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Spieghiamo la Mafia ai ragazzi

Ultimo Aggiornamento: 01/12/2009 07:46
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04/11/2009 22:29
 
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un saggio di basettun
Questo mio lavoro è stato pubblicato su un periodico locale, sono stato denunciato dalle istituzioni interessate, dalla chiesa, dalla massoneria e...strano ma vero, dalla mafia. Il tribunale ha deciso che le denunce andassero tutte archiviate. Dalla pubblicazione del mio saggio sono scaturite indagini che sono tuttora in corso.
Se pensate che può essere interessante ne pubblicherò un capitolo al giorno.

Spieghiamo la Mafia ai ragazzi

Vi propongo un mio lavoro il cui obiettivo è di socchiudere un nuovo spiraglio di visione politica sulla Mafia, partendo da una ricerca didattica e proponendo una possibile risoluzione militare del problema, che è stato affrontato, finora, solo dal punto di vista dialettico e repressivo delle manifestazioni periferiche a causa, secondo me, di una interpretazione di comodo di questo fenomeno sociale.
Preciso che la dizione fenomeno sociale è impropria, dato che considero le attività criminali, organizzate o estemporanee che siano, una manifestazione coerente con la personalità vera dell’uomo, quella ancestrale che prescinde da millenni di educazione alla legalità, alla convivenza civile e alla deferenza reciproca fra gli esseri umani.
Il rispetto delle leggi, che gli uomini si sono date, fin dall’inizio della loro esistenza, per realizzare e mantenere efficienti e dignitosi gli assembramenti di uomini sullo stesso territorio, è una condizione indispensabile per garantire la sopravvivenza non solo dei più forti o dei più furbi, ma anche degli ingenui e dei deboli, dei bambini, degli anziani, di tutti insomma.
Come tutti gli esseri viventi che popolano il nostro pianeta, anche l’uomo ha insito, nel proprio dna, l’istinto della supremazia, sui vegetali, sugli altri animali, sugli stessi esseri umani. In natura il più forte mangia il più debole, o lo sottomette per servirsene. L’uomo, senza i condizionamenti dell’educazione, avrebbe gradito sottrarre il cibo a chi non sa difenderlo, senza doverselo procurare attuando l’esercizio rischioso della caccia, avrebbe preferito stuprare le donne a suo piacimento, senza dover ricorrere al rito del corteggiamento, avrebbe attuato volentieri la soppressione dei deboli, degli ammalati e degli anziani, che rappresentano bocche da sfamare e quindi lavoro da dedicare agli altri.
L’educazione civica e l’educazione alla legalità, servono a pianificare le aspettative di tutti, a rendere conformi a uno standard, accettabile e migliorabile, le esistenze dei singoli individui all’interno di una comunità.
Certo è un traguardo ambizioso che non si può cogliere come un frutto dall’albero, va costruito e accudito, sviluppato nella sua complessità come abbiamo fatto finora, e non è poco, ma va studiato e perfezionato adottando tutte le conoscenze e le conquiste.
Durante questo percorso lungo e accidentato, la Scuola, più che la famiglia, riveste un ruolo determinante che può agevolare, o sconvolgere, la prosecuzione del progetto. La Scuola, perciò, non può e non deve mentire.
Ma sul cosiddetto fenomeno Mafia la Scuola, secondo me, ha mentito e continua a mentire. A volte in modo velato, altre volte in modo spudorato, più spesso esibendo la mediocrità intellettiva e operativa tipica dei codardi, che adottano atteggiamenti e strategie di vita ispirati alla prudenza diplomatica, pur di conservare i privilegi acquisiti. E di privilegi, nel secolo scorso, la Scuola ed i suoi operatori ne hanno acquisito parecchi. La Scuola, mi riferisco soprattutto all’Università, ha trasformato il proprio ruolo in affare economico, che di per sé non sarebbe da biasimare, ma lo ha fatto eludendo i principi del suo fondamento. L’effetto è abbastanza evidente, dove c’è un affare economico è presente la Mafia e al cospetto della Mafia ogni principio nobile è mortificato. Da qui l’affanno della Scuola, primaria e secondaria, per cercare di recuperare il terreno perduto, ma raffazzonando concetti e insegnamenti obsoleti e devianti che non rendono giustizia alla fame di verità che i giovani, oggi, pretendono.
C’è una corsa ai progetti legalità e si invitano esperti e magistrati a conferire con gli insegnanti e con gli allievi, ma il discorso, trito e ritrito, una specie di aria impanata e fritta nella negligenza delle Istituzioni e nella corruzione dilagante, viene alla fine servita sul piatto umiliato della politica, spacciata per panacea dei mali che affliggono le nostre città.
Questa mia trattazione del tema forse apparirà una violazione della regola del politicamente corretto, e ben vengano le critiche se serviranno a stimolare un dibattito.
I capitoli di questo mio lavoro sono un crescendo di approfondimento, di cui gli insegnanti della Scuola con la “S” maiuscola potranno fare un uso proficuo per formare una nuova generazione di italiani consapevoli, non plagiati dalle informazioni di comodo propinate dai programmi scolastici ministeriali.

Capitolo 1 – Chi sono. Capitolo 2 – Che cos’è la Mafia. Capitolo 3 – La situazione in Calabria. Capitolo 4 – Il “dialogo” fra lo Stato e la Mafia. Capitolo 5 – “Evoluzione” della Mafia. Capitolo 6 – Il ruolo della Massoneria. Capitolo 7 – L’organico della Mafia. Capitolo 8 – La guerra allo Stato Mafia, strategie, tempi e metodi. Capitolo 9 – Conclusioni.

continua
[Modificato da basettun 04/11/2009 22:50]
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05/11/2009 22:20
 
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Chi sono.

Qualche decennio fa rinunciai a proseguire nella professione di insegnante perché non mi sentivo pronto, avevo ancora da imparare. Ero troppo simile ai miei allievi per poter sperare d’insegnare loro qualcosa di utile, ma dovevo sopravvivere e feci altri mestieri, alcuni molto pesanti che m’impegnarono fisicamente, altri stressanti dal punto di vista psichico e così continuai a studiare e a sperimentare nuove vie d’espressione, per lo più la notte, chiuso nel mio laboratorio di pittore.
Ebbene sì, sono un pittore. Anche bravo, dicono i critici d’arte. Non pensino coloro i quali mi conoscono come istruttore di tiro che essere un pittore sia una contraddizione. Tutt’altro, la mia passione per le attività sportive che si praticano con le armi è nata contemporaneamente alla passione per la pittura. Due passioni né convergenti né divergenti, parallele, forse, che mi hanno impegnato fin da giovanissimo e mi hanno dato, entrambe, grandi soddisfazioni. Qualcuno direbbe l’altra faccia della medaglia, ma preferisco considerare l’una il compendio dell’altra. Perché mi posi, fin da subito, il dilemma dell’essere uomo in questa regione: rifugiarsi nel romitaggio fantastico dell’arte o affrontare da combattente una realtà drammatica.
Ora, tutti sappiamo che i dilemmi sono strane bestie con due corna e quando le incontri puoi girarti e fuggire il più lontano possibile o decidere di affrontarle. Dipende dal coraggio che ti ritrovi nel dna. Cercando negli anfratti delle arterie ne trovai talmente tanto che scelsi, senza pensarci troppo, la via più difficile ma, sostenuto da una razionalità acuta, invece di prendere il mostro per un corno solo, col rischio d’essere infilzato dall’altro, lo afferrai per entrambi scongiurando il pericolo di soccombere subito.
Una vita di scuotimenti e traumi, certo, ma con la coscienza sedata per aver fatto una scelta d’onore: l’arte, pensiero sublime di aspirazione al divino e lo sport con le armi, che mi rammenta l’indole guerriera propria dell’uomo.
Ma cosa c’entra tutto questo con la Mafia, direte voi. Vedete ragazzi, oggi credo di essere pronto per fare l’insegnante, già lo faccio coi miei allievi al poligono di tiro, ma vorrei insegnarvi che cosa può fare un uomo, in Calabria, per poter continuare a dirsi uomo, nonostante tutto.
1° - Non perdete mai l’aspirazione al divino, l’arte ne è un mezzo privilegiato.
2° - Cercate una guerra da combattere, la lotta alla Mafia è un fronte d’onore.


Che cos’è la Mafia.
(fiaba adatta ai bambini della scuola elementare)

Immaginate una grande famiglia di contadini, come quelle di una volta, padre, madre e undici figli. Questo è lo Stato del quale facciamo parte.
Come si usava una volta, il padre era il vertice dello Stato che emana le leggi e la madre rappresentava le Istituzioni che devono farle rispettare. Possiamo dire, perciò, che il padre era il Parlamento e la madre comprendeva la Magistratura e le Forze dell’Ordine. Tutti i figli lavoravano e producevano ricchezza e la famiglia prosperava.
A un certo punto tre di questi figli decisero che lavorare è troppo stancante, erano i più svogliati e credevano pure di essere i più furbi. Cominciarono a chiedere denaro agli altri fratelli e questi si lamentarono con la madre. La madre intervenne, fece loro una bella ramanzina e li rimandò nei campi.
Ma i tre furbetti, di giorno facevano finta di lavorare e di notte, indossato un passamontagna, minacciavano i fratelli. Questi avevano paura e davano loro il denaro, ma non tutto quello che avevano, solo una piccola parte. I furbetti avevano capito che chiedendo una piccola cifra ad ognuno degli altri otto fratelli, questi, poiché minacciati di rappresaglia, pagavano senza fiatare.
La madre, che vigilava perché era suo dovere farlo, si accorse che tre dei suoi figli ostentavano una ricchezza ingiustificata, perciò li pedinò, anche di notte, e li sorprese mentre minacciavano gli altri fratelli. Altre ramanzine, sculacciate, calci nel sedere fino ai campi e tutto tornò nella normalità.
Ma il capo dei tre birbanti capì che la madre costituiva un ostacolo alla loro prosperità e gli venne un’idea brillante. Con una parte del denaro sottratto ai fratelli onesti, comprò un bel vestito e lo regalò alla mamma.
Oh che bellezza di seta e merletti! La madre non vedeva un bel vestito così fin da quando si era sposata, e quel taccagno del padre non le aveva mai fatto regali. Non se la sentì di rifiutare il dono.
Quella sera non uscì per controllare che tutto andasse bene, la sera successiva prese strade diverse e si fermò a specchiarsi nel fiume e per tutte le altre sere, quando pure le capitò d’incontrare qualcuno dei suoi figli, mascherato per non farsi riconoscere, si girò dall’altra parte fingendo di non aver visto niente.
Ricevette altri regali, un paio di scarpe nuove, trucchi e rossetti, perfino mutande di pizzo.
Il padre, quando tornava a casa, non la riconosceva più. Era sì più attraente ma la percepiva distratta. S’insospettì quando la madre smise di raccontargli le bravate dei tre discoli, come se tutto, improvvisamente, fosse tornato normale.
Ma sì, va tutto bene, diceva la madre. E in cuor suo pensava che accettare regali non era poi un gran male, dato che il padre le passava solo un misero stipendio.
Il padre rimuginò per giorni, aveva notato che tre dei suoi figlioli non avevano più i calli sulle mani, segno che non usavano più la vanga, erano sempre in giro per osterie e vestiti alla bell’e meglio. Parlò con gli altri figli e quelli, chi per paura, chi perché pensava che la bella vita piacerebbe a tutti e magari un giorno sarebbe passato fra le fila dei birbanti, non raccontarono nulla.
Il padre, allora, chiamò in disparte i due figlioli più grandi e assegnò ad ognuno un incarico. Ad uno ordinò di sorvegliare, in segreto, i figli disonesti, e all’altro di sorvegliare, in segreto, la madre. Aveva inventato i Servizi Segreti.
Ora c’è da dire che i due figli, già adulti, nel tempo libero frequentavano un circolo denominato “Sassoneria”. I soci di questo circolo si aiutavano e sostenevano l’un l’altro prestandosi attrezzi e mano d’opera e così a loro non mancava mai nulla.
Se a qualcuno serviva il trattore, uno dei soci glielo prestava, se a un altro serviva una mano per la semina, tutti si davano da fare. Ma c’era un giuramento di sangue da rispettare: chi non faceva parte della Sassoneria non aveva diritto ad alcun tipo d’aiuto.
Il padre, che aveva sempre tollerato questa usanza perché, da giovane, era stato Sassone anche lui, pensò di aver trovato un sistema per esercitare un controllo efficace sulla famiglia. Ma si sbagliava.
I due fratelli Sassoni chiamarono subito il capo dei birbanti e gli proposero un patto, in cambio del loro silenzio chiesero una parte del bottino. Il birbante ne parlò con gli altri e decisero di accettare, tanto più che si avvicinava Natale e dato che ogni Natale il padre concedeva un regalo a tutti, decisero di estorcere un po’ di denaro in più agli altri fratelli per farne un gruzzolo da donare ai fratelli Sassoni.
Così questi non raccontarono mai al padre di come andassero veramente le cose.
Era davvero una situazione imbarazzante. Il padre sapeva che tre dei suoi figli rubavano agli altri fratelli, che la madre non li sorvegliava e che i due figli più grandi non controllavano nulla. Inoltre vedeva che i figli onesti, oltre a dover fare il lavoro degli altri, venivano pure derubati. La famiglia era allo sfascio.
Quella che doveva essere una famiglia fondata sul lavoro di tutti, dove ognuno aveva un ruolo, chi operativo, chi di controllo e chi di giudizio, si era trasformata in una famiglia di lavoratori derubati e di criminali protetti da chi, invece, avrebbe dovuto proteggere i lavoratori onesti.
Né poteva pensare, il padre, di licenziare la madre e procurarne un’altra, perché una volta non si usava e poi, si sa, di mamma ce n’è una sola.
Fu così che quella famiglia si disgregò, perché degli altri sei figli, uno scappò di notte, s’imbarcò sul treno e non si vide più, uno si ribellò e venne ucciso a bastonate, uno passò tra le fila dei birbanti, uno cominciò ad ubriacarsi e finì in ospedale, uno fu rinchiuso nella stalla perché voleva andare dal padre a denunciare tutto e l’ultimo, l’ultimo dei fratelli onesti restò a combattere la sua guerra e decise di scrivere questa fiaba.
Il padre era troppo vecchio per imporre le sue leggi e farle rispettare, fu costretto a tollerare e se si fosse ribellato, sarebbe finito in fondo ad un pozzo.

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06/11/2009 22:54
 
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La situazione in Calabria

In modo molto semplificato, la fiaba precedente illustra la situazione della nostra regione.
Per continuare, cari ragazzi, vi devo informare che correrò un grosso rischio di essere arrestato, perché fin quando si dice no alla Mafia, senza aggiungere altro, va tutto bene, ma quando si comincia a parlare di Istituzioni coinvolte nel meccanismo della Mafia, tutto cambia e ci si può ritrovare nel mirino di qualche magistrato o di qualche funzionario delle forze dell’ordine.
Esiste questo tabù che bisogna infrangere con coraggio perché, fin quando ne avremo paura, la guerra alla Mafia non sarà nemmeno cominciata. Non bisogna dimenticare che, fino agli anni sessanta, c’erano ancora molti magistrati e molti politici che asserivano che la Mafia non esiste, che era solo un’invenzione dei giornalisti. A quel tempo i giornalisti avevano coraggio da vendere e qualcuno ha pagato con la vita le proprie affermazioni che andavano controcorrente. Ancora oggi c’è chi stenta a classificare, come associazione a delinquere di stampo mafioso, le organizzazioni criminali delle quali fanno parte anche uomini delle Istituzioni, solo perché non si trovano, o non si vogliono trovare, i collegamenti con le cosche mafiose conclamate. Ma di questo aspetto, per così dire, subdolo della Mafia parlerò in seguito.
A quanto pare, a un cittadino comune non è consentito possedere senso critico e capacità di giudizio o, almeno, di manifestarlo. La giustificazione di questa censura si esprime con due correnti di pensiero: i magistrati e le forze dell’ordine dicono che non si possono lanciare accuse infondate, che bisogna avere le prove di quanto si dice e produrre denunce circostanziate con nomi e cognomi, altrimenti si commette il reato di diffamazione nei confronti delle Istituzioni stesse; sempre i magistrati, le forze dell’ordine ed anche i politici, dicono che propagare notizie così devastanti è nocivo, perché potrebbe causare la resa delle persone oneste, sia dentro che fuori le Istituzioni, che ancora credono nella possibilità che la Mafia possa essere sconfitta o almeno contrastata a ben più alti livelli.
Purtroppo, adesso la gran parte dei giornalisti si adegua a tali disposizioni, dimostrando, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto sia, oggi, asservita al potere e soprattutto al potere “deviato”, una buona fetta della categoria dei giornalisti.
Entrambe, le suddette correnti di pensiero, secondo me nascono e muoiono dentro un secchiello di sabbia, quello che abbiamo in dotazione, fornito dalle stesse Istituzioni che dovrebbero contrastare a viso aperto la Mafia, e dentro il quale dobbiamo infilare la testa, secondo codeste persone, per non vedere la decomposizione della nostra comunità e non sentirne il fetore.
Forse costoro vivono in un altro pianeta o forse non sono in buona fede, o forse i Servizi Segreti non li informano che le persone oneste, tutte, sanno perfettamente che la Mafia, intesa come progetto economico globale, è protetta fin dai vertici dello Stato, che il Parlamento non emana leggi adeguate per contrastarla, consente che vengano applicate male quelle che già ci sono, e soprattutto non esercita una vigilanza costante e severa sulle Istituzioni che devono farle rispettare.
I rappresentanti dello Stato, i politici, salvo rare occasioni, si limitano a dare segni di vita solo in due casi: in prossimità delle elezioni politiche e nel caso che venga colpito un rappresentante delle Istituzioni.
Ma, l’avrete notato anche voi, quando muoiono le persone comuni lo Stato tace.
Questo comportamento, a saperlo leggere come si legge un segnale radio con onde lunghe, ma molto lunghe, la dice, appunto, lunga sul (presunto) messaggio che lo Stato (inteso come l’insieme dei politici a livello nazionale, regionale ecc.) invia al cosiddetto Antistato: non vi allargate troppo! a noi non ci dovete toccare!
Del “dialogo”, fra lo Stato e l’Antistato, ne abbiamo avuto un esempio negli anni novanta quando quell’altra Mafia che si chiama Cosa Nostra inviò segnali di minaccia ben precisi ai politici e lo Stato reagì dichiarando guerra ai corleonesi.
Anche qui in Calabria, dopo l’omicidio Fortugno, lo Stato ha dichiarato guerra alla ‘ndrina di Locri, ma solo a quella, e vedrete che la vincerà, proprio per dare il cosiddetto segnale forte che consegue, non è mai precedente, al segnale forte della ‘ndrangheta.
Sembra, ma è solo una mia impressione, che lo Stato, nella partita contro la Mafia, giochi sempre in difesa. Più avanti vedremo perché.
Il Prefetto De Sena, nel giro di qualche mese, ha scoperchiato il pentolone dell’Asl di Locri, che verrà commissariata. Sorge spontanea la domanda: ma i prefetti che lo hanno preceduto che cosa facevano, dormivano? E i questori dormivano anche loro? E i magistrati e tutti gli investigatori si prendevano il sole alle Maldive? E i Servizi Segreti giocavano a bocce? Perché viene commissariata l’Asl di Locri e non anche le Prefetture, le Questure, i Commissariati, le caserme dei Carabinieri e i Tribunali?
Ed è forse sicuro, il Prefetto, che le altre Asl della provincia siano pulite? Che tutti gli altri Uffici Istituzionali siano puliti? Che tutte le Amministrazioni Politiche siano pulite? Se due più due fa ancora quattro, io credo proprio di no. Il Prefetto De Sena ha ancora tanto lavoro da fare ma ho seri dubbi che lo Stato (questa volta intendo l’insieme di Governo, Parlamento e tutte le Entità Giuridiche che ho prima nominato) gli consenta di continuare.
Il segnale forte è stato dato e tanto dovrebbe bastare. Ma spero di sbagliarmi. (Purtroppo non mi sbagliavo e al Prefetto De Sena è stato impedito di continuare n.d.a.)
E’ meglio che mi dia una calmata, sento già tintinnar di manette e dopo tutte le denunce che ho fatto, ogni volta che sento bussare alla porta temo o che siano venuti a trovarmi i sicari della ‘ndrangheta o i Carabinieri per arrestarmi.
Lo crederete un paradosso ma preferirei, per motivi d’onore, che fossero i primi.
Probabilmente (voglio lasciarmi un sentiero di fuga) il Prefetto De Sena possiede poteri speciali che gli altri non hanno mai posseduto (perché?), sarà quindi una specie di Superman mentre tutti gli altri sono comuni mortali. Questo spiegherebbe tutto.

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07/11/2009 22:14
 
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Il “dialogo” fra lo Stato e la Mafia

Quello che non sono riuscite a fare le Brigate Rosse, essere riconosciute come Entità Politica che dialoga con lo Stato, è da sempre un privilegio della Mafia.
Le ragioni sono semplici, le BR sono nate molto tempo dopo dello Stato italiano, sia di quello repubblicano che di quello, ancor più lontano, monarchico, che scaturì dal Risorgimento. La Mafia, invece, ha radici lontane piantate saldamente nel Regno delle Due Sicilie.
In Sicilia, soprattutto, i nobili dell’epoca, pur sotto il dominio borbonico, avevano al servizio dei piccoli eserciti, formati da delinquenti e assassini, che avevano il compito di proteggerli e allo stesso tempo erano autorizzati a svolgere i loro traffici senza essere disturbati. Erano le cosche mafiose dell’800. Il governo borbonico che, come tutti gli invasori, aveva stipulato accordi con la nobiltà, tollerava la situazione. Inoltre i vari clan criminali, al soldo dei potenti, tenevano l’ordine nelle province lontane, il che costituiva una grande comodità. La Mafia, perciò, era la vera padrona del Regno e godeva di benefici e privilegi ai quali non avrebbe rinunciato, se non in cambio di patti che ne garantissero la continuità. Situazioni analoghe erano presenti in Calabria, in Campania ed in Puglia.
Gli ideali di unificazione dell’Italia si scontrarono con questa realtà che era del tutto diversa da quella dell’Italia settentrionale. Le società segrete, che furono il motore politico delle guerre d’indipendenza, mirarono alla cacciata degli eserciti invasori, anche a costo di stringere alleanze con la malavita organizzata del Sud. All’inizio, nemmeno l’unificazione dell’Italia sotto lo stesso monarca fu un obiettivo primario, infatti la Carboneria mirava ad un grande Stato federale, ma infine prevalsero le ragioni di Mazzini e della “Giovine Italia”.
Come si vede, Bossi e la Lega Nord non hanno inventato niente. Solo che uno Stato federale avrebbe consegnato, di fatto, le regioni del sud ufficialmente alla Mafia e ciò sarebbe apparso immorale, mentre con la soluzione mazziniana è avvenuta la stessa cosa, ma in modo sotterraneo e salvando le apparenze.
L’artefice politico dell’unità d’Italia fu Cavour, primo ministro del Re piemontese Vittorio Emanuele II. Gli storici parlano anche di un ruolo determinante della Massoneria nel Risorgimento italiano. E’ utile ricordare che, dei circoli massonici, facevano parte nobili, ufficiali dell’esercito, grossi industriali, politici, magistrati, insomma solo la gente che contava nella vita politica ed economica del tempo. Presumo che gli accordi fra i piemontesi e i siciliani furono organizzati e portati a termine proprio dalla Massoneria, dato che era l’unica entità sviluppata e coordinata sull’intero territorio geografico italiano.
Fatto sta che la Spedizione dei Mille fu una passeggiata e Garibaldi, che non a caso cominciò la sua avanzata dalla provincia di Trapani e in tre giorni giunse indisturbato a Palermo, grazie all’appoggio logistico e militare concesso dalla Mafia conquistò l’intero Regno delle Due Sicilie e lo consegnò al Re del Piemonte. Correva l’anno 1860.
A quell’epoca la politica era una cosa che riguardava soprattutto le classi economiche più agiate e gli intellettuali. Alle popolazioni povere del Sud poco importava di chi fosse a governare, perché, alla fine dei conti, avevano a che fare col capo clan della loro zona, in genere un grande possidente di terre, che distribuiva il lavoro di cui avevano bisogno e al quale erano grati anche per un piatto di minestra.
Era una storia che proseguiva, sempre uguale, da generazioni, fin dall’epoca dell’antica Roma. I poveri del Sud, sempre terra di conquista, sempre colonia di un’altra Nazione, avevano sviluppato un senso dello Stato molto più circoscritto e ravvicinato, quasi rionale, e si rivolgevano al padrino del luogo con quella deferenza che si concede ai monarchi, proprio perché la mano del monarca foraggiava solo i padrini, era quasi un monarca virtuale, mentre il padrino era lì presente e si poteva pure toccare, ed era il padrino che decideva se una famiglia doveva prosperare o solo sopravvivere o anche essere eliminata.
La lontananza dei vertici dello Stato non fu un problema, ma una precisa strategia politica scaturita dai patti che precedettero la Spedizione dei Mille.
Questo atteggiamento, obbligato, dei governi centrali, determinò la “deviazione” del concetto di Stato nelle popolazioni del Sud e sarà un’impresa, adesso, raddrizzarlo. Altro che Unità d’Italia!
Con queste premesse, dopo il successo dell’impresa, la Mafia si rafforzò e continuò a svolgere il proprio ruolo di garante dell’ordine, in cambio di ricchezze elargite dal governo centrale. Tutto il denaro, che confluì nel meridione della nuova Italia, fu governato e distribuito dalla Mafia, che era diventata un referente politico.
E’ un po’ quello che accadde nelle epoche storiche successive nelle province coloniali africane e quello che succede ancora oggi, per esempio in Somalia o in Etiopia dove, pur di garantire un ordine pubblico efficiente e scongiurare conflitti in una zona preziosa per le strategie occidentali, le ricchezze e gli aiuti umanitari vengono assegnati direttamente ai clan, che li gestiscono secondo un loro criterio insindacabile.

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09/11/2009 23:00
 
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“Evoluzione” della Mafia

Dopo la prima guerra mondiale, l’Italia si ritrovò in una situazione economica disastrosa. Mentre gli industriali si erano arricchiti in modo spropositato, i poveri erano diventati ancora più poveri e, la storia ce lo insegna, quando i poveri sono troppi diventano una minaccia alla stabilità politica di una Nazione. Inoltre la scolarizzazione obbligata, ch’era stata introdotta dopo l’Unità d’Italia, aveva provocato, nel Nord, la nascita di una classe popolare operaia e contadina più colta. Questa popolazione, per così dire, politicizzata, cominciò a rivendicare i diritti sociali che, fino ad allora, gli erano stati negati e diede inizio ad una serie di scioperi e proteste.
I grossi capitalisti dell’epoca capirono subito che il popolo, povero ma colto, era come una bomba ad orologeria e, per non fare la fine della Russia, affidarono a Mussolini il compito di tenere l’ordine. Detto fatto, il Partito Nazionale Fascista prese le redini del potere e, con l’appoggio della nobiltà e della Chiesa, governò per vent’anni e ci trascinò in un’altra guerra.
Nel frattempo la Mafia si era evoluta. Con la divisione dei latifondi i capi delle bande di criminali che proteggevano i ricchi divennero anch’essi proprietari terrieri e così, in misura minore, anche gli altri componenti dei clan a seconda del loro grado gerarchico. Per la gran parte erano persone ignoranti e sanguinarie che continuarono a svolgere il ruolo di garanti dell’ordine pubblico, ma con la visione distorta del criminale, gestendo, nella loro zona di pertinenza, le attività lavorative lecite ed illecite dalle quali pretendevano un profitto, il cosiddetto pizzo. A loro volta dovevano corrisponderne una parte al nobiluomo del posto affinché questo, ch’era colto ed introdotto a pieno titolo nella gestione politica, garantisse loro l’immunità dalla legge.
La strategia era semplice, chiunque volesse lavorare doveva assoggettarsi al dominio del criminale del luogo. Chiunque volesse esercitare un dominio doveva rispettare il potente. Si era creato un equilibrio basato su regole precise che dimostrarono la loro efficacia, tanto che lo stesso sistema è giunto fino ai giorni nostri.
I nobili, quasi tutti affiliati alla Massoneria, non avevano perso nulla, né in ricchezze e tanto meno in potere, dall’applicazione delle conquiste sociali strappate coi denti e col sangue dal popolo.
Anche l’ideologia fascista, applicata nelle regioni meridionali con approssimazione, non scalfì più di tanto i privilegi della Mafia, perché essa era uno Stato sotterraneo, infiltrato a tutti i livelli locali, anche negli uffici politici. Mussolini ebbe presto altro a cui pensare e si ritrovò invischiato in una guerra che, probabilmente, non avrebbe voluto, ma i grossi industriali del Nord si dovevano arricchire e cosa c’è, meglio di una guerra, per potersi arricchire velocemente? La guerra mise in moto tutta l’economia italiana ed anche i nobili del Sud, che avevano interessi nelle grosse industrie e nelle banche del Nord, spinsero per l’espansione globale dell’impero fascista. Fu un disastro e l’Italia si ritrovò ancora un esercito straniero sul suo territorio, questa volta erano i tedeschi di Hitler.
Dopo ottantatré anni la storia ebbe il suo ricorso e l’esercito degli Stati Uniti d’America percorse l’avventura di Garibaldi allo stesso, identico, modo.
Fu identico nelle strategie, nelle alleanze con la Mafia, nei patti segreti che furono stipulati. I garibaldini a stelle e strisce presero la Sicilia, poi la Calabria e tutto il meridione.
Lo Stato Mafia veniva ancora riconosciuto sovrano dell’antico Regno delle Due Sicilie, e questa volta con carte scritte, seppellite sotto tonnellate di segreti di Stato.
Il secondo dopoguerra fu il banco di prova del nuovo assetto politico-mafioso della nazione, la sperimentazione degli equilibri raggiunti e delle intese economiche fra i due Stati: lo Stato italiano unitario e repubblicano e lo Stato federale della Mafia.
Le due organizzazioni dovevano convivere in perfetta armonia sullo stesso territorio, sul quale, per beffa del destino e della storia, prosperava pure un altro Stato, quello del Vaticano. I patti dello Stato italiano con lo Stato del Vaticano si chiamano Patti lateranensi, perché stipulati, nel 1929, presso la basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, mentre non si conosce il luogo dove, nel 1943, furono stipulati i patti con lo Stato della Mafia. Si presume in territorio degli Stati Uniti d’America fra quello Stato (che rappresentava l’Italia, poi uscita perdente dalla guerra) e Cosa Nostra siciliana che rappresentò le “regioni” mafiose del Sud Italia. Logica vuole che debbano esistere altri patti stipulati dallo Stato Mafia anche con lo Stato del Vaticano, patti che riguarderebbero non solo accordi economici e di spartizione delle ricchezze ma anche di controllo del territorio.
Finita la guerra, il governo americano consegnò il territorio italiano agli antifascisti, ai mafiosi e alla Chiesa cattolica, riservandosi il dominio militare per cento anni, il cosiddetto Patto Atlantico, con l’obiettivo di preservare l’area mediterranea dagli interessi sovietici. Quali garanti del rispetto dei patti stipulati, furono nominati rappresentanti del nuovo Parlamento italiano, in primo luogo ministri e deputati del partito della Democrazia Cristiana, lo stesso nome fa intendere che essa rappresentava anche gli interessi politici ed economici della Chiesa, gli ex fascisti riciclati nei partiti della destra parlamentare, e la nobiltà sempiterna che esprimeva, attraverso il tramite della Massoneria, gli interessi politici ed economici della Mafia.

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Il ruolo della Massoneria

In epoca contemporanea abbiamo, quindi, in Italia, tre Stati che devono convivere e prosperare sfruttando le risorse umane e le ricchezze di un territorio geografico comune. Essi sono: lo Stato italiano repubblicano, lo Stato della Chiesa Cattolica e lo Stato federale della Mafia. Ognuno di questi Stati sovrani ha la propria Costituzione, cioè i fondamenti etici ai quali devono ispirarsi le leggi che regolano la vita sociale.
Noi conosciamo il testo, ufficiale, della Costituzione italiana, conosciamo i principi, ufficiali, ai quali si ispira la Chiesa, e, negli anni 70/80, siamo venuti a conoscenza di alcuni testi che spiegano le ragioni, chiamiamole storiche, e che a una lettura superficiale possono apparire romantiche, che hanno dato origine alla Mafia.
Ma quei testi, che comprendono giuramenti, iniziazioni e regole comportamentali, risalgono alla fine del XIX secolo.
La divulgazione di queste ultime informazioni, diffuse artatamente postume proprio quando in Italia si verificavano eventi politici estremi incontrollabili e dai probabili esiti sovversivi, ma come se costituissero il verbo dei padri della Mafia, nonostante che fossero già state superate da un secolo di evoluzione di quella organizzazione criminale, hanno avuto la stessa funzione di un testo scolastico e hanno plagiato le generazioni successive le quali hanno assimilato i concetti falsati dell’onore e della libertà, esaltati dal mezzo subdolo ma necessario per preservarli: l’omertà.
L’obiettivo, negli ultimi tre decenni del secolo scorso, fu la realizzazione di una linea tagliafuoco che separasse gl’impeti rivoluzionari dei giovani dall’equilibrio politico ed economico ch’era stato acquisito dai tre Stati.
Pur di conservare quell’assetto stabile, costituito fin dalla fine della seconda guerra mondiale e che si basava, soprattutto, su accordi con lo Stato di Cosa Nostra, che all’epoca egemonizzava la federazione degli Stati mafiosi, furono sacrificati, fra gli altri, il politico Aldo Moro e il Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il primo aveva ipotizzato, all’interno del partito della Democrazia Cristiana, una sorta di accomodamento, passato alla storia come compromesso storico, affinché il passaggio, da una democrazia fondata sui patti con la Mafia ad una democrazia vera, potesse realizzarsi senza intermezzi bellici. Ma trovò l’ostacolo dei conservatori sia nel Partito che nel Vaticano, dato che le coscienze non erano mature e, quindi, sarebbe stato impossibile sottrarre, pur se gradatamente e con un percorso diluito nei decenni a venire, il territorio, le ricchezze e i benefici che, da sempre, erano dominio assoluto della nobiltà installata e consolidata in alcuni siti geografici italiani, compresi quelli meridionali sorvegliati dalla Mafia.
Il Generale Dalla Chiesa ebbe il “torto” di essere un investigatore con le palle. Se le avesse lasciate a Roma, portandosi appresso dei simulacri, tanto per l’occhio della gente come si usa fare ai giorni nostri, forse oggi sarebbe ancora vivo. Dalla Chiesa fu un servitore fedele di quello che lui credeva, o voleva credere, essere lo Stato e questa svista gli costò la vita.
Sarà una coincidenza grammaticale, ma tra vita e svista ci sono due terribili SS che si sono inserite nella sua esistenza e, secondo me, ne hanno determinato l’epilogo. Lascio ad ognuno di voi la soluzione del rebus.
I magistrati Falcone e Borsellino vollero dare credito ad un pentito storico di Cosa Nostra, quel Tommaso Buscetta che passò come un fantasioso, quasi un artista della Mafia, il quale, superando di troppi anni quelle che, allora, erano le “passeggiate” di gran parte della magistratura palermitana, insinuò il sospetto che la Mafia fosse già uno Stato, inserito organicamente nel contesto amministrativo, politico, militare ed economico dell’Italia. Esattamente quello che comincia, solo ora, a prospettare, ma solo ipotizzandolo quale obiettivo della Mafia proiettato nel futuro, qualche magistrato meridionale coraggioso. Tuttavia, questi scopritori dell’acqua calda dei nostri tempi possono stare tranquilli perché non rischieranno di fare la fine di Falcone e Borsellino, finché non si saranno immersi nel mare che separa la sponda sabbiosa del dire dalla scogliera insidiosa del fare.
Pensiero ed azione, che fu il motto di Mazzini e dei rivoluzionari dell’epoca, trova oggi ben pochi seguaci che siano disposti a rischiare di passare alla storia come martiri.
Tornando alla Costituzione dello Stato italiano, saremmo degli ingenui se pensassimo che essa sia la trascrizione integrale degli accordi veri intercorsi fra i tre Stati (Italia, Vaticano e Mafia). Io sono convinto che la vera Costituzione dello Stato italiano sia custodita nei forzieri americani, e, probabilmente, una copia è custodita in Vaticano ed una copia nelle cassette di sicurezza della Massoneria.
Ma perché proprio la Massoneria?
Dal dizionario Garzanti della lingua italiana (XIX edizione, novembre 1980):
“massoneria, 1. società segreta di origine remota, che nella sua forma moderna sorse in Inghilterra nel sec. XVIII, ispirandosi ai principi del deismo e del razionalismo illuministici: diffusa in molti Paesi, appoggiò i movimenti liberali e diventò un’associazione di aiuto reciproco fra gli adepti ordinati in una rigida gerarchia. 2. per estens., spirito di corpo che spinge gli appartenenti a uno stesso ambiente, organismo o simili, a sostenersi fra loro. Abbr. di frammassoneria, dal francese franc-maçonnerie. frammassone, lo stesso che massone. Dal francese franc-maçon, libero muratore”.
Sulla Massoneria ho una mia idea ben precisa che vorrei rendere pubblica.
Quella che un tempo era una società segreta, diffusa su tutto il territorio geografico della Nazione ed in molti altri Paesi occidentali, costituiva, in pratica, l’anagrafe dei nobili, intesi come discendenti da antiche famiglie medievali che, nei secoli precedenti, erano state protagoniste delle vicende militari, politiche ed economiche. Quando le conquiste sociali avevano loro sottratto i feudi, e quindi anche il potere militare che generava potere politico, questi, per non soccombere alla “volgarizzazione” del loro ruolo, si erano riuniti in logge segrete, con competenza territoriale, a loro volta coordinate da un governo centrale.
Lo scopo era di organizzare la loro presenza nella vita sociale del Paese, di salvaguardare, per quanto possibile, i loro privilegi e di dirigere o almeno influenzare le scelte politiche ed economiche dello Stato. Per raggiungere tale scopo era necessario che i soci della Massoneria fossero presenti nei posti chiave delle Istituzioni, che restassero fedeli al giuramento prestato e che non rendessero pubblici i veri obiettivi dell’associazione. Tutto ciò era garantito da un regolamento ferreo dal quale era proibito discostarsi, anche in minima parte, pena la perdita dei benefici economici acquisiti, ritorsioni di vario genere e talora la morte.
Ma ben poche furono, nel tempo, le occasioni di procedere con le punizioni più dure, dato che il potere, i benefici e la ricchezza riuscivano a tacitare anche le coscienze meno luride. Del resto, ribellarsi o uscire dalla loggia era impossibile perché gli altri soci, insediati in tutti i livelli delle Istituzioni, avrebbero lavorato con l’intento comune di screditare ed abbattere il socio dissenziente.
Per ovviare a questo problema, che evidentemente si era presentato più di una volta, si inventò la regola del socio “dormiente”, il massone non operativo che restava ad occupare il posto assegnatogli e che, per questo, non costituiva pericolo dato che non si aspettava ritorsioni. Il “dormiente” poteva tornare utile in altre occasioni meno impegnative o destarsi se il suo posto fosse stato insidiato da un “profano”.
All’inizio, della Massoneria potevano fare parte solo i nobili di stirpe accertata, ma in seguito ne fecero parte anche i borghesi, che si erano arricchiti con il fiorire delle industrie sfruttando il progredire della scienza e della tecnica. Dalla seconda metà del 1800 ci fu un proliferare di nuovi ricchi, che con la nobiltà vera e propria non avevano nulla a che fare, che rivendicavano con vigore il ruolo di protagonisti delle vicende politiche e delle scelte economiche del nostro Paese.
Anch’essi, schiacciati fra la politica pura da una parte e la pressione del proletariato dall’altra, bussarono alle porte della Massoneria e ne furono accolti trascinandosi appresso un codazzo di servitori e portaborse.
Era inevitabile, come in tutte le vicende degli uomini, che l’idea primaria della Massoneria finisse per adattarsi al mutare dei tempi e delle ideologie. Ma in una cosa questa associazione è rimasta fedele, all’edificazione meticolosa di una trama fitta, infiltrata a tutti i livelli delle Istituzioni, delle quali, talvolta, si è totalmente impossessata, dagli organici dei Servizi Segreti fino ai vertici dell’Esercito e delle altre Forze Armate, quindi delle Prefetture, delle Questure, delle caserme dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, perfino delle Polizie locali, per non parlare degli enti gestori delle risorse pubbliche, dei Comuni, delle Province, delle Regioni. La Massoneria è presente in ogni luogo ed ufficio ove si possa gestire potere e denaro. Ma non solo, è anche presente nei Tribunali, sia fra i magistrati che fra gli avvocati, perché nei Tribunali si può decidere di concedere o negare la Giustizia, di organizzare trame criminali per infangare la dignità o anche solo la credibilità degli individui, a seconda delle necessità strategiche del momento.
E’ presente nel Parlamento della Repubblica, dove si possono confezionare leggi fatte su misura per agevolare gli arricchimenti dei soci rampanti, e quelle che servono a stroncare le concorrenze sgradite.
Ma questa organizzazione, pur così ben concepita e realizzata, ha dovuto fare i conti con le evidenti e determinanti differenze culturali fra il Nord e il Sud dell’Italia. Nel Nord i borghesi (o nuovi arricchiti) provenivano da una parte della classe operaia, quella intraprendente che aveva saputo sfruttare i canali aperti dalle conquiste sociali e dalla scolarizzazione, mentre nel Sud i nuovi arricchiti erano quasi tutti contadini ed allevatori che erano rimasti ignoranti, anche se avevano appreso e sviluppato la spregiudicatezza dei nobili che avevano servito fino a poco tempo prima e dei quali ora si servivano per ottenere quella protezione che solo i nobili potevano garantire. Quei nobili facevano parte delle logge massoniche del Sud ed erano il punto di riferimento per chiunque volesse amministrare anche solo una briciola di potere e di ricchezza.
Erano, e continuano ad essere, i ponti fra il crimine e la parvenza etica dello Stato.
Quando lo Stato italiano vietò l’esistenza di società segrete, la Massoneria fu costretta ad uscire allo scoperto e dovette organizzare un’immagine che non apparisse in contrasto con l’ordinamento dello Stato (sempre quello italiano). L’esigenza fu di dare in pasto, all’opinione pubblica, la scenografia di un teatro nobile i cui approfondimenti culturali furono esaltati da critici interessati. Se ne propose un quadro di eroi del Risorgimento, di costruttori della Patria e di paladini della Giustizia. Gli elenchi dei soci furono rimaneggiati col fine di epurare i nomi dei personaggi scomodi o di quelli strategici, e furono scremati proprio per eludere il sospetto della infiltrazione operativa nei gangli nevralgici dell’organizzazione statale. Quei nomi, sottratti alla conoscenza pubblica, furono inseriti in elenchi segreti e quindi in logge segrete, ma dato che non si possono ricordare a memoria, quegli elenchi esistono e costituiscono, come vedremo nei capitoli successivi, il vero tallone d’Achille della Massoneria.
Qualche volta è capitato che venisse scoperta qualche loggia massonica segreta, non dimentichiamo “Propaganda 2”, ed è stato in quelle occasioni che si è inventato il termine di Massoneria deviata, con la finalità di limitare le indagini a quella loggia e consentire lo smistamento degli adepti.
Nell’ottica dei rapporti politici fra lo Stato Italia e lo Stato Mafia, l’aggettivo deviata è diventato l’alibi, sbattuto in faccia ai creduloni, per giustificare una defaillance del sistema che, come tutti i sistemi, non può essere infallibile.
La stessa logica supporta i Servizi Segreti deviati, le Istituzioni deviate e la Politica deviata che, proprio perché deviati, sono usciti dai binari della loro destinazione istituzionale perseguendo fini illeciti, oscuri e/o non previsti dall’ordinamento ufficiale. Proseguendo con l’esempio ferroviario, possiamo affermare che le manifestazioni deviate, che riusciamo a intravedere, sono il treno reale, mentre quello istituzionale è un carrozzone fittizio, esattamente come quello cinematografico di nome Matrix.
Sebbene la Massoneria ufficiale si sforzi, ma non poi tanto, per affermare una immagine di sé pulita e al di sopra di ogni sospetto, resta il fatto che nelle indagini della magistratura essa compare, sempre più spesso, associata a nomi di mafiosi conclamati, di politici e di alti prelati dello Stato del Vaticano, nonostante che quest’ultimo abbia sempre voluto far credere che la Massoneria e la Chiesa sono come il diavolo e l’acqua santa. Ma di questo rapporto “bollente” parleremo dopo.
Qualcuno potrebbe dire che i rapporti fra i singoli individui prescindono dal contesto istituzionale nel quale si realizzano e che le responsabilità sono soggettive, ma quando in quasi tutte le indagini compare il nome della Massoneria, diventa legittima la richiesta dei cittadini che chiedono di indagare sull’associazione tutta, al fine di verificare se le ragioni etiche della sua costituzione siano vere o ingannevoli.

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11/11/2009 22:04
 
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L’organico della Mafia

Per evitare confusioni, dato che non sono aggiornato sul vocabolario della lingua mafiosa, descriverò l’organico dello Stato Mafia con linguaggio italiano.
La struttura organizzativa dello Stato federale della Mafia è semplice e sotto gli occhi di tutti, tranne di quelli che vogliono restare bendati. Esiste lo Stato Cosa Nostra che governa nella regione italiana Sicilia, lo Stato ’ndrangheta che governa nella regione italiana Calabria, lo Stato Camorra che governa nella regione italiana Campania e lo Stato Sacra Corona Unita che governa nelle regioni italiane Puglia e Basilicata. Ognuno di questi Stati ha un Parlamento del quale fanno parte i capi delle cosche più potenti. I quattro Stati sono riuniti in Federazione e i loro rappresentanti, eletti dai Parlamenti locali, siedono in una casa comune dove si decidono le competenze territoriali, le strategie e le spartizioni delle ricchezze, quella casa comune costituisce il Parlamento federale.
A livello locale esistono le “Famiglie” che esercitano il dominio militare su un territorio limitato, assimilabili ai Comuni dello Stato italiano, più in alto ci sono le Famiglie riunite, assimilabili alle Province dello Stato italiano, i cui rappresentanti più alti in grado formano il Governo regionale della Mafia. Le varie “regioni” eleggono i parlamentari dello Stato di competenza.
I vari Stati che compongono la Federazione si sono dati uno Statuto che contempla le finalità della Nazione, i metodi usati per perseguirle, le competenze in ambito territoriale, e prevedono eventuali sconfinamenti che devono essere preventivamente autorizzati. Inoltre, il Parlamento federale esamina, di volta in volta, le operazioni oltre confine, cioè in altre regioni dello Stato Italia, che consentirebbero, se non regolamentate, l’espansione incontrollata di uno o dell’altro Stato, con conseguente arricchimento in denaro e in potenza politica.
A livello politico-istituzionale, nello Stato della Mafia esistono anche le figure dei Consoli, che intrattengono rapporti diplomatici con altre Nazioni e con altre organizzazioni criminali in ambito internazionale. Esistono anche comunità, appartenenti allo Stato Mafia, dislocate in Stati esteri, ad esempio negli USA, in Canada, in Australia. Tali comunità sono legate alla madre Patria in modo indissolubile e costituiscono le colonie in via di espansione.
Un simile organigramma non poteva certo essere concepito dai cervelli che stanno alla base dell’organizzazione, né potrebbe essere gestito da semplici criminali che, fino all’altro ieri, si scannavano anche solo per uno sguardo di troppo.
Possiamo affermare, con ragionevole credibilità, che il livello delle risorse umane all’interno dello Stato Federale della Mafia è il seguente.

I politici

Al vertice dell’organizzazione ci sono i politici professionisti, quelli che hanno saputo esprimere e mettere a frutto un senso spiccato della diplomazia. Insieme a loro, in alcuni casi rappresentati da loro, ci sono i grossi industriali delle multinazionali, sia del crimine che dell’economia lecita, mi riferisco ai maggiori trafficanti di droga e di armi e ai professionisti dell’usura, che riciclano i loro denari sporchi nelle banche, nelle grandi industrie, nelle finanziarie, nelle assicurazioni, nelle catene di supermercati, nelle industrie farmaceutiche, nelle mega-imprese edili, ecc. colluse con l’organizzazione criminale.
Questi personaggi siedono sugli scranni del Parlamento italiano e/o dirigono le strutture economiche di loro competenza ai massimi livelli, riescono, perciò, a determinare, o influenzare tramite pressioni politiche e strategie di scambio, le scelte economiche del Paese e l’iter legislativo. Essi determinano e indirizzano le risorse economiche che devono essere versate allo Stato della Mafia.
I Politici professionisti dello Stato Federale della Mafia sono presenti in modo trasversale in tutti gli schieramenti parlamentari dello Stato Italiano e negli organici dello Stato del Vaticano. In questo modo non importa chi sia a governare l’Italia, se la Destra o la Sinistra o la Chiesa, a seconda delle circostanze lo Stato della Mafia è rappresentato in Parlamento dagli uni o dagli altri senza soluzione di continuità.
E’ chiaro che questi personaggi non potranno mai, senza indagini e leggi adeguate, ed in mancanza della volontà di una strategia di annientamento, essere collegati con le cosche mafiose conclamate, cioè con le Famiglie e con le Famiglie riunite le quali rappresentano, della Mafia, solo l’espressione più banale, dal punto di vista politico, l’unica sulla quale può essere esercitata la repressione convenzionale, che produce, però, risultati effimeri.
Oltre ad essere un’espressione banale del fenomeno, le cosche locali rappresentano l’alibi dei Ministeri competenti (Interno, Difesa, Giustizia) per giustificare uno spreco di denaro pubblico di proporzioni gigantesche e protratto per tempi illimitati, per contrastare quello che, agli occhi della gente comune, vogliono fare apparire come la causa del problema, ma ne è solo la conseguenza, soprattutto in prossimità di azioni eclatanti e sanguinarie come una guerra fra cosche, dato che i morti ammazzati provocano sempre turbamento, mentre il crimine perpetrato in silenzio diventa quasi una vittoria dello Stato.
Nelle Amministrazioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali del sud Italia, sono insediati i politici mafiosi più strettamente legati al territorio, quelli che hanno i contatti coi capi delle Famiglie e delle Famiglie riunite che formano la base della piramide. Questi politici della Mafia costituiscono i punti di raccordo fra la base, che procura i voti in occasione delle consultazioni elettorali dello Stato Italia, e i politici mafiosi del vertice che hanno il compito istituzionale di legiferare in favore e per conto dello Stato Mafia. Devono, inoltre, vigilare affinché le spartizioni dei denari pubblici, assegnati allo Stato della Mafia, avvengano in modo equo fra le Famiglie interessate.
Essi sono ritenuti responsabili, dai vertici del governo, di ogni malumore che potrebbe scatenare conflitti armati fra le cosche, perciò a volte vengono puniti con la destituzione, con la castrazione politica e, raramente, con la morte.
Proprio perché, in questi casi, le scelte sono operate dai capi clan, i quali non sempre risultano essere all’altezza della situazione, si assiste alle scalate politiche dei figli “puliti” delle famiglie “malate”, cioè di giovani incensurati che provengono da famiglie di criminali che, durante le guerre fra clan rivali, si sono distinte per l’appoggio logistico e militare fornito ai vari eserciti. Ma non solo, essi provengono pure da famiglie, per così dire, portatrici sane del gene mafioso, cioè da quelle famiglie che si sono arricchite facendo affari con e per la Mafia e che oggi rivestono posizioni di gran lustro nell’ambiente dell’imprenditoria urbana e rurale.
Questi volti “puliti” della Mafia locale sono protagonisti, sulle pagine e i video dei media delle varie regioni, di un dibattito politico ed economico all’apparenza ineccepibile, ed anche, per l’orrore e il disgusto degli avveduti, presumono di poter pontificare, e propongono soluzioni aleatorie, sulla lotta alla criminalità organizzata, nel corso di convegni e conferenze.

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12/11/2009 21:48
 
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I clan

Alla base dell’organizzazione dello Stato Mafia ci sono i clan locali. Sono famiglie, o sodalizi di famiglie, che hanno tradizioni criminali antiche ed anche famiglie che, dopo le guerre per la spartizione del territorio, sono emerse dalla mediocrità garantendo alle famiglie preminenti un sostegno militare.
I capi delle famiglie devono avere un buon equilibrio psichico per poter governare con saggezza e tenere a bada le varie bande che compongono il loro esercito. Devono saper distribuire le ricchezze, provenienti dai crimini ed anche dalle attività lecite che si svolgono sul loro territorio e saper dirimere le questioni smorzando le velleità di malandrini rampanti. Una qualità indispensabile è il carisma, che viene acquisito con azioni belliche, in tempo di guerra, e con abilità diplomatica e potenza economica, in tempo di pace. Un vero capo clan deve saper essere guardingo senza ispirare sospetti di pavidità, sanguinario quando serve senza cedere alla pietà, che è sempre considerata una debolezza, ma deve anche essere generoso e giusto verso i suoi gregari. Dal carisma dipende la durata del regno di un capo, anche se sarà costretto alla latitanza o sarà imprigionato.
Dopo il capo, ci sono diverse figure che hanno compiti differenziati, un po’ come la miniatura di un Governo, e alla base della piramide ci sono i soldati che compongono l’esercito del clan. In genere sono giovani con poca o nessuna esperienza, se non l’arroganza tipica dei ragazzi che crescono in un ambiente di malavitosi. Questi vengono utilizzati per compiere le azioni militari, per punire i ribelli, per sparare nelle saracinesche dei negozi, per mettere le bombe, per gambizzare i dissenzienti, per uccidere i rivali e per tutte le altre azioni violente che sono necessarie. Salvo rare occasioni, essi conoscono solo il referente rionale del capo clan ed a lui rispondono per eventuali negligenze. Sono i cosiddetti killer e, se riescono a sopravvivere alle insidie del mestiere, possono sperare di fare carriera all’interno del clan.

Gli imprenditori

Un assioma dal quale non si può prescindere, è che lo Stato della Mafia è uno Stato a tutti gli effetti e, come tutti gli Stati, impone un prelievo fiscale sul lavoro delle imprese. Nello Stato della Mafia, le tasse servono per garantire l’efficienza di alcuni servizi pubblici indispensabili: la sicurezza dei cittadini, il sostegno economico alle famiglie dei carcerati, la retribuzione degli impiegati (infedeli) assunti nelle varie amministrazioni dello Stato Italia, e il pagamento dello stipendio ai soldati delle varie famiglie. La cittadinanza è costituita da tutte quelle persone che sono affiliate ai vari clan, da quelle che accettano, per debolezza o perché sanno che non c’è alternativa, i condizionamenti imposti dai clan e da quelli che, pur non avendone alcun interesse perché non svolgono attività commerciali, tollerano la situazione e, occasionalmente, si rivolgono ai malandrini rionali per dirimere questioni anche banali, per ottenere la restituzione dell’auto rubata, per conquistare un posto di lavoro per un familiare, per il rilascio di una licenza amministrativa, per ottenere un aiuto, anche legittimo, insomma, senza dover ricorrere allo Stato italiano e alla sua macchina burocratica che, quasi sempre, risulta lenta e inefficace.
Ma, intendiamoci, la lentezza e l’inefficacia del sistema burocratico dello Stato italiano è una strategia precisa e puntuale che è prevista dai Patti fra i due Stati.
Tutte le imprese commerciali, quindi, aderiscono al sistema fiscale dello Stato Mafia, chi intrecciando società coi malavitosi, chi prestando il proprio nome pulito alle aziende di proprietà dei malandrini, chi assumendo manodopera affiliata ai clan, chi riciclando il denaro sporco, chi pagando la tangente mensile o forfettaria, chi elargendo regali. Nessuna ditta commerciale, di qualunque tipo essa sia, può sottrarsi a questa regola, pena la perdita del diritto ad esistere. L’impresa che non intende adeguarsi al sistema è costretta a ritirarsi, perché, nella migliore delle ipotesi, non troverà mercato, non accederà ai crediti, non riuscirà ad incassare nemmeno ciò che serve per pagare le tasse imposte dallo Stato italiano. Chi si ostina si ritrova, prima o poi, il locale o i mezzi distrutti da una bomba e, se insiste, rivolgendosi alle forze dell’ordine italiane, rischia pure di essere ammazzato.
La Legge dello Stato Mafia va o ignorata completamente o accettata integralmente, non ci sono vie di mezzo. Nel primo caso si resta emarginati perché il sistema dello Stato italiano, forgiato a misura dei Patti, isola ed abbandona il cittadino nelle grinfie dei clan, nel secondo caso non se ne può più uscire perché chi si sporca una volta resta segnato per sempre.
Dal mio punto di osservazione, che è quello della città di Reggio Calabria, capitale dello Stato ’ndrangheta, posso affermare che tutte le ditte e le imprese commerciali che non hanno subito attentati e che prosperano da decenni sono tutte organiche del sistema Mafia. Hai voglia che ci vengano a raccontare frottole, se il tuo negozio non è stato distrutto da una bomba, se i tuoi mezzi non sono stati incendiati, se non ti sei beccato almeno una pallottola nelle gambe, allora vuol dire che paghi regolarmente il tributo alla Mafia oppure che sta per succederti qualcosa, di amministrativo o di violento, per indurti a capire.
Quella amministrativa è la prima strategia, che viene usata dalla Mafia, per indurre un’impresa o un commerciante a pagare la tangente, sempre che la ditta sia stata già autorizzata ad esistere. Per raggiungere lo scopo, prima di ricorrere alle maniere violente, vengono costruiti ostacoli burocratici e dinieghi ingiustificati da parte della pubblica amministrazione italiana, che, ricordiamolo, nel Sud è totalmente in possesso degli amministratori dello Stato Mafia. Proprio nella pubblica amministrazione, infatti, sono stati assunti i rampolli delle famiglie e degli amici delle famiglie mafiose, lì fanno carriera e arrivano ad occupare posti di rilievo.
Ho già detto che, secondo i Patti, tutti i denari che provengono dallo Stato Italia vengono gestiti dallo Stato Mafia e distribuiti ai vari clan locali secondo regole precise. Anche i contratti e le convenzioni con gli enti pubblici vengono espletati da quelle ditte ed imprese che aderiscono al sistema. Le certificazioni antimafia sono una beffa madornale inventata e data in pasto all’opinione pubblica (del Nord), dato che tutti noi (del Sud) sappiamo che esistono ditte “pulite” di proprietà dei clan mafiosi, ditte che hanno la loro sede anche in altre parti del territorio italiano e pure all’estero. Come anche esistono banche di proprietà della Mafia, agenzie finanziarie, agenzie di assicurazioni, catene di supermercati e di alberghi, ristoranti e locali pubblici, tutti di proprietà della Mafia. Ed anche cliniche, ospedali, laboratori d’analisi e ambulatori diagnostici, farmacie e agenzie di distribuzione dei farmaci. E ancora ditte per il trasporto pubblico, per lo smaltimento dei rifiuti, per la distribuzione delle risorse, tutte di proprietà esclusiva della Mafia.
Aveva ragione il giudice Pennisi quando, qualche anno fa, gli scappò la frase: “a Reggio Calabria tutto è Mafia”. Fu subito aggredito e dovette smentire la sua affermazione. A pensarci bene aveva torto, c’è qualcosa che qui non è Mafia, ma è solo un’idea, una prospettiva, una speranza, e con queste cose astratte non si fanno affari e nemmeno si sopravvive.

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13/11/2009 22:53
 
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I cittadini comuni

Quando una persona nasce nello Stato Mafia è automaticamente un cittadino di questo Stato. Anche se proviene dall’Italia o dall’estero e si insedia in questi territori, diventa cittadino dello Stato Mafia. A differenza degli altri Stati qui c’è asilo per tutti, non è richiesto passaporto né permesso di soggiorno, devi solo adeguarti al sistema e, se non lo conosci, qualcuno te lo farà capire.
Per prima cosa bisogna sapere chi comanda nella zona, non nella città o nel paese, non serve conoscere il nome del sindaco, i sindaci qui da noi non contano niente, come non contano niente i prefetti e i questori, ma chi è il capo del rione o della strada o del vicolo, questo è sufficiente. La regola principale è che, qualunque cosa ti accada, devi rivolgerti al capo zona, il quale fa riferimento ad uno più importante di lui e così via fino al capo del clan. Un “errore” che molti commettono è di rivolgersi per la prima volta alla Polizia o ai Carabinieri, se subiscono un furto o una rapina o un qualunque altro torto, ma così facendo ci si preclude per sempre l’accesso al sistema di protezione del clan locale.
Naturalmente scherzo sui nostri drammi. Perché l’unica cosa che non bisogna mai fare è di rivolgersi alla criminalità locale per risolvere un problema, anche a costo di restare col problema irrisolto, dato che, come sappiamo, le Istituzioni dello Stato Italia intervengono solo su richiesta precisa e reiterata, mai per iniziativa propria per difendere o proteggere un cittadino. Tutto ciò, lo ricordo per l’ennesima volta, perché previsto nei Patti che sono stati stipulati fra i due Stati, l’Italia e la Mafia.
Eppure ciò che ho detto non è una sciocchezza, la gran parte dei nostri concittadini si comporta così, soprattutto nei paesi. E i risultati, vorrei mordermi la lingua ma è la verità, sono migliori di quando ci si rivolge alle forze dell’ordine. Sempre per via dei Patti che impediscono le indagini o le ostacolano o ti scoraggiano a continuare, e se perseveri e riesci a far condannare qualcuno è proprio allora che iniziano i guai peggiori, perché, a cominciare dai giudici che ti hanno dato ragione e finendo agli agenti che hanno svolto le indagini, passando per gli avvocati e i testimoni che hai coinvolto, tutti ti additeranno come una mosca bianca, o come una pecora nera se preferite, insomma come uno dal quale stare alla larga, uno pericoloso perché non conforme al sistema, e alla fine resterai isolato, scacciato dalle caserme, dai commissariati e dalle questure come se portassi una malattia. Ed è la verità, le persone oneste, all’interno dello Stato Mafia, sono portatrici di malattie esotiche incurabili ed è meglio starne lontani. Proprio come se portassero una malattia contagiosa, le persone oneste vengono messe in quarantena e, se possibile, scacciate dal territorio.
Tuttavia, non me la sento di biasimare le persone formattate dal sistema Mafia, sono i miei concittadini, i miei vicini di casa, i miei amici, anche i miei parenti. Loro, al contrario di me e di pochi altri, hanno fatto un ragionamento sano e coerente che il mio cervello, invece, non ha saputo elaborare. Sono nati in questo sistema e sanno che ci dovranno vivere e morire, dovranno espletare tutte le loro attività, quindi lavorare, formarsi una famiglia, divertirsi e procreare all’interno di un sistema che funziona proprio così e sarebbe da pazzi applicare strategie non conformi alle regole. Sarebbe come voler respirare sott’acqua senza avere le branchie.
Ma ciò che non riesco a capire, è come ci si possa adeguare, in modo così repentino, nel corso di quel decennio che separa l’adolescenza dalla maturità, a modi del tutto diversi da quelli che abbiamo appreso sui banchi di scuola, dove ci hanno insegnato un mucchio di menzogne forse, i principi del diritto, ma che, secondo me, sono menzogne più affascinanti del fango nel quale siamo costretti a sguazzare. Quelle menzogne sono, oggi, come le Sirene di Ulisse, e, secondo la leggenda, chi se ne innamora è destinato al naufragio. Ma quelle Sirene sanno sedurre la mia mente più di quanto mi sarei aspettato, forse perché sono un artista, e le seguirò con l’intento di sfatare il mito, a costo di schiantarmi sulla rocca di Scilla.

Gli Enti pubblici

Uno Stato che prospera dentro un altro Stato in virtù di Patti stipulati, non è equiparabile ad un parassita, è piuttosto un organismo che cresce e si concorda alla forma che lo contiene, come un bambino che cresce dentro l’utero della madre. Esattamente come un feto, lo Stato Mafia gode dei benefici che gli sono stati accordati, assimila le risorse che gli vengono assegnate e ne pretende sempre di più e di miglior qualità per potere, un giorno, quando sarà maturo e troppo grande per poter essere contenuto, nascere al mondo e rivelarsi pubblicamente. L’Italia è un utero in affitto per la Mafia e, se non è già successo senza che ce ne siamo accorti, ma secondo me siamo ancora intorno all’ottavo mese, quando sarà così grande, grande quanto l’Italia, si manifesterà in modo certamente letale per la madre.
Come ogni feto, la Mafia è collegata stabilmente col sistema sanguigno dell’Italia, ne assorbe le sostanze nutrienti e a volte scalcia per dare segnali di esistenza a chi se ne fosse dimenticato. Noi la coccoliamo e le abbiamo quasi approntato il corredino mentre lei, furbacchiona, si è già appropriata del cuore della madre, perché è da lì che provengono i pasti principali, e si prepara a prendersi il cervello, se non se l’è già preso, perché sa che da lì potrebbero scaturire idee nefaste per la sua sopravvivenza.
Per poter governare su un territorio già organizzato, occorre appropriarsi degli Enti pubblici che distribuiscono le risorse e decidono le opere da edificare. Una strategia efficace è di plasmare quegli enti a misura delle proprie necessità, introducendo nei posti chiave, che non sempre coincidono con le cariche più prestigiose, i propri agenti infiltrati, ed è proprio quello che ha fatto la Mafia. A cominciare dagli uffici regionali e poi quelli provinciali, quindi comunali e circoscrizionali, la Mafia si è presa tutti i presidi amministrativi delle regioni del Sud. A volte, per influenzare e dirigere le scelte di una Amministrazione pubblica, non è indispensabile che se ne assuma il comando, ma basta far serpeggiare l’alito malefico del capo clan per indurre atteggiamenti servili (in gergo mafioso si dice rispettosi). Dipende dalla qualità e dalla personalità dei funzionari e degli impiegati che ne fanno parte.
Chi è stato già favorito dal sistema Mafia sarà ben lieto di restituire il favore, chi non ne ha ancora avuto a che fare, non vede l’ora di servire il boss locale il quale, in altre occasioni, gli sarà riconoscente. Per chi si adegua al sistema, le occasioni non mancano, prima o poi si dovrà sistemare un parente, o si avrà bisogno di una licenza edilizia o commerciale, o si dovrà ottenere un beneficio, pure legittimo, ma che senza l’aiuto della Mafia non si otterrà mai.
Negli organici delle pubbliche amministrazioni del Sud sono stati assunti i parenti, gli amici e gli amici degli amici dei capimafia e dei loro gregari, in barba a concorsi e graduatorie che sono una beffa per gli illusi. Da quegli uffici vengono distribuiti i lavori alle ditte della Mafia, a quelle colluse o simpatizzanti, a quelle che pagano regolarmente la tangente o fanno regali a boss e bossetti. Le ditte che lavorano assumono anch’esse i parenti, gli amici e gli amici degli amici dei capimafia e dei loro gregari, e tutti insieme formano una Società unita e chiusa all’intrusione di coloro che sono estranei al sistema.
Purtroppo, la stima di questo esercito di servi della Mafia, all’interno della pubblica amministrazione, nel Sud è quantificabile intorno all’80% del personale. Ma ciò non basta per affermare che i servi sono mafiosi, essi lo sono nella misura in cui lo Stato Mafia è sovrano, perché se un giorno la Mafia fosse sconfitta, quei servi diventerebbero ottimi servitori dello Stato Italia.

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14/11/2009 22:30
 
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Le Forze dell’Ordine e l’Esercito

In un sistema così concepito, nel quale due Stati, la Mafia e l’Italia, interagiscono fra di loro sugli stessi territori, si sono dovute congegnare delle concordanze d’intenti, benché innaturali, fra il servizio d’ordine dell’uno, ispirato al mantenimento degli equilibri acquisiti fra i cittadini e il potere dei clan, e quello dell’altro, istituzionalmente deputato a sconvolgere tali equilibri ed isolare le organizzazioni mafiose, a interrompere, cioè, quella linea di contiguità che esiste fra l’interesse arbitrario delle bande criminali e quello legittimo della comunità.
Il problema non è mai stato di facile gestione, perché si tratta di giustificare l’impotenza intenzionale delle forze dell’ordine in relazione al contrasto delle attività della Mafia, quindi di elaborare tutta una serie di presunte difficoltà e di prospettarle al pubblico in cornici dialettiche talmente preziose che possano deviare lo sguardo dall’opera perfida che contengono.
Alla fine ciò che emerge dalla infinità di analisi è sempre la colpa del cittadino che non collabora e, finché il cittadino non collabora, la Mafia non potrà essere sconfitta. Il risultato non potrebbe essere più mendace, dato che viene proposta, come soluzione, proprio l’unica impraticabile.
Il cittadino viene perciò indicato come responsabile dell’esistenza della Mafia.
L’analisi, oltre ad essere semplicistica e ingannevole è anche, purtroppo, un’equazione perfetta: Omertà = Mafia. Ed è talmente precisa che sembra quasi un ammonimento a quei pochi che potrebbero pensare di collaborare con le forze dell’ordine, perché il ragionamento del cittadino è altrettanto preciso: la mia collaborazione, da sola, non condurrà a nulla, anzi, esporrò me e la mia famiglia alle rappresaglie dato che le forze dell’ordine e la magistratura si limitano a perseguire i criminali spiccioli e fingono di non conoscere le entità superiori che li gestiscono. L’equazione costituisce pure un incitamento ai clan criminali, che a volte sanno essere sanguinari come selvaggi, per indurli a “civilizzarsi” e ad espletare le loro attività con moderazione, evitando azioni eclatanti che possano indurre i cittadini alla ribellione e alle manifestazioni di piazza.
Perché quando i cittadini si ribellano in gruppo, per placarne l’ira si deve concedere qualcosa (il cosiddetto segnale forte dello Stato), e nel caso specifico sarebbe la fine di quella cosca che è uscita dai binari, o il suo ridimensionamento nella gerarchia territoriale.
Contrariamente a quanto potrebbe sembrare, nei territori dello Stato federale della Mafia le forze dell’ordine italiane non rivestono tanto un ruolo di parata quanto, piuttosto, una funzione di raccordo e di ammortizzatore fra lo svolgimento delle attività criminali e le ambizioni di onestà e democrazia della parte sana della comunità.
Voglio precisare che per parte sana non intendo solo quei cittadini che combattono la Mafia a viso aperto, ma quella che c’è in ognuno di noi, anche in quei cittadini che non hanno il coraggio di ribellarsi o comunque di esporsi, o che a causa della loro debolezza si ritrovano coinvolti, pur se ai margini, nei meccanismi del sistema mafioso, o che anche lo subiscono passivamente perchè non hanno conosciuto altro fin da quando sono nati, ma che, se potessero, ne farebbero volentieri a meno. Questi cittadini, deboli perché figli di un’Italia minore, vanno amati e rispettati comunque.
Espletare il ruolo delle forze dell’ordine italiane nello Stato della Mafia, è da sempre un grosso rospo che si rimpallano l’un l’altro i vari governi. C’è da rispettare i Patti fra i due Stati evitando di ispirare sospetti di connivenze, il che non è facile se si tiene conto di due elementi determinanti: i Patti sono segreti, anche se ormai sembra il segreto di Pulcinella, perciò fino a quando non si dimostrerà il contrario è come se non esistessero, tuttavia l’azione repressiva deve apparire efficace, senza comunque ledere le radici del sistema mafioso ma solo potando e sfrondando, come si farebbe con gli alberi di un giardino.
I nostri “giardinieri” della polizia, dei carabinieri, della guardia di finanza e delle polizie locali, devono mortificare le loro potenzialità, nel rispetto delle disposizioni che provengono dai loro Ministeri e dagli Enti che li dirigono.
A tal fine si attuano strategie completamente diverse a seconda dei luoghi e delle circostanze. Nelle sedi tranquille e nei momenti di pace, i massimi dirigenti delle forze dell’ordine, mandati nelle sedi meridionali, vengono scelti fra i candidati meno intelligenti e coraggiosi, quindi più adatti per essere plagiati dai “lupi” che regnano da decenni, indisturbati, nelle “giungle” delle questure, delle prefetture, delle caserme. Nei momenti difficili, viceversa, viene scelto un condottiero scaltro, e consapevole, che riesca a riportare l’ordine e riassettare gli equilibri.
Nelle città dello Stato Mafia sono soprattutto le questure che svolgono questo compito di “ammortizzatore sociale”, all’interno delle quali, non a caso, alcuni dei massimi dirigenti e funzionari, da svariati decenni manovrano i fili di un teatrino perverso ma che, nella sua perversione “istituzionale”, dimostra un’efficacia straordinaria. Sono i cosiddetti questori in ombra, i quali gestiscono gli uffici e manovrano le indagini, guidano su percorsi, per quanto possibile, indolori le operazioni di polizia che, all’occhio della gente comune devono apparire brillanti mentre, spesso, sono solo fumogeni che devono occultare le vere ragioni della loro presenza su un territorio straniero.
Essi devono garantire che la Mafia possa continuare a svolgere i propri affari e che la gente non si ribelli. Devono, altresì, garantire che i cittadini possano continuare a svolgere le loro attività in un ambiente nel quale il senso della legalità quotidiana sia soddisfacente, seppure virtuale.
Quando un cittadino si permette di dissentire e criticarne l’operato, scatta il meccanismo di autotutela che viene applicato nel seguente ordine: si isola la persona, organizzando un passaparola diffamatorio che possa incidere sulle sue attività lavorative; si prova a delegittimare il dissenso cercando nel suo passato, e in quello della sua famiglia, alla ricerca del più piccolo errore di percorso. Se non si trova nemmeno una contravvenzione, lo si fa denunciare da un collaboratore esterno (ce ne sono centinaia, che beneficiano della benevolenza delle questure in cambio di qualche favore sporco), così che la magistratura lo iscriva nel registro degli indagati e possa figurare un carico pendente a suo carico, poco importa che le denunce vengano poi archiviate o che il cittadino venga assolto, l’importante è macchiarne la credibilità con un procedimento giudiziario.
Seguono le perquisizioni domiciliari, finalizzate dapprima a intimidire il cittadino e successivamente per “trovare” qualcosa di losco nella sua vita.
Se nemmeno questo serve a zittirlo, si tramano le cosiddette tragedie (calunnie), che nel gergo mafioso sono quelle storie, inventate e diffuse ad arte, che servono ad aizzare i criminali contro una persona perbene.
All’interno dello Stato Mafia, l’idea sulla quale, da sempre, le forze dell’ordine e la magistratura lavorano in sincronia per spingere i cittadini sulla via dell’omertà, consiste nel dimostrare che ribellarsi non è conveniente, perché ci si metterebbe contro due poteri forti, che vanno a braccetto, e insieme possono stritolare i dissenzienti. Che avere a che fare con le questure e i tribunali è l’idea più malsana che possa venire a un cittadino, peggio che beccarsi una malattia incurabile. Questa è la fondata convinzione di chi si trova da questa parte della barricata.
Subisci e taci! E’ l’imperativo, tramandato da generazioni, per salvaguardare se stessi e la propria famiglia, al quale la gran parte di noi si adegua per non subire danni peggiori.
Ne sanno qualcosa quei cittadini coraggiosi che hanno avuto l’ardire di denunciare le vessazioni subite da un clan mafioso, magari scoprendo e denunciando connivenze e complicità con qualche rappresentante delle forze dell’ordine o della magistratura, e che si ritrovano con procedimenti giudiziari a loro carico, abbandonati nelle grinfie dello stesso clan che hanno denunciato, con l’unica prospettiva di abbandonare questa terra e scomparire.
Lo stesso meccanismo è attuato nei confronti di quei clan che deviano dal concetto “etico” di base del sistema mafioso, che si può riassumere con poche parole: delinquere e regnare con discrezione.
La pena per i capi dei clan che non si adeguano a questa regola è la perdita del dominio su quella parte del territorio. Ma tanto, lo sanno tutti, destituito un boss se ne fa un altro, perché i veri capi della Mafia non sono quelli locali, ma i politici, o i grossi capitalisti, o i nobili ai quali fanno riferimento.
La destituzione di un boss viene concordata a tavolino ed applicata in vari modi. Se è anziano si mette in quarantena; se è in piena attività si può delegittimare allestendo tragedie e innescando la reazione dei clan avversari; se ciò non bastasse si può inscenare un arresto clamoroso, che fa effetto soprattutto se il boss è latitante, in questo modo si ottiene pure di esaltare le capacità investigative delle forze dell’ordine. Nei casi estremi se ne può decidere pure l’eliminazione fisica, ma questi compiti particolari vengono, in genere, espletati dagli agenti dei Servizi Segreti, anche utilizzando persone estranee al sistema, raggirate con promesse di convenienti prospettive di vita o di guadagni favolosi, che poi scompaiono in circostanze misteriose o restano vittime di un “incidente”.
Anche all’interno dell’organizzazione mafiosa nessuno è indispensabile e chiunque può essere sostituito. I capi che danno garanzie di saper tacere subiranno la detenzione, altri, soprattutto i killer che, data la loro limitata conoscenza dell’organico non potranno causare danni alla struttura superiore, saranno indotti a “pentirsi” e collaboreranno con gli investigatori per smantellare la cosca perdente e dare spazio al clan che ha saputo dimostrare di essere più affidabile. In questi casi, gli investigatori si guarderanno bene dal sollevare lenzuoli insanguinati che potrebbero scoprire livelli intoccabili della politica e della Massoneria.
Fatte, naturalmente, le debite eccezioni, perché la natura umana non è programmabile come una macchina ed anche un magistrato potrebbe avere un guizzo di coraggio, che, in gergo politico-mafioso si chiama protagonismo.
Oggi che, piano, piano, le nuove generazioni stanno aprendo gli occhi e credono sempre di meno ai miraggi della politica istituzionale, è il momento di aggiustare la mira e colpire più in alto. Lo dico soprattutto ai giovani di quei movimenti studenteschi, che sono nati in seguito agli ultimi avvenimenti di cronaca, che alcune parti politiche vorrebbero imbrigliare e condurre al guinzaglio in direzioni sicure da dove i veri bersagli non si vedono nemmeno. Quando avrete-avremo aggiustato il tiro, sarà lecito aspettarsi l’intervento dell’esercito, perché la polizia e i carabinieri non saranno sufficienti per garantire l’ordine costituito, pur se segreto, che deriva dal connubio infame fra lo Stato Italia e lo Stato Mafia.
L’esercito è il baluardo estremo, messo a disposizione dallo Stato Italia, tenuto in serbo per garantire protezione allo Stato Mafia, nel caso che la situazione dovesse degenerare con manifestazioni di piazza incontrollabili.
Pensate a cosa accadrebbe se i commercianti, gli artigiani, gli imprenditori, insieme alle loro famiglie scendessero tutti insieme in strada per manifestare il loro dissenso nei confronti di questo sistema che li costringe a pagare due volte le tasse, una volta alla Mafia e una seconda volta all’Italia, e che sono costretti a dover subire pure il dileggio delle popolazioni del Nord che li additano come scansafatiche ed evasori fiscali. Sarebbe il caos e andrebbe soffocato nel sangue, come è già accaduto a Reggio Calabria negli anni settanta.
Non sarebbe una buona strada e, a scanso di equivoci, ci tengo a precisare in anticipo che la guerra allo Stato Mafia, che auspico, dovrà essere una guerra politica, tanto per cominciare, con l’intervento successivo dell’esercito per snidare e arrestare i veri capi dell’organizzazione mafiosa, su tutto il territorio nazionale, senza riguardi per alcuno né santuari da rispettare. Non prima, però, di avere effettuato una buona opera di pulizia all’interno di tutte le forze armate. Il sistema ve lo dirò, se sarò ancora un uomo libero, alla fine di questo lungo racconto.

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16/11/2009 22:32
 
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I Servizi Segreti

Oltre a svolgere i vari compiti istituzionali, quali il controllo del terrorismo interno ed internazionale, i Servizi Segreti italiani, quelli intesi come deviati ma che deviati non sono, proprio in virtù dei Patti segreti, devono rendere armonici e affidabili i rapporti fra le varie forze dell’ordine, la magistratura e i clan mafiosi, sia sul territorio di competenza dello Stato Mafia che su quello di competenza dello Stato Italia. E’ un compito arduo che se fosse lasciato alle iniziative dei singoli ufficiali, funzionari o magistrati, potrebbe causare incidenti diplomatici fra i due Stati, cosa, purtroppo, già successa negli anni novanta con conseguenze disastrose.
Va detto che non si può rinunciare all’esistenza dei clan mafiosi locali, la loro ragione d’essere va ricercata nella necessità di poter garantire un vasto bacino di voti in occasione delle consultazioni elettorali. Il primo articolo dei Patti fra i due Stati è proprio un accordo politico-economico: una gran quantità di voti in cambio di provvedimenti parlamentari che possano convogliare verso lo Stato Mafia ricchezze e benefici, sia sotto forma di denaro che di realizzazione di grandi opere pubbliche, che saranno, in entrambi i casi, gestiti dalla Mafia.
I voti della Mafia vanno a chi offre di più, e siccome i suoi rappresentanti politici sono presenti in tutti gli schieramenti, la Mafia vince sempre le elezioni. Il sistema non è originale ma efficace, dato che la Mafia è come una consorteria di industriali che garantisce i propri consensi a chi li fa arricchire di più. Lo fanno tutti, con buona pace degli ideali politici che, da tempo, sono stati mandati a strafottersi nei bidoni dell’immondizia, sia a destra che a sinistra.
I Servizi Segreti quindi, sia il SISMI del Ministero della Difesa che il SISDE del Ministero dell’Interno, devono lavorare in direzione opposta a quella indicata dal loro principio costitutivo, senza alcuna garanzia di copertura politica.
Nell’ottica dei rapporti con lo Stato Mafia, gli agenti segreti sono costretti a svolgere lavori sporchi che prevedono il ricorso alla violenza quando è necessario, organizzazione o supporto all’organizzazione di attentati e di “suicidi”, sparizioni di personaggi scomodi, depistaggi delle indagini, ed hanno priorità di accesso nei covi dei capi clan, che vengono arrestati, per fare sparire quei documenti, che devono restare segreti, prima che li trovino i magistrati. Un gran brutto lavoro, e senza nemmeno il plauso della comunità.
Devono essere affidabili in ogni situazione, perciò gli agenti operativi vanno scelti fra quelli che hanno giurato fedeltà, con riti di sangue in grembiulino, agli “interessi superiori” dello Stato, quelli indicibili e ingiustificabili che non sono scritti nella nostra Costituzione.
Un comparto così delicato va affidato a menti raffinate, quelle stesse che hanno organizzato e diretto, per duecento anni, tutto il baraccone di menzogne e di infamia sul quale ha trovato fondamento la storia ufficiale del nostro Paese. La Massoneria è padrona dei Servizi Segreti italiani, li plasma e li dirige secondo progetti, ben delineati e ormai abbastanza evidenti, il cui obiettivo è di preservare i privilegi dei nobili blasonati, degli industriali borghesi arricchitisi oltre misura e dei politici che li rappresentano, anche a sinistra dell’arco parlamentare.
Il fine ultimo è di far coincidere il potere economico col potere politico e militare, esattamente come funzionava nel medioevo nonché, proprio come allora, di ripristinare la supremazia della nobiltà, e oggi anche dei grossi capitalisti, all’interno della Chiesa Cattolica, dato che la religione è sempre stata un recinto efficace nel quale poter contenere e controllare le masse. Il fine scellerato giustifica il mezzo, a dir poco infame, di servirsi della criminalità organizzata.
Non dobbiamo dimenticare che la Breccia di Porta Pia all’epoca costituì uno squarcio di dimensioni inaccettabili per lo Stato della Chiesa e che la nobiltà che vi regnava, in nome dell’Unità d’Italia, fu defraudata di ricchezze e possedimenti che non sono stati più restituiti. Solo Mussolini riuscì, in seguito, a ricucire lo strappo, ma pagandone uno scotto insostenibile che oggi incide dolorosamente sul livello di civiltà del nostro Paese e sulla libertà della ricerca scientifica.
Le strutture dei Servizi Segreti sono frammentate in cellule che hanno competenza territoriale, organizzate come scatole cinesi ma talmente sofisticate da prevedere porte e pareti ingannevoli, dove una ha l’apparenza dell’altra e viceversa. A volte una cellula può assumere connotazioni pubbliche sotto forma di circolo culturale o sportivo, e solo in caso di un “incidente di percorso” si può scoprire, come è avvenuto a Reggio Calabria più di dieci anni fa, che in quel circolo i Servizi Segreti si adoperavano, con l’appoggio logistico di massoni conclamati, per armonizzare le connivenze fra un clan mafioso e le forze dell’ordine.
Fu un caso clamoroso di defaillance del sistema e la cittadinanza ne venne a conoscenza, diversi anni dopo, solo perché se ne occupò una testata giornalistica.
La Magistratura, sollecitata dalle ripetute denunce dei cittadini e dagli esposti alle varie Autorità dello Stato, si era interessata del caso svolgendo indagini che avevano evidenziato riscontri alle denunce ma poi tutto, improvvisamente, sprofondò nelle sabbie mobili, dopo che il magistrato della DDA fu trasferito ad altro incarico. Nemmeno le successive rivelazioni di un pentito della ’ndrangheta, che ebbe parte attiva in tutta la vicenda, e che aveva palesato responsabilità oggettive facendo nomi e cognomi, servirono per far riaprire il caso.
Un luogo prediletto, nel quale gli agenti dei Servizi Segreti trovano l’humus ideale per applicare le loro strategie, è il Tribunale. Gli agenti del SISMI trovano occupazione presso la Polizia Giudiziaria, che esegue le indagini su ordine dei magistrati, e sono smistati nelle aliquote dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, gli agenti del SISDE, invece, nell’aliquota della Polizia di Stato e fra il personale civile. I motivi sono facilmente comprensibili, in quanto l’azione giudiziaria non è una scienza perfetta, essa dipende da indagini che possono prendere direzioni diametralmente opposte a seconda di come, e da chi, vengano svolte, e dall’esito delle indagini deriva poi l’archiviazione del procedimento, la condanna o l’assoluzione degli imputati.
Gli agenti fra il personale civile, invece, possono accedere alle pratiche e possono fare sparire documenti, cartacei o su supporti magnetici, compromettenti per i personaggi che s’intende proteggere o determinanti per l’esito del processo. Succede spesso e nessuno se ne scandalizza, tranne i cittadini che hanno prodotto le denunce e che si aspetterebbero un’azione giudiziaria efficace, invece che venire trattati come deficienti.
Altri luoghi, controllati dagli agenti dei Servizi Segreti, sono le postazioni tecnologiche della telefonia fissa e mobile, da dove si possono intercettare, senza l’autorizzazione dei magistrati, le comunicazioni fra i clienti dei vari gestori, al fine di scoprire per tempo eventuali “trame” che possano mirare a scardinare il sistema politico-mafioso. E anche gli uffici postali da dove partono, o dove arrivano, lettere raccomandate che si “perdono” e non pervengono mai ai destinatari, come accadeva quando il giudice Agostino Cordova si occupava di un’indagine sulla Massoneria e i cittadini, ingenui, gli mandavano degli spunti investigativi, che magari potevano essere interessanti e invece il magistrato non poteva ricevere.
Altro luogo d’elezione, per gli agenti dei Servizi Segreti, è il carcere, da dove si può controllare che un capo clan, a conoscenza di segreti indicibili, non cominci a vacillare mostrando segni di “pentimento”. In questi casi la “depressione” può sempre giustificare un “suicidio”. Lo stesso dicasi per i personaggi eccellenti che, in genere, vengono suicidati in casa, come il notaio Marrapodi a Reggio Calabria, primo ed ultimo, fino ad ora, “pentito” della Massoneria, al quale non è stato concesso il tempo di raccontare quello che sapeva su quella organizzazione oscura. In ambito nazionale mi vengono in mente l’industriale Raul Gardini, indagato nell’inchiesta cosiddetta mani pulite, che si sparò in testa e, prima di morire, ebbe il buon senso di mettere la pistola in sicura e riporla sul comodino, e il finanziere Roberto Calvi che, fra tutti i posti del mondo, per impiccarsi andò a scegliere proprio il Ponte dei Frati Neri a Londra, che fa paura solo a nominarlo ed evoca scenari inquietanti.
Di gente suicidata da mani “segrete” ne è piena la storia recente del nostro Paese, come anche di persone scomparse in circostanze misteriose e mai più ritrovate, o morte in seguito ad “incidenti” improbabili. Chi per un motivo e chi per l’altro, tutti avrebbero avuto molto da raccontare sulla vera storia dell’Italia contemporanea.
Sull’intero territorio geografico italiano, oltre agli agenti segreti dello Stato Italia, operano gli agenti dello Stato della Chiesa e quelli dello Stato Mafia.
Ottenere contratti multipli, cioè con ognuno dei tre Stati, per un agente segreto rappresenta il massimo delle capacità imprenditoriali e ciò che in altre attività lavorative sarebbe definito conflitto d’interessi, in tal caso diventa comunanza d’intenti.

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17/11/2009 21:35
 
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La Magistratura e gli avvocati

Il Tribunale è il luogo principe dove viene esaltato lo “sposalizio” fra lo Stato Italia e lo Stato Mafia. Il “matrimonio”, benedetto dallo Stato della Chiesa in ricchezza e in povertà, in salute e in malattia, finché morte non li separi, sembra aver trovato, nel Tribunale, la clinica dove si possono curare gli “errori” commessi da qualche investigatore deviato (sulla strada giusta) delle forze dell’ordine e da alcuni pubblici ministeri ammalati di protagonismo. Percorrendo i vari gradi di giudizio, spesso gli “errori” vengono sanati e gli imputati ne escono assolti, mentre i cittadini si chiedono se gli “asini” (o i disonesti), siano stati i giudici del primo grado o quelli dell’appello o i successivi. Purtroppo ci hanno insegnato che il giudizio della giuria è insindacabile (ma non per sempre) sia per l’elezione di miss Italia che per l’assoluzione di mafiosi, assassini, truffatori ed altra “brava gente”.
Quell’ingenuo di Kafka, che non era mai stato in un Tribunale dello Stato della Mafia, troverebbe subito le risposte al terrorizzato protagonista del suo racconto, anzi sarebbe lui stesso a suggerirle ai magistrati i quali, qui da noi, non esitano a farsi condurre per mano dagli avvocati, dagli stessi imputati e dai loro “sponsor” che esibiscono, fuori e dentro quelle mura, tutto il potere che è stato loro concesso di possedere.
La Massoneria vi è presente con un’armata massiccia in tutti i settori e manipola i processi che riguardano le consorterie mafiose, soprattutto quando c’è il rischio che vengano implicati i dirigenti e i funzionari, della pubblica amministrazione, appartenenti alle sfere superiori dell’organizzazione. Tuttavia, per non allarmare l’opinione pubblica, non mancano condanne agli esponenti dei clan locali, dai killer ai gregari e fino ai capi destituiti e “acciuffati” grazie a “brillanti” operazioni di polizia.
I rappresentanti politici che sono stati eletti coi voti provenienti dallo Stato della Mafia, per contratto politico hanno dovuto attuare adeguamenti alle normative che riguardano il procedimento giudiziario, la depenalizzazione di alcuni reati che sono legati a filo doppio con gli interessi mafiosi superiori, e quanto prima si dovranno attivare, sempre per contratto politico, per porre un limite all’utilizzo delle intercettazioni, telefoniche ed ambientali, che troppo danno stanno causando a personaggi intoccabili, ad opera di alcuni cani sciolti, ovvero magistrati ammalati di protagonismo.
Altro impegno costituzionale, fra i due Stati, è l’applicazione di condoni, indulti ed amnistie, affinché sia dato un segnale forte alle consorterie mafiose e poter dimostrare che l’appoggio politico, determinante per arrivare al governo del Paese, viene puntualmente ricambiato con provvedimenti di clemenza. Il segnale, essendo forte, viene colto anche dai cittadini onesti i quali non hanno certo dato mandato, ai loro rappresentanti politici, per fare regali e sconti di pena ai criminali. Piuttosto gradirebbero che fossero inasprite la prevenzione e la repressione e che fosse garantita la certezza della pena. Un tale atteggiamento, che trova concordi le fazioni politiche opposte ed accoglie il consenso dello Stato della Chiesa (la qual cosa non sorprende più di tanto se si tiene conto del detto popolare “futti, futti, chi Diu pirduna a tutti”), ottiene il risultato di smorzare ogni ambizione nascente di collaborazione con le forze dell’ordine e con i magistrati, giacché i cittadini che sono caduti nel tranello una prima volta, si butteranno d’istinto nelle paludi dell’omertà invece che tuffarsi nello stagno-miraggio della legalità, e così insegneranno ai loro figli. Ecco, quindi, che la scuola dell’omertà, sponsorizzata dai partiti politici e mafiosi di ogni colore, giunge a destinazione colpendo le generazioni più giovani utilizzando le famiglie quale mezzo di trasmissione.
Né si possono accogliere con serietà i tentativi di impedimento palesati da alcune parti politiche, sia della maggioranza che dell’opposizione, esibiti al pubblico con l’intento di ostentare una linea dura nei confronti della criminalità. Apriamo gli occhi! E’ solo un’astuzia concordata. Quelle parti politiche che si oppongono, ma poi cedono per rispettare le alleanze di coalizione, hanno fatto campagna elettorale nei territori che hanno una forte densità mafiosa, nella Piana di Gioia Tauro, sul litorale ionico reggino, nelle province di Vibo e Lamezia, per dire solo della Calabria.
Con l’appoggio logistico delle Famiglie e delle Famiglie riunite, alle quali hanno promesso, non in pubblici comizi ma durante incontri riservati coi capi, ancora ricchezze e provvedimenti legislativi favorevoli, hanno raccolto i voti della Mafia, senza i quali in Parlamento non ci sarebbero arrivati.
Secondo il codice della Mafia, ciò che la Legge deve imporre è un percorso tortuoso che possa, grazie alla sua ambiguità deliberata, consentire scantonamenti strategici dagli obiettivi della Giustizia. Il fine è quello di ostacolare con ogni mezzo le indagini, non ultimo con i tagli delle risorse economiche alle strutture investigative che, ad ogni legislatura, vengono diminuite tanto da rendere l’apparato repressivo inefficace fino al ridicolo, se è vero che a carabinieri e magistrati non viene neanche assicurata la fornitura del carburante nelle auto di servizio.
Grazie alle leggi confezionate per le occasioni, il “lavoro” dei magistrati e degli investigatori, corrotti dal sistema Mafia, viene semplificato e ridotto ad agevole procedura amministrativa, per svolgere la quale si può fare a meno, oltre che del carburante per le auto, anche della cultura, dell’intraprendenza e del coraggio che sarebbero necessari per applicare e reinventare la giurisprudenza. Sarebbe auspicabile, infatti, che tutti i settori della magistratura si attivassero per pressare il Parlamento e promuovere provvedimenti legislativi efficaci per arginare le strategie della Mafia, cosa che non accade. Al contrario, è proprio la Mafia che si adopera affinché le leggi vengano cambiate e adeguate alle proprie necessità, risultato che ottiene puntualmente.
Purtroppo fin dai tempi antichi, quando la parola Mafia non era stata ancora inventata, magistrati ed avvocati erano già sul libro paga dei vari clan, a livello locale, e dei capi insospettabili sul restante territorio italiano. Oggi il livello della corruzione sembra talmente alto che la Mafia riesce a sconvolgere gli stessi criteri che stanno alla base del Diritto.
Non ci sono prove, diranno i benpensanti, mentre la “brutta gente” che ha cattivi pensieri, come me e tanti altri, è convinta che le prove le debbano cercare proprio gli investigatori ed i magistrati e se fino ad ora quelle prove non ci sono, vuol dire o che non sono state cercate o che sono state occultate. Capita sempre, quando viene arrestato un capo clan, che l’elenco degli associati (la famosa agenda del boss) dove sono segnati anche i corrispettivi che percepiscono, sparisca nel nulla, nonostante che i “pentiti” abbiano sempre detto che quegli elenchi esistono. Se ne deduce che in quegli elenchi debbano essere compresi nomi di funzionari e dirigenti delle forze dell’ordine, di magistrati, avvocati, industriali, politici che, in virtù dei Patti stipulati fra lo Stato Italia e lo Stato Mafia, non devono comparire in alcun procedimento giudiziario.
Senza le complicità “costituzionali” delle Istituzioni, non si spiegherebbero due secoli di sopravvivenza della Mafia e il dominio che ha conquistato negli ultimi decenni.
Altro che sopravvivenza, la Mafia è diventata uno Stato riconosciuto, segretamente, anche a livello internazionale, esibisce un potere economico che supera di gran lunga quello italiano e poco manca che sferri un calcio nelle terga a governo, parlamento e capo dello Stato per assumere il potere assoluto. A pensarci bene, manipolare un teatro di burattini talmente vasto con tanto di scenografie, coreografie, registi, attori, comparse e tutto quello che serve nelle fiction, è dispendioso. La realtà nuda e cruda costerebbe molto di meno anche ai cittadini del Sud che si ritroverebbero, con sollievo, a dover corrispondere le tasse ad un solo referente fiscale. Se finora lo Stato della Mafia non è ancora uno Stato sovrano dichiarato, vuol dire che non ha concluso gli accordi economici e le definizioni geografiche con tutti gli Stati europei, con quelli asiatici rampanti e con gli Stati Uniti d’America, e che cerca altre alleanze per superare gli ostacoli.
In questo momento, comunque, uno degli obiettivi prioritari e più urgenti che lo Stato della Mafia persegue, è di stremare il sistema giudiziario italiano, di renderlo inefficiente fino a decretarne l’inutilità. Il pericolo, per assurdo lo è anche per la Mafia, è che un sistema giudiziario inutile non è più degno di considerazione da parte del popolo, il quale cercherà necessariamente sistemi alternativi, metodi che sono stati nel passato un percorso efficace, seppur doloroso, per affrancarsi dalle dittature. Le quali si sono sempre avvalse della protezione di forze armate corrotte e della negligenza di una magistratura priva di senso etico, affinché fosse garantito il potere a un manipolo di criminali.

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18/11/2009 22:17
 
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Il rapporto perverso fra Chiesa, Massoneria e Mafia

La Magistratura dovrebbe essere un Potere indipendente, sia da quello politico che da quello economico, da quello militare e da quello religioso. Ciò non significa, non può significare, che la Magistratura debba limitarsi a individuare e condannare coloro i quali hanno infranto la Legge, sarebbe riduttivo e umiliante. Esiste un Diritto universale che deve essere garantito ad ogni essere umano e che va oltre ogni legislazione nazionale. I Giudici dovrebbero essere al di sopra dei governi e dei tiranni e uniformarsi alla Costituzione dei diritti dell’uomo operando per affermare i principi fondamentali della vita, della libertà, dell’uguaglianza e della dignità. I Giudici non possono essere tecnici che applicano la Legge ma operatori attivi che perseguono la Giustizia e ne facciano un vessillo della loro missione.
Se i Giudici avessero svolto con diligenza questo compito fondamentale, per niente facile, non avremmo subito venti anni di dittatura fascista, non avremmo dovuto patire l’onta della vergogna per le persecuzioni razziali, né dovremmo, oggi, sopportare lo squilibrio evidente fra una minoranza di ricchi e una maggioranza di poveri, fra una parte arrogante e prevaricatrice e un’altra alla quale vengono negati persino i diritti essenziali, e non esisterebbe neanche la Mafia.
Le colpe per l’esistenza della Mafia vanno perciò ricercate non fra la gente del Sud ma fra i “tiranni”, mascherati da democratici, che manipolano la Magistratura, le Forze dell’Ordine e l’Esercito, e che guidano questi Poteri su binari che conducono all’alienazione dal loro ruolo, una stazione ormai prossima di cui cominciamo a intravedere i segnali.
Né la mistificazione dei ruoli, attuata con provvedimenti parlamentari, può attenuare le responsabilità di queste Forze. Esse sono responsabili, se non per avere architettato l’inganno, certamente perché consentono che venga perpetuato.
In un tale continuo intreccio di falsità politica e biechi interessi commerciali, noto col nome di capitalismo, le aspirazioni legittime della gente comune sono disattese con puntualità geometrica. Le persone che non fanno parte del sistema economico d’elite ne restano ai margini e sono costrette a subire il dispotismo dei neovassalli pur di avere garantito il diritto alla sopravvivenza.
Nella società moderna occidentale la tendenza al medievalismo è esplicita, e la Mafia, una sorta di specie animale sfuggita all’evoluzione, che ha saputo mantenere intatta la propria struttura organizzativa dimostrando che è possibile ignorare il progresso, rappresenta il modello a cui si ispirano gran parte delle formazioni politiche.
I signori-padroni dell’economia mondiale auspicano il ritorno alle origini e legiferano, a volte in prima persona, altre volte utilizzando dei prestanome in parlamento, per indirizzare le risorse comuni verso i loro interessi. La politica, intesa come strumento supremo del popolo, è stata stravolta e sottratta alla Nazione e consegnata ai nobili e ai borghesi capitalisti.
Per la prima volta nella storia dell’Italia post fascista, a cavallo fra il secondo e il terzo millennio, per la vergogna di tutti gli italiani democratici, della magistratura, delle forze dell’ordine e dell’esercito repubblicani, il potere economico ha coinciso col potere politico, in modo palese e sfacciato.
Invece di opporsi col dissenso organizzato, l’unico modo onesto per conquistare la libertà e la democrazia, le parti politiche avverse hanno accolto la lezione, l’hanno imparata a memoria ed applicata con lo stesso identico sistema, allestendo un potere economico rivale col fine di conquistare il potere. Oggi siamo testimoni di un paradosso storico raccapricciante, una sinistra parlamentare borghese e capitalista, immemore delle lotte contadine ed operaie, delle conquiste sociali strappate con la galera e col sangue, dell’opposizione allo strapotere di una Chiesa fin dalle origini troppo vicina ai grattacieli piuttosto che alle baracche.
Oggi, quel che resta della sinistra storica italiana ha svenduto i propri principi in cambio delle poltrone di regia e assomiglia fin troppo ai suoi avversari politici, tanto che alla gente comune sorge il dubbio legittimo che la contrapposizione sia fittizia, infatti i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, gli operai e gli impiegati perdono, pezzo dopo pezzo, ciò che avevano conquistato con le lotte, gli scioperi e il dolore delle loro famiglie, i disoccupati vengono illusi col miraggio di nuovi sistemi di lavoro, col piatto di minestra alla fine della giornata senza alcuna certezza del domani, la fame bussa alle porte che ancora non aveva varcato, il progresso civile viene rimesso in discussione e quegli uomini che si credeva fossero i pilastri della politica della sinistra, una volta acquisito il potere cominciano a calarsi le brache al cospetto dei vescovi, dei cardinali e dei papi.
La “cosca” vincente e la “cosca” perdente, per dirla col gergo mafioso, si alternano al comando di una Italia alla deriva, sbranata fino all’osso dall’ingordigia della destra, della sinistra, del centro smistato in parti uguali fra l’una e l’altra e persino dei gruppi estremisti, di entrambe le coalizioni, che sono un po’ come la bolla d’aria della livella, segnalano quando l’asse s’inclina da una parte o dall’altra ma sempre bolla d’aria restano, senza peso né volontà. Sono i giovani ingenui e speranzosi ancora nel ruolo della politica ma arruolati dai “dinosauri”, ammaestrati per spingersi un passo più in là del lecito, ma solo di un passo per scagliare una pietra, per innescare una miccia, per inneggiare a un Tizio santo subito.

Con la cosiddetta Unità d’Italia e gli accordi con la Mafia, la preminente dinastia dei Savoia aveva conquistato la prima grande colonia del Regno, tutto il meridione della penisola. Vittorio Emanuele II si proclamò Re d’Italia e continuò a perseguire il vero obiettivo strategico, dell’aristocrazia dell’epoca, che consisteva nell’appropriarsi dell’intera area mediterranea spingendo i propri interessi commerciali verso gli Stati africani. L’ex Regno delle due Sicilie costituiva un avamposto militare indispensabile ma niente di più, non c’erano miniere da cui estrarre le materie prime, che servivano alle industrie, che erano presenti, invece, in gran quantità in Africa. La politica del Regno elaborò programmi economici che esclusero i territori del meridione, mentre trovò la “giusta” collocazione per i giovani del Sud che furono arruolati per costituire un esercito ancora più potente. Molti di quelli che non ebbero neanche la fortuna dell’impiego militare, furono costretti ad emigrare in cerca di lavoro.
I nobili-politici-mafiosi meridionali erano impegnati a gestire i loro affari nelle società commerciali e nelle industrie del Nord e ad amministrare, secondo il loro criterio arbitrario, le risorse economiche deliberate dal governo centrale, a patto che garantissero l’ordine e la disciplina fra la popolazione. L’impresa, per la Mafia, era il pane quotidiano dato che le cose, nelle nostre terre, avevano funzionato così da sempre. Si poneva, invece, la questione del dissenso politico che rischiava di sfociare in manifestazioni di protesta, sulla scia dell’ideologia socialista nascente che, nel resto dell’Europa, cominciava a mettere in discussione i privilegi dei nobili e dei borghesi. In Russia, Lenin riuscì a diffondere l’idea socialista fra le classi meno abbienti e fu la rivoluzione, la guerra civile che causò milioni di morti e sovvertì l’impero dei Cesari, la dinastia degli Zar.
Tutto questo non doveva accadere in Italia.
La Mafia s’impegnò per garantire anche l’ordine politico nelle regioni meridionali e ottenne l’appoggio della Massoneria e della Chiesa Cattolica.
Per le generazioni più giovani fu imposta un’istruzione obbligatoria che aveva l’obiettivo di esaltare l’impresa politica e militare dell’Unità d’Italia, e le gesta eroiche di condottieri e martiri furono chiamate Risorgimento. Non appena entrati in classe, i bambini erano obbligati a recitare la preghiera del mattino: “Padre nostro che sei nei cieli…” e, durante la pausa di metà mattina, a cantare l’inno di Mameli: “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta…”. Il Padre era il Dio dei Cristiani e i Fratelli, badate bene, non i Figli d’Italia, erano i Massoni che avevano organizzato e guidato la colonizzazione delle nostre regioni.
Nei programmi ministeriali, gli eroi icone del Risorgimento furono Mazzini e Garibaldi, che sono tuttora due fra i pilastri storici della Massoneria.
Diceva Giuseppe Mazzini nel programma della Giovine Italia: “I popoli sono gli strumenti di Dio; perciò essi hanno, prima ancora del diritto, il dovere di essere liberi e indipendenti per compiere la missione loro affidata da Dio. Se un governo tirannico opprime un popolo, questo ha il dovere religioso di insorgere e di fare la rivoluzione, a costo di qualunque sacrificio.” (da Martinelli, Il cammino dell’uomo, F.lli Fabbri). Se ci pensiamo bene è lo stesso concetto enunciato oggi dagli integralisti islamici, la Jihad, la guerra santa.
Ma è ben lontana da me l’intenzione di paragonare Mazzini a uno di quei personaggi che noi oggi chiamiamo terroristi. Piuttosto vorrei evidenziare un espediente politico, che ricorre in periodi storici anche molto lontani fra loro, in cui gli strateghi usano la “droga” della religione per armare i popoli ignoranti e spingere i soldati verso l’assassinio e la morte, magari col sorriso sulle labbra e la coscienza empia della certezza di un fine nobile perché, se è Dio che ce lo chiede, anche l’omicidio e il proprio sacrificio diventano nobili.
L’Italia, che non ha mai smentito la sua vocazione per la fantasia e per l’arte, concepì il sistema, ammirevole dal punto di vista sociologico, per attuare in modo garbato e incruento la forgiatura dei Giovani Italiani.
La Scuola diventò il crogiolo dove i ragazzi subirono quel processo chimico indispensabile che serve a plasmare le coscienze, dove per prima fu attuata la fusione fra la spinta antica e consolidata della religione Cattolica con la strategia nuova e sottile della Massoneria.
Tutti i programmi scolastici ministeriali furono elaborati dai Fratelli Massoni e dai Fratelli Cristiani che, forse per la prima volta nella loro storia, si presero per mano e iniziarono un cammino comune. Certo dapprima le mani bruciarono perché l’una dichiarava di essere razionale e scevra di dogmi e l’altra, invece, si fondava sulle stigmate e sul mistero della fede, ma presto l’interesse comune, ben più pratico e materiale, prevalse e i due andarono d’amore e d’accordo. Ma la loro unione non venne riconosciuta ufficialmente, essi stessi la negarono e continuano a farlo tuttora per non turbare il senso comune del pudore e della morale cristiana e per non rivelare la metamorfosi.
La Massoneria e la Chiesa Cattolica furono la coppia di fatto che scaturì dal Risorgimento e iniziò una stagione nuova d’intenti che ognuna, da sola, non avrebbe potuto realizzare. L’amplesso, blasfemo da un lato e irrazionale dall’altro, trovò pure la Mafia che si unì nell’abbraccio, la quale, al centro delle loro attenzioni morbose, dedicò effusioni all’una e all’altra che a turno e talvolta insieme le procurarono orgasmi. L’unione spudorata varcò ogni limite di fantasia “erotica” e sbocciò nella glorificazione della “santissima trinità”.

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19/11/2009 21:53
 
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La “santissima trinità”

Il triangolo equilatero, ai cui vertici presero posto la Chiesa, la Massoneria e la Mafia, si dimostrò efficacissimo per raggiungere gli obiettivi del Regno dei Savoia. Ognuno aveva dei compiti ben precisi: la Chiesa, che teneva le redini del popolo da sempre, ma che a sua volta era dominio assoluto dell’aristocrazia, doveva riunire la gente e terrorizzarla con la lettura della Bibbia sventolando lo spauracchio di Satana, doveva impaurirla così tanto da fargli credere che solo l’obbedienza alla Chiesa e alle sue regole, sintonizzate sui programmi lucrosi dei padroni, poteva redimere le anime e condurle in paradiso. A una popolazione così indebolita dalla paura, la Massoneria doveva imporre un’educazione ed una cultura che risultassero ossequiose verso i nobili, i borghesi e in generale verso chi deteneva il potere economico. La Mafia doveva usare la forza intimidatoria dei suoi metodi violenti per dissuadere ogni ambizione di rivolta.
L’ideologia comunista, all’epoca nascente, che predicava la comunione dei beni e l’uguaglianza e che avrebbe potuto rappresentare la sintesi del pensiero cristiano, diventò invece, nelle strategie eversive della Chiesa Cattolica, il dèmone dal quale doversi difendere. Essa attentava ai privilegi dei ricchi “ché Dio li aveva fatti tali” e perciò andava repressa.
Con l’avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania, la Chiesa trovò gli alleati coi quali proseguire nel progetto di sconvolgimento dei principi della cristianità. Il metodo, più esaltato che celato, fu di negare la filosofia di vita ispirata da Gesù, che risultava troppo pericolosa nelle parti in cui condannava la ricchezza di beni materiali, che contraddiceva l’opulenza della Chiesa, dei suoi Ministri in Vaticano e della nobiltà che l’aveva sostenuta da secoli. Ma la storia era già scritta e si poteva solo adattarla alle esigenze di chi l’aveva sconvolta, perciò l’attenzione dei fedeli risultò dirottata verso la venerazione dei simboli che enfatizzano il martirio di Cristo, verso le cerimonie ecclesiastiche e i riti pagani, le processioni, l’adorazione dei Santi, che la Chiesa ha avuto da sempre la presunzione e l’arroganza di proclamare, soprattutto fra gli aristocratici e i potenti di ogni epoca ed anche fra sprezzanti manipolatori dell’ingenuità dei poveri, fra assassini e guerrafondai.
Nelle regioni dello Stato Mafia le manifestazioni ecclesiastiche, dalle feste paesane per il santo patrono a quelle cittadine e rurali, sono gestite, su delega della Chiesa, dalla criminalità organizzata. La Madonna di Polsi e la festa della Madonna della Consolazione, a Reggio Calabria, sono cosa della ’ndrangheta da sempre, così come il “miracolo” della liquefazione del sangue di San Gennaro, a Napoli, è cosa della Camorra. Ed è così in ogni città, cittadina, paese e contrada dello Stato della Mafia.
A queste manifestazioni pagane partecipano in massa i maggiori rappresentanti delle istituzioni e della politica locali, affinché vengano rinnovati ogni anno gli omaggi dello Stato Italia ai governanti dello Stato Mafia.
L’intreccio tra la Chiesa, la Massoneria e la Mafia, ha avuto il suo palcoscenico privilegiato nella pianificazione della cultura ufficiale del nostro Paese, contrastata debolmente solo al Nord dalla cultura laica progressista. Si è espressa e si esprime anche oggi nelle aule scolastiche. La scuola era, e continua ad essere, lo strumento politico indispensabile per diffondere la propaganda dell’ideologia medievalista, che in Italia non è mai stata repressa in modo radicale, per mortificare negli individui, fin da piccoli, le aspirazioni alla libertà intellettuale e alla democrazia vera in favore della prostrazione verso chi deteneva e detiene il potere economico. La storia ufficiale dell’Italia unificata fu scritta con questo fine, e si spalancarono le porte all’era capitalista-mafiosa, tipicamente italiana, che ha raggiunto il suo culmine alla fine del secolo scorso.
Oggi in Italia stiamo vivendo un periodo storico molto simile a quello che precedette la rivoluzione francese, quando la nobiltà e la borghesia, che gestivano il potere politico, avevano il solo obiettivo di vivere nel lusso, negli agi e nei vizi senza curarsi delle necessità della maggioranza della popolazione, che pativa pure la fame.
Solo da poco si comincia a intravedere la possibilità di un inizio di decadenza di questo sistema, innescato dall’ingordigia dei nobili e dei borghesi che non trovano più nulla da prendere, o che se pretendessero di più rischierebbero di scatenare sommosse popolari, e sono costretti ad ammettere che le risorse sono finite. Se prima, in cambio della prostituzione delle idee di uguaglianza e di giustizia, potevano offrire la remota possibilità che chiunque potesse arrampicarsi fino all’apice del sistema, cosa che spesso è avvenuta, oggi l’illusione è finita e l’ultima carta da giocare può essere ancora una volta il colonialismo, dell’area balcanica, del medio oriente e dell’Africa per appropriarsi di nuovi territori da sbranare, se quei popoli glielo lasceranno fare.
Il meridione rischia di restare la colonia che è sempre stata, se la gente non riuscirà a trovare la dignità e la necessaria forza organizzata per scrollarsi di dosso la tirannia della Mafia capitalista e cattolica.

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20/11/2009 23:10
 
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La guerra allo Stato Mafia, strategie, tempi e metodi.

Ma non sono un politico, lo scopo di questo mio lavoro non è quello di sponsorizzare scelte ideologiche indirizzate verso il socialismo, né di influenzare con la critica intellettuale l’evoluzione del sistema feudale italiano. So bene che ogni periodo storico-politico ha il suo inizio e la sua fine, e la fine del capitalismo-mafioso italiano sarà naturale come lo è stata, in tutte le parti del mondo, quella di ogni parabola politica che ha perseguito lo sfruttamento della gente comune in favore dell’arricchimento di una minoranza di privilegiati. Quando l’ingiustizia e la fame non saranno più sostenibili, la scelta finale sarà ancora una volta del popolo represso, e seguirà un percorso doloroso e sanguinario come è sempre stato da quando esiste l’umanità. Che sia giusto o no, le determinazioni spontanee dei popoli sono state, e continueranno ad essere, l’unica forma cristallina di Democrazia.
In Italia non c’è stata mai una rivoluzione che abbia perseguito il fine di realizzare un vero Stato democratico. L’epilogo del Risorgimento è stato un colpo di mano della Massoneria che, insieme ai Savoia, s’è presa tutta la penisola. Non è un caso che i discendenti di quella dinastia credano ancora di essere gli eredi congeniti del potere politico ed economico in Italia, e non è nemmeno un caso che la Sicilia rappresenti per loro un centro d’interessi imprescindibile. I primi accordi, non furono proprio con la Massoneria e la Mafia siciliane?
Nemmeno i moti della Resistenza hanno sconvolto davvero l’assetto politico-mafioso della nostra Nazione, perché gli Stati Uniti d’America lo impedirono con la loro ingerenza nel dibattito politico del dopo guerra, con la presenza dei loro contingenti militari e con l’invenzione di una milizia segreta di ispirazione fascista, la struttura paramilitare denominata Gladio, che ha tramato e operato per la restaurazione dei governi nobili-borghesi e mafiosi.
La conservazione degli antichi assetti politici ha sempre prevalso su ogni movimento ideologico e sorge il sospetto che la causa di questa stagnazione, che non trova eguali nei Paesi occidentali, sia la presenza, sul nostro territorio, dello Stato del Vaticano, una palla al piede che limita il progresso e la civiltà alla stessa stregua dell’integralismo islamico che impedisce le svolte democratiche in altre parti del mondo.
Soprattutto le popolazioni del Sud, non vivono in regime di democrazia ma sotto il giogo di una dittatura della Mafia. Che il governo si identifichi di destra, di sinistra o di centro, finché esisterà la Mafia per noi queste denominazioni resteranno di facciata e nessuno potrà farci credere che l’ideologia applicata possa essere autentica e svincolata dal cancro della criminalità organizzata. La propaganda delle libere elezioni democratiche non può essere più accolta con serietà, dato che nessun governo, eletto “democraticamente” coi voti della Mafia, ha saputo o voluto congegnare sistemi efficaci per sconfiggerla. Qui si continua a sopravvivere molto al di sotto degli standard di democrazia applicati nel resto della Nazione, non c’è spazio per gli artigiani onesti, per i commercianti onesti, per gli imprenditori onesti, per gli impiegati onesti, per gli artisti onesti, per gli sportivi onesti, per gli intellettuali onesti, per nessuno di quelli che vorrebbero vivere, lavorare e finanche pensare onestamente, perché i sentieri dell’onestà ci sono preclusi. Al contrario, le persone sono indirizzate verso le autostrade del crimine e pure lì, chi non procede veloce viene escluso dalla competizione.
Il ragionamento è scientifico, se nessuna fazione politica debella la Mafia vuol dire che la Mafia assume le sembianze di ogni fazione politica. La gente non è stupida, e due più due lo sappiamo fare anche a Reggio Calabria, a Salerno, a Matera, a Taranto e a Catania.
Il mio intento, dicevo, non è quello di suggerire indirizzi politici ma di elaborare, insieme alle persone oneste e di buona volontà, una strategia possibile per sconfiggere la dittatura della Mafia, che non è più sostenibile. La Mafia ed i governi che l’hanno foraggiata, praticamente tutti, sono stati talmente ingordi da metterci con le spalle al muro. “Dio ci guardi dall’ira degli umili” c’è scritto in un libro sacro, e quell’ira ben venga, allora, ma che sia guidata su percorsi di rigorosa legalità e da condottieri che sappiano il loro mestiere e che sono tutti ai posti giusti, ne sono certo, dentro le stesse Istituzioni, ma che non possono coordinare un’azione comune se manca loro la spinta ed il consenso della gente.
Magistrati, Professionisti, Dirigenti delle Forze dell’Ordine e Ufficiali delle Forze Armate, Politici e Intellettuali, Sportivi, Artisti e Poeti, Scrittori e Giornalisti, che facciano sentire la propria voce e la uniscano alla voce della gente comune che sta morendo nelle nostre regioni!
Che nessuno gridi “al reo!” se diremo pane al pane e vino al vino! Che nessuno s’inventi procedimenti penali con l’intento di censurare le nostre opinioni!
Pretenderemo che si dichiari guerra alla dittatura dello Stato della Mafia, come l’Italia democratica dichiarò guerra alla dittatura dell’Impero Fascista. Innescheremo un’altra Resistenza che possa produrre pulizia all’interno delle Istituzioni, poi spingeremo le Istituzioni ripulite verso l’assedio dell’esercito nemico e vigileremo per cent’anni affinché nessuno possa sfuggire alla pena.
Non abbiamo altri nemici qui, non i cugini islamici, i fratelli neri o le coppie di fatto, né gli omosessuali o i drogati, i nostri nemici sono i mafiosi, che portino la coppola o la toga, la divisa o lo stemma di qualsivoglia partito politico. Non avremo riguardo per gerarchie militari né per rappresentanze istituzionali, svergogneremo questori e prefetti, comandanti dei carabinieri e delle altre forze armate, sindaci, presidenti di province e regioni, ministri e presidenti del consiglio, perfino presidenti della repubblica, e parroci, vescovi, cardinali e papi se non saranno con noi, se non ci sosterranno nella guerra alla Mafia, non con le parole che svolazzano, di parole ne abbiamo piene le tasche ed anche di funerali di stato e di targhe a ricordo, ma coi fatti e che pesino come macigni.
Il giudice Agostino Cordova ci ha voluto suggerire che il termine ’ndrangheta deriva dal greco andragathia: essere uomini. Ma chi ha permesso che se ne appropriassero i criminali? Il mio primo invito è di riprenderci quel nome, è nostro, delle persone perbene, delle persone oneste che vorrebbero vivere e lavorare senza doversi aspettare le fucilate dei mafiosi e le pugnalate dei governi.
Siamo noi gli uomini d’onore! E vogliamo sottrarre questo epiteto a quei delinquenti codardi che si fanno chiamare ’ndranghetisti, ma non sono altro che furfanti protetti dalle Istituzioni, che appena sentono un alito di brezza ostile si pentono pure di essere nati. Da oggi, Andragathia siamo noi!

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22/11/2009 21:27
 
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Strategie e proposte di leggi contro la Mafia

Lo Stato Mafia è uno Stato astratto ma riconosciuto politicamente, del quale sappiamo la collocazione geografica preminente e la tipologia di governanti e amministratori che sono identici a quelli di uno Stato reale. E’ uno Stato che ha, come fondamento costituzionale, esclusivamente la ricchezza economica, a differenza di uno Stato democratico che predilige, invece, obiettivi virtuosi come la libertà, la dignità e l’uguaglianza di ogni cittadino davanti alla legge a prescindere dalle sue origini, dalla sua condizione sociale, dalle sue scelte politiche e religiose e dalle sue propensioni sessuali, e in subordine si adopera per garantire ad ognuno la possibilità di produrre lavoro e ricchezza secondo le proprie aspirazioni e capacità.
Il patrimonio economico dello Stato Mafia proviene in gran parte da attività illecite come il commercio di droga e armi e l’usura, dal prelievo “fiscale” ai danni delle imprese e degli esercenti, ma anche da attività industriali e commerciali che vengono sottratte, rubate e rapinate, coi raggiri amministrativi e la potenza militare quando serve, agli stessi cittadini che fanno parte dello Stato Italia.
I governanti-padroni dello Stato Mafia sono perciò, in gran parte, imprenditori, industriali e commercianti, ma molti di loro, che non possono apparire come tali, sono rappresentati da burattini che hanno tutta l’apparenza di persone perbene e lavorano, invece, traendone i loro vantaggi economici, per consentire ai proprietari celati di svolgere altre mansioni più utili alla conduzione e alla prosperità dell’impresa.
I campi d’azione dei diplomatici mafiosi spaziano dai tribunali alle prefetture, dalle questure alle caserme dei carabinieri e della guardia di finanza, dalle amministrazioni pubbliche locali a quelle provinciali e regionali, da tutti gli enti pubblici che convogliano risorse nazionali a quelli che le indirizzano alla destinazione finale, fino al parlamento dello Stato Italia che legifera.
Abbiamo quindi parlamentari e in generale politici mafiosi, magistrati mafiosi, avvocati mafiosi, funzionari e agenti delle forze dell’ordine mafiosi, ufficiali e subordinati delle forze armate mafiosi, dirigenti e agenti dei Servizi Segreti mafiosi, amministratori ed impiegati mafiosi, i quali, contemporaneamente, svolgono funzioni pubbliche che dovrebbero essere preziose per il nostro Stato democratico e che invece sono svilite da un tale tradimento. Senza contare le complicità e i sostegni di cui gli stessi traditori dello Stato godono fra gli alti prelati del Vaticano. Il quale assomiglia sempre di più ad un cavallo di Troia, sistemato sul territorio della nostra Nazione, che nasconde alcuni fra i più temibili nemici della libertà e della democrazia, pilastri portanti della nostra Repubblica, che vengono aggrediti alla base fidando sulla complicità silente di tutti i nostri politici.
Dal punto di vista militare possiamo considerare la Mafia come uno Stato autocratico che si è impadronito delle nostre regioni meridionali e costituisce una minaccia al resto della Nazione, perciò è uno Stato nemico al quale dobbiamo dichiarare guerra e che bisogna conquistare per riappropriarci dei nostri territori e della nostra dignità. Per semplificare possiamo immaginarlo come una città medievale coi suoi muri di protezione, il fossato colmo d’acqua che la circonda e i ponti che la congiungono al resto del Paese. Da quei ponti provengono i viveri, nel nostro caso i fondi pubblici destinati alla costruzione di grandi opere e a sovvenzionare le imprese industriali e commerciali, ed essi costituiscono i collegamenti con le collusioni della politica nazionale e le protezioni dei nobili, dei borghesi e del Vaticano. I due ponti principali sono, appunto, la Chiesa cattolica e la Massoneria, due consorterie radicate da secoli sul territorio e che riescono a manovrare la politica. Quei ponti devono essere il nostro primo obiettivo.
E’ mia opinione che la Chiesa cattolica sia dominio degli aristocratici; dei nobili, dei borghesi vecchi e nuovi e dei massoni e si allontana a grandi passi, se mai ne è stata vicina, dalla gente comune che soffre nelle periferie concrete ed astratte delle città, recinti nei quali sono stati stivati greggi di pecorelle smarrite che non interessano più a nessuno, tanto meno ai falsi seguaci di Cristo che banchettano a base di vitelli grassi e champagne per ogni milione di euro accumulato e non perdono occasione per scagliare anatemi contro i drogati, gli omosessuali e le coppie di fatto, ma solo verso quelli anonimi e non baciati dalle luci della ricchezza. Mentre riservano onori e tappeti di rose ai ladroni e ai predatori della nostra umiltà.
Non che sia determinante per la nostra guerra, ma se il Papa, alla finestra di piazza San Pietro, manifestasse una seria presa di posizione dei vertici della Chiesa contro lo Stato Mafia, chiamando per nome la Camorra, la ’ndrangheta, Cosa Nostra e la Sacra Corona Unita, ed esprimesse una condanna chiara e senza equivoci di tutti i clan, degli affiliati, dei simpatizzanti e dei complici della Mafia, soprattutto di quelli che sono dentro le Istituzioni in ogni città del meridione, dato che ancora non è troppo tardi produrrebbe un effetto benefico. E sarebbe anche utile sentire ogni domenica, in ogni chiesa di città e di paese, un sermone dei parroci campani contro la Camorra, dei parroci calabresi contro la ’ndrangheta, dei parroci lucani e pugliesi contro la Sacra Corona Unita e dei parroci siciliani contro Cosa Nostra. Ciò che non vorremmo sentire più, invece, sono le chiacchiere inutili e ipocrite che si riferiscono genericamente a tutte le mafie, come se ce ne fossero centinaia e magari questi altoparlanti del Vaticano vorrebbero farci credere che nei nostri territori esistono forme di criminalità organizzata che sono estranee alle cosche mafiose propriamente dette. Non è vero! Qui da noi ogni forma di crimine è strettamente legata alla Mafia locale e con essa ha concluso accordi per potere svolgere le proprie attività correnti, i furti di auto, i furti negli appartamenti, le rapine ai commercianti, le rapine ai portavalori, i prestiti a usura, le truffe, il riciclaggio di denaro sporco, il commercio al minuto della droga, lo sbarco dei clandestini, lo sfruttamento della prostituzione, il gioco d’azzardo. Nessuna di queste forme di criminalità sfugge al controllo e al consenso dei clan mafiosi locali.
La Mafia ha nomi e cognomi in ogni regione, provincia, comune e quartiere del sud Italia e se gli uomini della Chiesa hanno il coraggio che ci aspetteremmo da chi predica la vita eterna dopo la morte, ebbene quei nomi devono farli. E che non si nascondano dietro nomi illustri come Pino Puglisi che è martire proprio perché la Chiesa, nella sua complessità, è stata complice della Mafia per secoli, come Falcone e Borsellino sono martiri perché lo Stato Italia è stato complice della Mafia fin dal 1860. Nessun rappresentante delle Istituzioni o della Chiesa e nessun cittadino onesto sarebbero stati uccisi dalla Mafia se non fossero già stati delegittimati con il comportamento ambiguo ed ancor più, complice, dello Stato Italia.
Perciò, che il Vaticano non perpetui gli errori del passato civettando ancora coi tiranni! Se la Chiesa cattolica vuole essere con noi nella guerra alla Mafia deve dirlo scandendo bene le parole e i nomi delle varie consorterie, altrimenti, di una Chiesa che non si oppone senza ambiguità alla dittatura che ci opprime, non sappiamo che farcene. Dio lo riconosciamo più nei tuguri che fra l’oro e l’opulenza delle chiese.

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23/11/2009 23:15
 
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Revisione dei Patti col Vaticano

Ciò che la nuova Italia, nuova perché non più mafiosa e per la prima volta autenticamente democratica, deve fare dapprima, è un radicale ridimensionamento del potere della Chiesa cattolica.
E’ mia opinione che i Patti con lo Stato del Vaticano vadano rivisti. Tanto per cominciare, si deve impedire per legge che i bambini ancora in fasce vengano schedati negli archivi del Vaticano con l’imposizione del battesimo cristiano. Imporre una appartenenza religiosa a un essere umano che non può averne cognizione e che non può rifiutarsi, costituisce una forma di violenza ben più grave di quanto potrebbe apparire, che ha effetti sulla psiche futura del bambino e ne limita drasticamente la libertà di scelta.
Il potere, di qualunque organizzazione sia essa politica o religiosa, deriva dalla quantità di consensi, cioè dal numero di persone che aderiscono a quella ideologia. Il principio democratico stabilisce che l’adesione deve essere spontanea e non coattiva, perciò non deve essere indotta dal credo e dalle convinzioni della comunità né della famiglia. Nessuno può iscrivere il proprio figlio, contro la sua volontà, al partito comunista solo perché fedele a quella ideologia, perciò anche l’appartenenza religiosa di un individuo non può derivare nemmeno dalla casualità del territorio geografico di nascita, se nasco in Turchia sono musulmano e se nasco in Italia sono cristiano, ma da una scelta precisa che l’individuo può assumere solo quando è considerato capace di giudicare.
Questo principio, in uno Stato democratico, vale per tutti i partiti politici e dovrebbe valere anche per le organizzazioni religiose, a differenza di quanto avveniva nell’Italia fascista e nella Germania nazista quando anche i bambini, fin dalla più tenera età, venivano schedati negli elenchi del partito ed obbligati a frequentarne le funzioni di rito. Certo i bambini non si rendevano conto di subire una grave lesione dei loro diritti ed erano costretti a crescere in un ambiente malsano che ne plasmava le coscienze a misura degli interessi del partito. Anche da quei consensi immaturi estorti derivava il potere dei dittatori che potevano esibire agli occhi del mondo la gioventù fascista e la gioventù hitleriana.
La legge dello Stato ha stabilito che la maturità della coscienza critica, quindi la capacità di giudizio, si configura giuridicamente al compimento del diciottesimo anno. Questo per garantire che i giovani minorenni non possano venire utilizzati per esprimere un consenso, e di conseguenza determinarne il potere, verso dottrine che potrebbero risultare insidiose per la loro sana formazione, anche a costo di precludere loro la possibilità di aderire, ma sempre in modo che risulterebbe coattivo, a dottrine riconosciute adeguate allo standard del nostro sistema democratico.
Il principio è di Diritto e la religione non c’entra nulla.
Sta di fatto che i bambini che vengono battezzati contro la loro volontà cosciente, perché giuridicamente incapaci di esprimere giudizi critici, subiscono una lesione del loro Diritto. Che siano battezzati cristiani o musulmani o di altre religioni non muta la gravità dell’atto, perché quei bambini cresceranno ed una volta acquisita la capacità di giudicare si ritroveranno negli elenchi di quella organizzazione religiosa che non hanno scelto.
Pochi sono quelli che decidono di svincolarsi dalla trappola attivando le vie giuridiche (se sono previste un motivo ci sarà) che si traducono in una lunga trafila burocratica umiliante, e la gran parte non lo fa perché non sa che la legge lo prevede e non immagina neppure lontanamente che il suo nome procura consenso politico.
Intanto, quei consensi immaturi estorti garantiscono potere all’organizzazione religiosa, fanno numero nelle sue statistiche, consentono l’accesso ai benefici economici profusi dallo Stato e, nel caso in specie, il Vaticano esibisce anche agli occhi del mondo il potere politico che ne deriva. Le stesse campagne di proselitismo, condotte in ogni parte del pianeta dai missionari del Vaticano, perseguono il medesimo scopo, cioè il potere politico. Ma quando si parla di milioni di cristiani, si sappia che in quelle stime sono compresi i bambini incoscienti e gli adulti, che magari non sono più cristiani o sono atei, che non hanno chiesto di essere cancellati dalle liste del Vaticano.
Riportando entro limiti realistici il numero dei cristiani vietando l’iscrizione dei bambini nell’anagrafe del Vaticano, sarebbe ridimensionato anche il potere politico di quello Stato che si regge, finora, su stime falsate ed arbitrarie che comunque gli garantiscono privilegi che non merita.
Mi chiedo a chi darebbe fastidio che il battesimo cristiano venisse praticato dopo il compimento della maggiore età. Lo stesso Gesù, non fu battezzato ch’era già adulto? La Chiesa predica i diritti umani ma poi non tiene in alcun conto i diritti dei bambini e li etichetta neonati apponendo loro un marchio di appartenenza. Se potesse, lo farebbe anche con gli embrioni.
E’ strano che su questo argomento non si sia ancora espresso nessuno della marea di pseudopsicologi che popolano i salotti televisivi, e tanto meno i “santoni” del diritto. Ma forse tanto strano non è, visto che i media subiscono la censura dei preti e i “santoni-maghi” del diritto, molti dei quali sono stati allattati dai gesuiti, appaiono per castigare le ragazze violentate e spariscono se un tiranno si prende l’Italia per vent’anni.
E’ palese che i concetti di Democrazia e di Diritto non siano compiuti ma in continua evoluzione. Capisco che accettare i cambiamenti possa essere traumatico per i più conservatori, ma la società cambia e con essa le sue esigenze. Un tempo era inconcepibile che le donne potessero esprimere un consenso politico, oggi è inconcepibile il contrario. Ciò che un tempo era considerato immorale oggi fa parte del nostro bagaglio di diritti, una valigia piccola, piccola, quasi una ventiquattrore, che domani sarà un borsone e posdomani uno zaino. La velocità di questa evoluzione dipende da noi, dalla nostra capacità di allestire ostacoli legislativi che possano limitare il potere di chi ci vorrebbe dominare circuendoci fin da piccoli.
In uno Stato democratico, ad ogni cittadino adulto deve essere garantita la possibilità di scegliere la religione che gli è più congeniale e i cui principi non contrastino con i diritti universali degli esseri umani, consentendo l’edificazione, limitata, di templi per le riunioni dei fedeli anche sul terreno dello Stato laico, a patto che si paghino i relativi costi e i tributi dovuti per legge, che devono essere uguali per ogni confessione religiosa.
Le scuole che impartiscono l’istruzione obbligatoria devono essere esclusivamente laiche e statali, la Chiesa non deve plagiare i bambini e i ragazzi. Le scuole cattoliche e di altre religioni devono essere riservate ai giovani che abbiano compiuto la maggiore età stabilita dalla legge e devono essere autonome, dal punto di vista economico, senza beneficiare di contributi dello Stato.
Inoltre, lo Stato del Vaticano non deve più godere dell’immunità che gli è stata accordata. E’ troppo pericoloso che uno Stato così economicamente e politicamente potente possa ricamare e volendo anche tramare, indisturbato, all’interno dello stesso territorio dello Stato italiano. In nessuna parte del mondo è più presente il paradosso di una organizzazione religiosa proprietaria di uno Stato, è un concetto obsoleto e legato a retaggi del passato molto lontano, quando il padrone dello Stato era anche il capo religioso. L’Italia resta l’unica Nazione del mondo ad accogliere, all’interno del proprio territorio geografico, uno Stato il cui capo sia anche capo della Chiesa.
Questo, comunque, è un argomento che può essere affrontato nel prossimo futuro e con tutti gli interlocutori che vorranno parteciparvi. Ma non deve essere un tabù.
La magistratura italiana deve potere svolgere indagini anche all’interno dei palazzi di San Pietro e, se è necessario, deve potere avere libero accesso giuridico in tutti gli atti che riguardano l’economia e l’amministrazione di quello Stato, come se fosse un’associazione culturale o un partito politico. Ridimensionare il Vaticano al mero ruolo religioso, che non interferisca più con l’educazione dei giovani, è una priorità per la nuova Italia democratica, senza la quale la guerra alla Mafia non potrà essere pienamente efficace.
Tutto il denaro che l’Italia non regalerà più allo Stato del Vaticano, dovrà essere dirottato verso le amministrazioni della giustizia e dell’ordine pubblico, per raddoppiare gli organici dei magistrati e delle forze dell’ordine e per garantire l’uso di strumenti idonei e sufficienti per lo svolgimento delle rispettive competenze.

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24/11/2009 22:56
 
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Spieghiamo la Mafia ai ragazzi - segue

Epilogo della Massoneria

Certo, non possono farlo i ruderi dal cervello deviato che hanno scritto quei libri di storia, sotto dettatura dei massoni, che sono stati imposti per l’educazione dei bambini e dei ragazzi fin dal 1860, ma i giovani intellettuali non plagiati e soprattutto non pagati, dovrebbero avviare un dibattito che conduca ad una revisione della storia dell’Italia unificata. Senza andare troppo indietro nel tempo se ne potrebbe ricavare il vero percorso politico-economico che, a partire dalle guerre d’indipendenza, ha consentito alla Massoneria di appropriarsi della penisola offrendo appoggio, ben ripagato, alla dinastia dei nobili Savoia. Si arriverà al punto oscuro che corrisponde al momento in cui furono stipulati i primi Patti con la Mafia. Quei Patti traghettarono l’Italia nel XX secolo scongiurando le “insidie” del comunismo.
Quando i Savoia si infangarono con Mussolini e insieme alla Chiesa cattolica si rotolarono negli escrementi di Hitler promulgando le leggi contro gli ebrei, decretarono l’inizio della loro rapida decadenza e la Massoneria restò in attesa, appesa ad entrambi i rami dell’albero della conoscenza, fino a quando non apparve evidente che il Fascismo e il Nazismo sarebbero stati sconfitti da una forza militare “bipartisan”, che in breve li stritolò aggredendoli simultaneamente dai luoghi dell’alba e da quelli del tramonto. A quel punto l’ingegno italico si manifestò e la Massoneria, mollando il ramo debole prima che cedesse e aggrappandosi a quello forte più tenacemente legato al tronco, si alleò con gli Alleati ed elaborò insieme ad essi un piano strategico che le consentì di restare padrona dell’Italia. In pratica non fece altro che rispolverare il vecchio progetto politico-militare che era risultato vincente per il trio formato dal Re del Piemonte Vittorio Emanuele II di Savoia, dal suo primo ministro Camillo Benso conte di Cavour, e dal generale Giuseppe Garibaldi. Dato che era già padrona della colonia ex Regno delle due Sicilie, la consegnò agli americani che da lì, anzi da qui, cominciarono la risalita verso Roma e continuarono poi respingendo i tedeschi e i fascisti fino a schiacciarli contro le pareti delle Alpi.
Fu la vittoria dei democratici e di tutti gli antifascisti italiani, ma non solo, fu anche la vittoria della Massoneria e della Mafia, sua alleata fin dai tempi di Mazzini.
Purtroppo, al contrario della sconfitta, la vittoria ha sempre molti padri perché la gloria, che ne è la madre, è di facili costumi e non si sa mai con certezza chi l’abbia ingravidata. E questo è un bene dato che è meglio avere molti padri incerti piuttosto che essere orfani, ma l’unico che restò a dormire nel letto con la mamma fu il governo degli USA, e gli altri, che pure avevano contribuito all’inseminazione, ognuno con le proprie capacità, furono emarginati dal governo della Nazione ritrovata. A guardia dell’armonia familiare, benedetta dalla Chiesa cattolica, restarono la Massoneria e la Mafia.
Potrebbe sembrare una fiaba a lieto fine e per certi versi lo è stata, soprattutto per le popolazioni del Nord, ma per noi meridionali colonizzati non era cambiato molto, tranne che ci ritrovammo a dover seppellire i morti e a ricostruire le case distrutte dai bombardamenti inglesi e americani. La Mafia era sempre padrona di tutti i nostri territori e controllava, con l’imposizione del pizzo, ogni attività commerciale compresi gli ambulanti e i questuanti e così fino ai giorni nostri, con la differenza che oggi le attività commerciali più importanti sono ormai tutte di proprietà della Mafia.
Ritengo che la Massoneria in passato, da un certo punto di vista prettamente economico, abbia fatto del bene all’Italia del nord, ma il male che ha procurato alle popolazioni colonizzate del Sud è imperdonabile. Il limite della Massoneria è consistito nella visione ristretta e troppo monetizzata della questione mediterranea, che ha contribuito all’apertura verso i borghesi rampanti e senza scrupoli, più spregiudicati dei nobili che ne avevano già inquinato le radici ideologiche, se mai queste, nel trapassato remoto, siano state vere e non frutto di leggende. Il percorso della Massoneria sembra molto simile a quello della Chiesa cattolica, da una leggenda è nato un mito che è stato stravolto nei secoli.
Oggi, a mio parere, all’interno della Massoneria è evidente una cointeressenza fra le consorterie di capitalisti beceri e le cosche mafiose più sanguinarie, una commistione che costituisce un grave pericolo per la democrazia, ancor più perché ne è parte attiva la politica nazionale formata, e deformata, a misura di quegli interessi. Oggi in quasi tutte le indagini giudiziarie compare il nome della Massoneria che, grazie alle acrobazie pudiche di magistrati e politici, viene definita deviata. Ma di deviato c’è solo il raziocinio dei fasulli amici della democrazia, zigzagante per sfuggire alle proprie responsabilità che imporrebbero provvedimenti drastici nei confronti di questa consorteria che dà l’impressione di essere popolata al novanta per cento da furfanti.
Non ho ancora ascoltato una parola della Massoneria che possa spiegare alla Nazione perché tanti adepti vengano coinvolti in indagini della magistratura, soprattutto per collusioni fra Mafia e politica. La Massoneria non fa pulizia al suo interno né in pubblico né in privato, si limita solo a minacciare di querela chi si permette di criticarla, nonostante che la gran parte delle persone, soprattutto i giovani, si stiano facendo un’idea maligna di quella organizzazione. Forse alla Massoneria non importa nulla di cosa pensa la gente. O forse la Massoneria sta cercando di tirare la corda ben sapendo che quando si romperà non sarà solo essa a cadere, ma di riflesso cadranno anche tanti proseliti ritti su piedistalli preziosi e quindi il rumore sarà assordante.
La Massoneria va sciolta e dichiarata fuorilegge! Secondo me andava già fatto quando fu scoperta la loggia “P2” che tramava per sovvertire l’ordinamento democratico della nostra Nazione. Non fu fatto perché di essa facevano parte anche uomini politici all’epoca potenti e capitalisti rampanti, alcuni dei quali ci saremmo poi ritrovati ai vertici del Parlamento. Fu un grave errore politico di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.
Per ovviare alle negligenze colpevoli dei servizi segreti, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei legislatori e per limitare le indagini, fu coniato il termine Massoneria deviata, così fu sciolta solo la loggia incriminata e assolti i vertici dell’organizzazione. Gli adepti furono smistati in altre logge segrete.
In nessun’altra circostanza simile si è agito allo stesso modo. Per motivi anche più banali sono stati sciolti partiti politici, associazioni culturali, sportive e religiose mentre la Massoneria è passata indenne attraverso una tale bufera. Non è un caso, perché i soci della Massoneria erano ed hanno continuato ad essere padroni degli apici dei servizi segreti, delle forze dell’ordine, della magistratura e della politica parlamentare.
Deve scattare un’indagine simultanea in tutte le Procure d’Italia per acquisire tutte le notizie utili in tutti i siti possibili, compresi gli istituti bancari, gli archivi delle forze dell’ordine, dei Servizi Segreti e dello Stato del Vaticano. Plotoni di militi devono entrare nelle sedi certe e in quelle probabili e cercare gli elenchi veri dove sono inclusi i boss dei vari clan mafiosi, i politici e tutti gli appartenenti alle amministrazioni dello Stato. Deve essere una azione militare breve ed efficace condotta dai reparti speciali dell’esercito. Nel materiale raccolto si troveranno le prove del tradimento.
Sono certo che questa iniziativa legislativa sarà assunta perché è urgente e le persone perbene, soprattutto in Calabria, aspettano con ansia l’apertura di una indagine su tutta la Massoneria. I segnali che provengono da settori puliti della magistratura e delle forze dell’ordine fanno ben sperare, nonostante la zavorra di alcuni politici conservati sott’olio che tengono il freno a mano tirato.
Alcune delle prove del tradimento sono già in possesso di quei magistrati che hanno indagato, ai quali è stato impedito di giungere alla conclusione. Alcune di quelle prove e testimonianze le ho fornite io stesso ai magistrati competenti.
E’ chiaro che durante questa operazione i Servizi Segreti devono venire “congelati” per impedire depistaggi, dato che le collusioni e le convergenze d’interessi fra Mafia, Massoneria e Politica sono state sempre ben coperte sia dal SISMI che dal SISDE, che anzi le hanno utilizzate per i loro scopi tutt’altro che legali e non certo orientati alla protezione dell’ordinamento democratico. Piuttosto questo vincolo scellerato è servito per mantenere la parvenza della democrazia nei territori che ne sono stati privati, e da tempo, a causa di una precisa strategia politica coloniale.
Tutti i beni appartenenti alla Massoneria devono essere sequestrati e faranno parte del patrimonio dello Stato. Potranno essere utilizzati per garantire l’estensione dei benefici, accordati ai pentiti per reati di Mafia, anche ai pentiti per reati commessi da appartenenti alla Pubblica Amministrazione.

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25/11/2009 22:59
 
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Riqualificazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso

Questo reato è stato concepito dai legislatori dello Stato Italia per arginare la tracotanza della criminalità organizzata sui territori delle regioni meridionali, sulla base di una visione, volutamente molto ristretta del fenomeno e data in pasto ai cittadini, che considera i clan mafiosi come la malattia da curare mentre essi sono solo i sintomi che diventano evidenti in occasione delle azioni violente. Così come farebbe un farmaco palliativo, lo Stato Italia ha stipulato accordi coi capi delle famiglie mafiose più potenti e insieme ad essi ha cercato di limitare il malessere causato alla popolazione che su quei territori è costretta a vivere. Alleviare i sintomi, senza curare la malattia, è stato il preciso obiettivo dello Stato Repubblicano, che dalla sua costituzione fino ad oggi ha sperperato un mare sconfinato di denaro in nome della lotta alla Mafia senza ottenere alcun risultato utile, se non la cancellazione di alcune cosche che erano sfuggite al controllo politico e la riorganizzazione periodica del territorio, con conseguente revisione delle egemonie militari fra i clan.
I Servizi Segreti hanno perseguito una strategia di cooperazione a stretto contatto coi capi carismatici della Mafia, soprattutto coi latitanti di lungo corso, nelle rispettive regioni di competenza, concordando insieme ad essi la flessibilità della mappa dei poteri e proponendo un organigramma possibile che, nel corso dei decenni, non interferisse con gli interessi politici di più ampio respiro, come la politica estera, nello specifico identificata nei rapporti con gli Stati Uniti d’America, per i quali l’Italia rappresenta un presidio di estrema rilevanza strategica nell’area del Mediterraneo.
E’ una vera e propria politica coloniale, esattamente uguale a quella compiuta, non solo dall’Italia, in alcuni Stati africani e mediorientali dove le guerre tribali sono sponsorizzate da quegli Stati occidentali che hanno interesse a garantire che il potere politico e militare, purché coincida con quello economico, resti nelle mani degli amici, anche a costo d’impedire l’evoluzione democratica di quelle Nazioni.
Mafia, quindi, non sono solo i clan che controllano il territorio ma anche tutto il carrozzone dei politici, dei capitalisti scellerati e dei loro servitori dislocati all’interno delle amministrazioni statali, che tutti insieme e col medesimo fine si adoperano per mantenere inalterato lo stato delle cose nelle regioni meridionali. Essi si servono delle cosche locali per procurarsi i consensi elettorali, che si traducono nella perpetuazione del potere, e in cambio elargiscono la certezza degli arricchimenti e dell’impunità, non solo ai singoli clan che li hanno serviti, ma a tutto il sistema che ha dimostrato di essere efficace. La gestione e la divisione delle ricchezze nell’ambito territoriale viene, invece, demandato ai capi locali di questa immensa organizzazione criminale che io definisco Stato Federale della Mafia. Il risultato è la negazione della democrazia, che viene proposta alle nostre popolazioni con le sembianze di una maschera di carnevale sotto le cui spoglie si cela il tradimento più abietto.
Il primo governo della Nuova Italia dovrebbe riqualificare il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, estendendo il concetto di Mafia verso quei sodalizi di persone che, pur non essendo espressamente affiliate ai clan e pur non utilizzando sistemi di intimidazione esplicita o di violenza fisica, per favorire gli scopi criminali del sistema Mafia mettono in atto quegli espedienti di tipo contabile, amministrativo e giuridico che finiscono per agevolarne le attività e, più in generale, a consolidarne la valenza politica. Molte di quelle persone appartengono a logge massoniche e ad altri club di nobili e borghesi, a partiti politici, all’aristocrazia del Vaticano e dell’economia nazionale, che in astratto non sono riconducibili agli organici dei clan ma in concreto appartengono a quel vasto humus di fiancheggiatori ed estimatori interessati che ne curano ed alimentano la crescita.
Però è anche vero che un tale sistema, che utilizza metodi non violenti ma raggiunge ugualmente gli obiettivi criminali e ha dimostrato di poter condizionare la libertà dei cittadini, è anch’esso efficacemente intimidatorio nei confronti delle persone oneste, le quali recepiscono il messaggio e subiscono da generazioni l’ammaestramento all’omertà, unico mezzo di autodifesa, mortificante, certo, ma col senno degli umili utile più della denuncia.
Ma non solo, nell’associazione di tipo mafioso devono essere compresi anche quei traditori appartenenti alle Forze dell’Ordine, all’Esercito e ai Servizi Segreti, che con le omissioni e i depistaggi facilitano la commissione dei reati su menzionati e intralciano il diritto corso della Giustizia. Poiché essi tramano ed operano contro la sovranità dello Stato Repubblicano rendendo i loro servigi ad uno Stato nemico annidato nelle nostre stesse terre, dovrebbero essere perseguiti anche per il reato di tradimento della Patria.

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