MILANO - La faccia ormai era blu, gli occhi girati all’indietro, la bocca spalancata, Mohamed ha visto quell’uomo penzolare dall’impalcatura, là sotto il balcone del secondo piano. «Ho strappato la rete del cantiere e mi sono arrampicato», racconta questo ragazzo marocchino, 23 anni, camminando nel cortile di un palazzo in via Inama, in Città Studi. È salito ed è riuscito a poggiare un piede sul tubo del ponteggio e l’altro sulla facciata della casa, ha messo una spalla sotto il corpo del signor Cesare che voleva suicidarsi e l’ha sollevato, allentando la stretta del cappio alla gola, pochi secondi dopo è arrivato un altro inquilino e ha tagliato la corda. A quel punto Mohamed ha rischiato di precipitare e ammazzarsi con l’uomo che stava cercando di salvare. È riuscito a tenersi attaccato ai tubi, ha fatto scivolare il corpo dentro il balcone.
Poi è arrivata la polizia e Mohamed s’è guardato intorno, è stato un po’ lì ad aspettare, alla fine non s’è fatto più vedere. Perché lui è un irregolare e avrebbero dovuto denunciarlo per l’espulsione. Era il tardo pomeriggio del 12 agosto scorso. Mohamed indossa una camicia bianca e un paio di jeans, parla un italiano perfetto e sorride spesso, lavora e paga l’affitto di una casa popolare, tre anni fa ha «fatto una cazzata - dice - che rischia di mandare in malora la fatica e i sacrifici di nove anni a Milano». Una sera, a Sesto San Giovanni, ha cercato di rubare un’auto e l’hanno arrestato, processato, condannato a 5 mesi e 10 giorni con la pena sospesa. A gennaio 2008, a causa di quella vicenda, non gli è stato rinnovato il permesso. Ecco perché è un irregolare, perché quella sera s’è dovuto allontanare, mentre i medici rianimavano il signor Cesare, 55 anni, che il suicidio l’aveva tentato già altre volte e dopo essersi impiccato davvero aveva però provato ad attaccarsi disperatamente a un tubo dell’impalcatura per non morire. Senza aiuto non ce l’avrebbe fatta, «pochi secondi e sarebbe morto», hanno detto i medici. Venerdì scorso è uscito dal coma.
«Si tratta di provare a guardare gli uomini, anche questi nuovi italiani, tenendo conto della vita intera», ha scritto l’ Avvenire commentando questa storia. La «vita intera» di Mohamed comprende l’arrivo in Italia da «minore non accompagnato», le comunità e l’inserimento sociale con i programmi del Comune, scuola di mattina e lavoro nel pomeriggio, il diploma da elettricista e un contratto a tempo indeterminato, i soldi mandati a casa e il volontariato alla fondazione Fratelli di San Francesco. Oggi la sua «vita intera» è però attaccata al permesso di soggiorno che non viene rinnovato per quella condanna, anche se «lo scorso 14 luglio ha ottenuto la completa riabilitazione dal Tribunale di sorveglianza», come spiega l’avvocato Roberto Falessi, che lo assiste e insieme all’associazione Sos Racket e Usura ha lanciato un appello a prefetto e questore perché il ragazzo ottenga il rinnovo del documento. La storia di Mohamed è anche riassunta in una relazione della polizia, che dopo una serie di indagini ha tracciato un profilo sicuramente «degno della riabilitazione». L’istinto, quello di salvare un uomo che s’è impiccato, forse non vale punti per ottenere un permesso di soggiorno. Un permesso che invece servirebbe a questo ragazzo. Non solo per il lavoro, ma per non doversi nascondere dopo aver aiutato qualcuno.
Gianni Santucci
18 agosto 2009(ultima modifica: 19 agosto 2009)
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