più bella, quasi che la nostra avventura ne avesse modificato ed abbellito i caratteri somatici, o ero io che, preso dalla passione, avevo riversato su di lei tutte le fantasie sul corpo femminile che mi accompagnavano da quando ero un ragazzo. Anche i suoi seni, che per molto tempo non mi avevano interessato, erano diventati splendidi nella loro piccolezza, desiderabili come due susine acerbe che la polpa amara rende più gustose.
Dure come il marmo ricordavo le sue tettine nella mia mano, eppure soffici come il velluto, elastiche come un palloncino, appuntite come le castagne. Avrei affondato il viso nel suo petto di adolescente, vi avrei strofinato i capelli, il naso, le labbra, avrei bevuto alle fontanelle dritte che offriva alla mia sete, che si moltiplicava nella fantasia per non appagarsi mai.
Lucrezia mi ha donato tutto il suo corpo ma non l'ho mai posseduta. A poco a poco, centimetro per centimetro, nel nostro gioco furono accolti, ma è più esatto dire che s'imposero approfittando di particolari momenti, entrambe le mie mani e la mia bocca, che perlustrarono tutta la superficie del suo corpo, soffermandosi sui seni che assaporai a lungo, succhiandoli e masticandoli con fame vorace, sul suo frutto succoso conservato fra le gambe, nel quale mi smarrii per ore intere cercandone i sapori più nascosti.
Lei mi lasciava fare, smarrendosi a sua volta nel piacere che le procuravano le mie carezze ed i miei baci, si donava tutta aprendosi, spingendo con forza il mio viso dentro di sé.
Del mio piacere non si parlò mai, come se fosse normale o convenuto che il mio sesso non avrebbe avuto alcuna parte attiva nel nostro gioco, come se gli orgasmi suoi avessero dovuto necessariamente appagare anche me.
Né io né lei menzionammo mai il mio desiderio, che apparve secondario per il proseguimento della storia.
Le mie esigenze sessuali si appagavano completamente con Laura, ed ho pensato spesso che questa fosse una cosa bruttissima. Ma l'istinto bestiale che la natura ci ha costretto a subire, nonostante ci abbia imposto anche un'intelligenza vivissima ed una sensibilità esasperata, mi costringeva ad usare il corpo di Laura, come avrei utilizzato il corpo di un'altra qualunque donna che mi si fosse offerta.
Pensai pure che le due sorelle vivevano una simbiosi inconsapevole e che i desideri dell'una corrispondevano ai piaceri dell'altra; in fondo la più eccitante fantasia erotica di Laura era la visione di me che facevo l'amore con un'altra. E Lucrezia rinunciava al piacere estremo della penetrazione ch'era prerogativa incontestabile della sorella maggiore.
Eravamo amanti. Me ne resi conto solo dopo un mese, quando già conoscevo ogni centimetro di lei e potevo rievocare a memoria tutte le pieghe della sua pelle.
Lei mi amava, al di là del gioco ch'era rimasto un alibi accettabile per le nostre coscienze immature, ed anch'io l'amavo, forse proprio perché non potevo possederla, ma sarebbe dipeso anche solo da me, o da una sua parola, o da una circostanza più favorevole.
Un giorno arrivò al mio studio trafelata dalla corsa, perché aveva poco tempo, esaudì il rito del computer e si sedette sulla scrivania proprio di fronte alla mia sedia. Io presi il mio posto consueto, le tolsi le mutandine e mi abbassai fra le sue gambe.
Il primo contatto con la mia bocca la mandò in estasi, poi le piacque sentire tutta la mia testa stretta fra le cosce e la spinse con forza finché si sciolse tutta. Fu velocissima. Io la sentivo, e restai ancora un po' per godere dei suoi fremiti che mi pulsavano sulle labbra.
Rideva, mentre risistemava i suoi indumenti.
- Grazie amore, come farei senza di te?
- Dovresti fare da sola, ma non sarebbe così bello.
- Lo so, forse è proprio per questo che ti amo. - diceva guardandomi con aria sorniona.
- Ne sono certo. - le risposi fingendo di crederci.
- Non è vero, stupido - e mi abbracciava - ti amo perché sei meraviglioso e non posso più fare a meno di te.
- Ora dove vai?
- Ho un appuntamento, con un compagno d'università. Sei geloso?
- Io non posso essere lui e lui non può essere me. Di cosa dovrei essere geloso?
- Luca, scherzavo. Da quando... sono innamorata di te, non m'interessa più nessuno. Questa storia è troppo forte, più di tutto quello che ho provato finora, e mi capita una cosa strana della quale vorrei parlare con te.
- Di che si tratta?
- No, adesso non ho tempo, devo scappare. Ti chiamo stasera.
- Ma... non lasciarmi così, accennami almeno qualcosa.
- Non ci pensare, non è così grave, ti amo. Ti amo, ti amo... spegni il computer altrimenti continuerò a dirtelo anche dalla strada.
Quando fu fuori si guardò in giro, non c'era nessuno, si voltò e mi chiese:
- L'hai spento?
- No.
- Ti amo.
- Non lo spegnerò più.
- Sei pazzo! Ti amo. - e mi guardò per rimproverarmi, o per prendermi con sé, o per capire cos'ero per lei.

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