00 03/11/2010 17:01
Apprezzo il tentativo di discutere di un argomento tanto delicato che ci mette in contatto con un mondo, quello islamico, che si sta avvicinando a noi, ma in maniera troppo anonima. Quanto hai riportato dalla rete, purtroppo deriva da una interpretazione troppo letterale che segue una mentalità occidentale, per capire i dettami di una religione complicata, feroce e stranamente umana allo stesso tempo.
Non sono un esperto di Islam nel vero senso del termine, ma ho vissuto fra i musulmani quanto è bastato per entrare, almeno un po' nella loro mentalità.
Intanto il Corano non andrebbe letto, ma interpretato appunto secondo la loro mentalità. Tuttavia anche fra di loro i risultati sono in antitesi. Le affermazioni contrastanti derivano principalmente dal contesto del discorso specifico che emerge da un argomento. Eppure, sia noi che loro, siamo portati a scegliere una versione a seconda di quanto ci faccia comodo.
In altre parole:
Affermazione 1 "la pena di morte non dovrebbe esistere"
Affermazione 2 "Ma guarda che disgraziato, meriterebbe la morte"
Dunque, io sono pro o contro la pena di morte?
Tutto questo comunque non può tener conto di una difficoltà impossibile da superare totalmente:
Traducendo da una lingua in un'altra, per lo più si sostituiscono in una lingua dei messaggi non a unità distinte, ma a interi messaggi dell'altra lingua. Questa traduzione è una forma di discorso indiretto; il traduttore ricodifica e ritrasmette un messaggio ricevuto da un'altra fonte. Così la traduzione implica due messaggi equivalenti in due codici diversi. La traduzione interlinguistica dall'arabo all'italiano moderno è in fondo il confronto inevitabile di due culture: tale confronto si opera a partire da un testo scritto, inteso come espressione di una certa cultura, e vuole arrivare a un altro testo scritto, che in qualche modo si possa dire equivalente. Il testo del Corano, però, è un testo culturalmente lontano dal pensiero occidentale. «si pone quindi un'osservazione e una domanda: ogni traduzione è (o vorrebbe) essere in qualche misura un sostituto dell'originale, un surrogato. Anche se la cosa può essere vista con rammarico e accettata soltanto come una necessità che si impone, non per questo è meno vera. Ciò significa pure che essa deve sostituire l'originale, tanto da far scomparire anche la distanza cronologica? La prima e fondamentale distanza che una traduzione elimina è quella linguistica in senso stretto: nel nostro caso da un sistema linguistico di filologia semitica arcaica a uno di filologia neolatina contemporanea. Tale distanza non è sempre necessariamente anche cronologica... e non sempre notevole anche dal punto di vista spaziale.
Ma quando spazio e tempo, l'uno o l'altro o entrambi, si inseriscono a qualificare la distanza di un testo, allora siamo quasi sempre nel campo delle diversità di cultura e il problema non è più tanto quello di ciò che si può tradurre, ma quello di decidere, all'interno del "si può, quanto e come si deve o si dovrebbe tradurre".

Quanto sopra solo per dire che, in fatto di Islam, non bisogna credere a quanto si legge, se non si è certi che l'autore del testo non sia uno scribacchino o un sedicente esperto.
La dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, sta nei continui contrasti che esistono fra la nostra cultura e la loro, se ci intendessimo saremmo in pace.
Naturalmente c'è chi nelle incomprensioni ci sguazza, ma questa è un'altra storia.

Scusate la lungaggine e la mancata presentazione, io sono r23775, un nick come un altro che nasconde (chi sa poi perché) il nome di Roberto.