tratto da "L'aranceto" - by basettun
Ho cominciato fin da piccolissimo, come tutti, a giocare con la mia fantasia che, all’inizio, si opponeva solamente alla realtà costrittiva. A quel tempo, come tutti i bambini, cercavo di arginare lo strapotere dei genitori che tentavano, con ogni mezzo, di circoscrivere le mie azioni in un ambito facilmente sorvegliabile e provavano, con la loro prepotenza di adulti, ad ammaestrarmi per possedermi; esattamente come si fa con un cagnolino che deve imparare ad ubbidire.
Per raggiungere questo loro obiettivo utilizzavano, come tutti i genitori, anche mezzi di coercizione fisica quali le percosse e la prigionia, abbinate alle torture psicologiche che, anch’esse, producevano risultati educativi sorprendenti, magnificati ed auspicati da tutti i manuali dell’epoca.
I genitori sono il primo esempio di tirannia alla quale si cerca di abituare i piccoli uomini; e dal buon esito di questa primaria istruzione dipende la futura disposizione dei ragazzi a subire le prevaricazioni e gli obblighi che via via, nel corso della vita, saranno loro imposti. E’ proprio per questo che tutti i governi e tutte le organizzazioni religiose indicano la famiglia come mezzo indispensabile per la “sana” crescita degli esseri umani; intendendo, meno subdolamente, che i genitori devono essere i primi carcerieri, o custodi e perciò responsabili, di quei contenitori fisici dentro i quali saranno stivate, successivamente, le ideologie pro-tempore che, per quanto diverse potranno apparire in base all’origine politica, hanno tutte, come estremo obiettivo, l’annullamento della personalità e dell’intraprendenza individuali in favore dell’appagamento dei bisogni e del benessere di una minoranza di privilegiati.
Il bambino percepisce fin dall’inizio il pericolo incombente ma non riesce a liberarsi drasticamente dei genitori-carcerieri perché non ha l’abilità di procurarsi il cibo né di vivere in modo indipendente. Perciò è costretto a subire il regime carcerario all’interno del quale può sopravvivere. Naturalmente adotta tutti i sistemi che conosce e che sperimenta per rendere meno dolorosa la sua condanna che gli appare, col tempo, insopportabile.
Man mano che comincia a pensare ed elaborare piani di evasione, i suoi desideri di libertà entrano in collisione con gl’insegnamenti dei genitori e s’instaura il primitivo senso di colpa che lo accompagnerà per tutta la vita.
Il desiderio di libertà ed ancor più i tentativi d’evasione, lo fanno sentire un figlio indegno ed immorale e a quel punto le strade sono due: o abbandonarsi definitivamente alla vera immoralità dell’imposizione educativa o tentare un mezzo incruento per affrancarsi dalla dittatura primaria.
Io ho seguito la seconda via ed ho continuato ad usare la fantasia per inventare la mia libertà; e nonostante un lungo periodo d’inattività, ho ritrovato, da adulto, la stessa capacità di astrazione che avevo sviluppato da piccolo e che avevo utilizzato durante tutta la mia infanzia per oppormi sia alle oppressioni psichiche dell’educazione, che all’ansia derivante dal fastidioso senso di colpa.
Ho capito, fin da piccolo, che bisogna giocare con la realtà modificandola secondo i propri progetti, i quali devono essere finalizzati al raggiungimento della libertà di pensiero e di azione.
Il gioco dei bambini è proprio questo, non è mai emulazione della realtà ma è un’invenzione di essa, è un modo per far diventare reale l’immaginazione, ed è un vero peccato che la gran parte dei bimbi perda con l’età questa capacità astrattiva.
La fantasia è l’unica arma contro le dittature, quelle palesi e quelle occulte, contro le costrizioni di qualunque tipo, contro la nostra stessa natura mortale che non riusciremo mai ad accettare serenamente perché è ingiusta e crudele. Ed è altrettanto crudele la nostra intelligenza, esagerata ed inutile se abbinata ai bisogni animaleschi dei nostri corpi e alla loro banale esistenza che si conclude inevitabilmente con la morte.
E forse, in questo senso, la fede religiosa è più utile di quanto si pensi se, grazie ad essa, si può sfuggire la conseguenza drammatica della consapevolezza per rifugiarsi nella beata e divina (o semplicemente animalesca?) ignoranza del tutto.
Quando si è bambini non si pensa al gioco come ad un’attività ludica ma lo si considera come un prolungamento della realtà, una sfaccettatura, un complemento di essa, pur attribuendogli possibilità infinitamente vaste, consentite appunto dalla fantasia dell’esecutore che la realtà, per quanto imprevedibile e crudele possa essere, non riesce neanche lontanamente ad imitare.
Io sapevo fin d’allora che quella parte di realtà (il gioco) costituiva una dimensione infinita della mia giornata; al contrario di tutto ciò ch’era reale e che aveva, proprio per questo, un limite preciso, un confine, come la giornata stessa che cominciava con l’igiene del mattino e finiva con l’addormentamento coatto.
Il gioco poteva proseguire nel sonno, esprimendosi coi sogni, ed essere attuato anche quando le costrizioni incombevano e nessuno me lo poteva portare via, come nessuno mi poteva proibire di fantasticare.