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Le mie passioni...

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2011 18:39
10/04/2011 18:33
 
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Racconto
Il volo del gabbiano

Anselmo se ne stava in piedi sul molo a fissare quell'immensa distesa d'acqua che si allargava fino all'orizzonte.
Stava fissando il suo mare.
Un fresca brezza primaverile ne increspava la superficie creando piccole onde che, con un susseguirsi lento e ritmico, andavano a infrangersi sulla scogliera.
Alcuni gabbiani volteggiavano lanciando le loro grida. Altri si lasciavano cullare dalle onde, immergendo la testa sott'acqua per catturare qualche piccolo pesce.
Fu in quella massa d'acqua che. miliardi e miliardi di anni fa, ebbe origine la vita. Quella stessa distesa d'acqua era divenuta la pietra tombale di suo padre e, ancor prima, di suo nonno.
Non era ancora nato quando il mare inghiottì il peschereccio di suo nonno con tutto il suo carico di vite umane.
Nessun corpo venne mai ritrovato, il mare non li aveva mai restituiti ai loro cari.

Ancor oggi poteva leggere negli occhi di sua nonna un misto di dolore e di speranza; speranza che il suo Anselmo ( era il nome di suo nonno) fosse vivo da qualche parte; magari raccolto da una nave straniera e, forse, privo di memoria,ma vivo!
Era poco più che adolescente quando il mare si prese anche suo padre.
Chi ebbe la fortuna di salvarsi raccontò di onde gigantesche, di come una di queste si fosse richiusa su suo padre,
trascinandolo fuori dalla barca e portandoselo sui fondali.
Per la sua famiglia di pescatori il mare aveva, da sempre, rappresentato tutto: la vita e la morte.
Era stato benedetto quando aveva concesso pesca abbondante e, con la stessa intensità, era stato maledetto quando si era portato via i due membri della famiglia.
Negli occhi di sua madre c'era odio, tanto odio per quel mare che aveva rapito prima suo padre e poi suo marito spegnendo in lei la vita.
Sin da piccolo era rimasto affascinato dal mestiere del padre decidendo di intraprenderlo, una volta diventato adulto.
La madre, dopo la morte del marito, lo aveva implorato di non farlo, di non permettere al mare di portarsi via anche lui.

Si era sentito sconvolto ed era corso sulla scogliera con un mazzo di fiori. Con un gesto deciso li aveva lanciati in mare invocando il nome del padre, poi le lacrime erano scese copiose. Il freddo vento invernale le mischiava agli spruzzi che le onde lanciavano
infrangendosi sulla scogliera, acqua salata che si fondeva ad altra acqua salata.
Anselmo sentiva che il mare era parte di sé, se lo sentiva scorrere nelle vene. Provò a liberarsene recandosi presso una lontana parente, frapponendo centinaia di chilometri fra lui e il mare; per amore di sua madre sperava che il richiamo di quella distesa d'acqua, che gli pulsava nella testa,cessasse.
Il suo cuore era come stritolato da un pugno d'acciaio: gli mancavano le strida dei gabbiani, gli mancava il rumore delle onde. Il richiamo del mare era fortissimo e lui si sentiva incapace di resistergli.
Ritornò al paese dopo poco tempo, deciso a fare il pescatore, consapevole di spezzare il cuore di sua madre.
Quando, con il suo peschereccio, si trovava in mezzo al mare aveva la sensazione di essere più vicino a quel genitore da cui troppo presto si era dovuto separare. In occasione della triste ricorrenza lanciava in mare una corona di fiori, restava immobile a pregare e ad ascoltare lo sciabordio come a volerci cogliere la voce di suo padre.
Gli anni erano passati.
Anselmo era ormai un uomo di mezza età; aveva le mani callose e il volto scavato, il viso segnato dal sole e dalla salsedine. Aveva vinto la sua scommessa con il mare, non avrebbe portato via anche lui.
Qualcos'altro gli avrebbe rubato la vita, qualcosa che lo divorava dall'interno. Un'onda che era nata nel suo stomaco e che stava diventando gigantesca; quell'onda lo avrebbe trascinato giù dalla barca e lo avrebbe costretto in un letto d'ospedale fra un mare di tubicini e macchinari.
Non avrebbe più avuto modo di vedere il suo mare, il compagno di una vita, causa e sollievo dei suoi dolori. Non avrebbe più sentito la musica delle onde né il canto dei gabbiani. Non ci sarebbero più state reti da issare, né benedizioni per la pesca abbondante.

Secondo i medici si sarebbe già dovuto ricoverare, ma testardamente si era rifiutato; nessuno avrebbe potuto convincerlo, era solo al mondo, solo con le onde, i gabbiani e i suoi dolori.
Aveva lanciato il mazzo di fiori che, ora, galleggiava in maniera scomposta a poca distanza da un gruppetto di gabbiani. Alzò gli occhi al cielo ad ammirare le evoluzioni di uno stormo in volo; un gabbiano si staccò dagli altri e gli volò sulla testa, quasi a volergli sfiorare i capelli, lanciando il suo grido... il suo saluto.
Sentì le gambe cedergli e si accasciò, tutto si fece buio e vuoto, in lontananza uno strano suono, come di sirena.
Riaprì gli occhi in un'anonima stanza d'ospedale; il dolore era insopportabile, il bianco accecante della stanza era anche peggio.
Chiuse gli occhi ritornando con il pensiero e la memoria al mare; lo sentiva battergli nel petto come quando aveva cercato di sfuggirgli, scappando lontano. nelle orecchie risuonavano il rumore delle onde e le strida dei gabbiani.
Sul suo viso sofferente si disegnò un abbozzo di sorriso.
Le grida dei gabbiani risuonavano più forti coprendo ogni altra sensazione; uno più forte degli altri era seguito da un altro suono: un battere, un tamburellare su di un vetro.
Faticosamente socchiuse gli occhi quel tanto che bastava per vedere un gabbiano immobile sul davanzale della finestra chiusa, picchiava col becco contro il vetro, per poi apprestarsi a spiccare il volo.
Per un attimo gli occhi di quell'animale si incrociarono con quelli di Anselmo.
Il gabbiano si girò sbattendo le ali e lanciando il suo grido.
Anselmo sospirò, il suo ultimo sospiro, poi il gabbiano spiccò il volo in direzione del mare.
Anselmo era con lui.
[Modificato da MondoGrace 10/04/2011 18:34]
10/04/2011 18:39
 
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E dopo il racconto qualche immagine






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