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Lo spettro

Ultimo Aggiornamento: 04/07/2009 08:56
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03/07/2009 17:13
 
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by basettun
Tanti anni fa, in una vecchia casetta scalcinata con le persiane ocra scrostate dal sole, ultima della fila di ruderi che erano sopravvissuti al boom economico del dopoguerra e che allietavano con la loro presenza i pomeriggi afosi e stagnanti della nostra lunga estate, dando asilo ai ragazzini che vi si nascondevano a masturbarsi, viveva un’anziana prostituta che tutti nel rione conoscevamo col nome di Principessa.
Il suo nome era una chiara allegoria del mestiere che svolgeva, riferendosi alla principessa della fiaba che la notte non riusciva a dormire a causa di un pisello sotto il materasso. Principessa la notte dormiva davvero poco, in compenso i “piselli”, sopra il materasso, erano stati tanti e di tutte le taglie.
Gli uomini del quartiere che le avevano regalato la verginità la consideravano ormai come una vecchia amica che ti conosce bene e della quale non ti vergogni, come una mamma che ti ha visto nudo e conosce i tuoi difetti, ma alla quale non bisogna concedere troppa pubblica confidenza.
Principessa, la ricordo come se fosse ieri, quando io avevo dieci anni e cominciavo a frequentare i ruderi maleodoranti in cerca di buio, era già in pensione, ma si diceva che qualche settantenne la frequentasse ancora dopo un buon bicchiere di vino ed un filmetto osé. Passava le sue giornate seduta su una sbilenca sedia a sdraio sferruzzando su infinite coperte di rombi colorati, mostrando le pallide cosce segnate di varici.
Noi ragazzini le giocavamo rumorosamente attorno e lei, come una tranquilla nonnina, ci vezzeggiava, ci ammoniva garbatamente, a volte si fermava a guardarci amorevole ed i suoi occhi stanchi brillavano di lacrime perché pensava al suo figlioletto senza padre abbandonato sulle scale dell’orfanotrofio.
L’estate del ‘66 fu davvero lunga, la calura avvolgeva la città fin dalle prime ore del mattino, nella periferia soffocava sul nascere ogni minimo desiderio di muoversi e la gente, ammalata di pigrizia, poltriva all’ombra dei caseggiati ristorandosi con reminiscenze di dissetanti inverni. La sera, sulle sedie col fondo di corda, gli uomini ciondolavano in equilibrio appoggiati ai torridi muri che emanavano tutto il calore imprigionato durante il giorno e tracannavano enormi boccali di vino allungato col ghiaccio che la minuscola fabbrica sfornava ancora.
Nel cielo degli aranceti bianchi di polvere, milioni di storni disegnavano esili stelle filanti e piogge di coriandoli neri ed annunciavano la prossima fine di quella inconsueta stagione.
Era il ventitré ottobre. I monelli del rione Ceci corsero in piazza sollevando un nugolo di polvere gridando disperati che lì, nell’ultima casa della strada, Principessa era sdraiata a terra e sembrava morta. Il caldo, povera vecchina, l’aveva uccisa e giaceva accanto alla coperta che aveva appena ultimato, che l’avrebbe riparata dal freddo dell’imminente, infinito inverno.

Ciò che segue, in questa storia, potrà apparire frutto della mia fantasia, ma è solo ciò che i grandi mi raccontarono allora e ciò che ancora raccontano i superstiti di questi ultimi decenni di noia.
Si disse che la sua anima vagò per anni in quel rione di periferia, aspettando dietro le porte dell’estremo tribunale senza decidersi a bussare, e che passeggiò sul sagrato della chiesa ascoltando i canti delle messe.
Una sera lo spettro di Principessa si rese visibile al parroco, comparendogli fra le lenzuola del letto e mettendogli in corpo una tale paura che il sacerdote corse terrorizzato per le stradine presentandosi in mutande agli ultimi avventori del bar, i quali lo riaccompagnarono alla sua abitazione convincendolo ch’era stato solo un brutto sogno.
Da quella sera si cominciò a parlare della pazzia di don Gregorio, perché le sue fughe diventarono frequenti. Altri parlarono della presenza di un fantasma, e il fatto che il fantasma fosse proprio quello di Principessa rendeva la storia ancora più misteriosa.
Perché Principessa non riusciva a rassegnarsi alla pace eterna? E perché aveva scelto proprio la casa del parroco per le sue scorrerie?
Questi interrogativi trovarono diverse risposte, ma quella che ebbe maggior credito, perché raccontata dai vecchi che sapevano tutto, riportava indietro di parecchi anni, quando don Gregorio frequentava l’allora giovane Principessa in un paesino della provincia, dove svolgeva il suo mandato ecclesiastico. Quando don Gregorio era stato trasferito in città, la donna l’aveva seguito sistemandosi nel suo stesso rione e continuando ad accoglierlo di nascosto.
I soliti vecchi sapienti dissero che Principessa aveva partorito un figlio di don Gregorio che i due amanti abbandonarono davanti all’orfanotrofio, e che in seguito si diede a svolgere quel triste mestiere per poter sopravvivere.
Non v’era alcun motivo per dubitare di quella versione riportata dai saggi, che quindi fu accolta e tramandata ai posteri.
Nulla di ciò che si diceva arrivò mai alle orecchie di don Gregorio, anche perché, nel frattempo, era diventato sordo come una campana. Ed era ormai talmente “suonato” che non si accorgeva della presenza del suo sagrestano che lo seguiva passo passo e lo sentiva parlare da solo.
- E’ colpa tua, è colpa tua brutta puttana, ora che vuoi, che mi svergogni davanti a tutti i parrocchiani? Il figlio di una putta¬na è soltanto suo. Tienitelo!
Aaaah maledetta! - urlava tirandosi i pochi capelli che gli erano rimasti - Tornatene all’inferno! Ma che vuoi ancora da me?
E corricchiava, affannato, proteggendosi la testa come se un uccello gli svolazzasse sopra e lo beccasse impazzito.
Questa storia andò avanti per parecchi mesi nel chiuso delle mure domestiche adiacenti alla chiesa, carpita dai sensi attenti del pettegolo sagrestano, il quale si prese pure una gran paura la sera che vide le vesti del parroco sollevarsi da sole mentre lui cercava disperato di tenerle giù saltellando ripetutamente.
Finché un giorno don Gregorio prese la decisione di raccontare tutto, per soddisfare le richieste dello spettro che minacciava vendette dall’oltretomba, o perché era ormai giunto all’ultimo stadio della sua follia.
Durante la messa del mattino confessò il suo peccato mortale ai parrocchiani sbalorditi e indignati, decretando la fine della sua sacrilega carriera di religioso.
Così l’ira dello spettro di Principessa sembrò placarsi e con l’arrivo del nuovo parroco tornò la pace tra i fedeli del rione.
Con l’avvento della normalità si ripiombò nella noiosa routine quotidiana e le comari, vecchie e novelle, non avendo altri argo¬menti sui quali spettegolare, ripresero a “tagliare stoffe” e a “cucir vestiti” sulle dirimpettaie assenti, sulle vicine distratte, e a guardare con occhi languidi il nuovo “pastore”, più giovane e bello di don Gregorio, a mostrargli la lingua vogliosa la domenica, imboccando l’ostia trasparente e pallida, smunta di vergogna.
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Post: 36.157
Sesso: Femminile
04/07/2009 08:56
 
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e bravo don gregorio [SM=g11230]






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- Prendi un piatto e tiralo a terra.
- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
- Adesso chiedigli scusa.
- Scusa.
- È tornato come prima?
- No.
- Adesso capisci?



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