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Un racconto di Basettun

Ultimo Aggiornamento: 26/07/2009 21:58
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29/05/2009 20:34
 
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Il tuo paesaggio


Prologo

Per chi pratica il tiro dinamico, il paesaggio è come un esercizio da eseguire, o un teorema da risolvere, o una poesia da capire, magari scritta da quell’ermetico di Ungaretti che ti trafigge il cuore e poi si ferma a guardarti mentre cerchi di rimuovere la lama. Piangi e ti disperi ma non puoi fare altro che continuare a soffrire, pur senza capire perchè ti uccide. Cominci a provarlo in bianco cercando d’interpretare i suoi segreti, e voli da una finestra a una porta a una barricata limitando i tempi e misurando i passi, acceleri sul ritmo incalzante delle note di Coltrane e, giunto alla fine stremato ti volti a cercare le tue orme e la tua ombra che non ti ha ancora raggiunto. Ma era solo una prova e ricominci.

Quando ho visto il tuo paesaggio la prima volta fu come un “surprise” di cui intuivo la disposizione dei bersagli pur senza vederli. I tuoi vestiti pesavano 200 grammi in tutto dato ch’era estate piena e scalpitavano sulle tue curve, come se volessero ribellarsi all’ordine di coprirti. I miei occhi di pittore seguivano la tua danza nel breve esercizio che avevo allestito, la tua smania di muoverti e di provare tutte le posizioni possibili mentre la minigonna a pieghe larghe e la maglietta striminzita faticavano a tenere il tuo ritmo. Gli occhi dell’istruttore invece guardavano solo le tue mani che impugnavano la pistola e non cercavano altro. Quattro occhi su di te, e due idee in conflitto ma entrambe forti e ben salde, il me che fantastica di sollevare il lenzuolo bianco che copre i tuoi fianchi, bianco come la neve e che occulta il campo di grano del tuo corpo, abbagliante, e il me razionale che imprigiona l’istinto.

Bianca, come la neve la tua gonna morbida sulla pelle velata dal sole buono, che ondeggia e salta, si arrotola, s’impiglia e tu non l’aggiusti, s’increspa, si alza, e scopre per caso o per diletto o per beffa o ancora per gioco mentre il mare dentro me lento e violento si contiene.
Lento e violento, il tuo gioco ingenuo e ardito perché sei certa di essere al sicuro. Lento e violento, l’inganno della mia ragione che vuole fartelo credere.
Piegata a guardare l’alfa dubbia, no guarda meglio!, c’è o no?, sicura che i miei occhi ti scrutano li senti e li vuoi, li cerchi e li conservi, ti serviranno la sera prima del sogno.
Il tuo paesaggio è tutto da scoprire, ora che sono ancora vagabondo e so cancellare la geografia per inventarla sul tuo corpo. I sentieri, le vigne, i boschi circondati da strade ma se non mi muovo mi sento perso, naufrago fra le tue gambe e nessun battello all’orizzonte, per fortuna.
Poi la lampada rovente che d’estate si piazza dritta sui corpi e rimane immobile per ore scorticandoli, ci costrinse a cercare un riparo come se piovesse e il tuo paesaggio smise di evaporare consolidandosi all’ombra. Il tuo respiro vicino annunciato da un sospiro di sollievo mi turbò come se avessi aspirato la prima aria del vagito, e fu il momento che il pensiero di te si ricavò una nicchia nei dedali dei miei ricordi. Lo scarto improvviso del tuo seno libero spruzzò un’onda di calore e di profumo che sfuggì dalla camicia a un centimetro della mia bocca e fissò per sempre il fotogramma.
Una serie di colline e di prati che s’inseguono di valle in valle, si aprono quasi infiniti in campi di grano gialli come i tuoi capelli corti e subito si richiudono in boschi vietati e risalgono in fretta fino alla cima increspata e poi ricadono, precipitando nello stagno prima coi riflessi che anticipano il tonfo e intanto che l’acqua si frastaglia il boato mi atterrisce. E viene da qui, dal profondo del cuore che ti ha vista e spogliata mentre eri distratta, un boato eversivo che inonda.

Capitolo 1

Io lo so cosa mancava quel giorno, un venticello alleato che sollevasse i lembi della tua gonna, non il vortice di Marilyn e nemmeno le sue mani che faticano a tenerla giù, ma una brezza insidiosa che t’induce a non curartene, tanto non potrà fare danni, e lei invece s’insinua e ti scopre e tu nemmeno la senti.
Ma c’era il mio di vento, un uragano che voleva prenderti e sollevarti di peso, deporti sul banco a gambe larghe e bloccarti così, non vittima e nemmeno io carnefice ma entrambi complici del caso e dei nostri sensi sfuggiti al controllo.
Ti avrei guardata un minuto tenendoti stretta, negli occhi che non avresti abbassato, e poi con un dito avrei sfiorato le tue labbra socchiuse, piano per ungere l’indice e piano e ancora piano ma tenendoti stretta come in una morsa l’avrei fatto scivolare sul mento, sul collo, nel solco del tuo seno per misurarti il respiro fino a trovare i bottoni automatici. Uno… due… tre…
Quattro… cinque… sei… bellissima così presa e immobile e vorresti che continuassi subito ma c’è una tecnica per ogni cosa e io cerco sempre d’imparare. Qui nessun tempo è morto e non voglio volare dalla finestra alla porta, mi devo fermare e lasciarti elaborare la string che verrà, fartela sognare e desiderare fino quasi a fartela chiedere. La mia mano sul tuo fianco che ti stringe, l’altra che si apre in una carezza dai capelli alla guancia al collo, i lembi della tua camicia slacciati ma che ancora ti coprono e il mio respiro che innesca un ritmo col tuo cuore.
Devo lasciarti così, mentre la brezza lambisce il tuo ventre, sette… otto… nove… e al dieci cominci ad ansimare occhi negli occhi. Adesso ti scopro ma senza guardarti e tu mi senti, spingere alla tua fonte come un tronco divelto appoggiato fra le rocce, fermato solo da ostacoli precari e col fiume che impazza alle sue spalle e ti vorrebbe travolgere.

Capitolo 2

Le pause fra un gesto e l’altro sono come il basso fra la chitarra e il sax, diluite nel ritmo quasi per soffocarlo e invece congiungono strumenti così diversi, la forra di quercioli che precipita ispida dove saltellano i raggi sballottando sulle pietre dall’una all’altra e poi liquidi rullano su zolle brillanti a intermittenza, e l’erba piana accecante che sale con note da tenore fino alla cima più alta e s’interrompe all’ombra di un pino, cade con un salto audace nelle pieghe di radica, scivola, s’impenna, dribbla la siepe, s’infuoca ancora per un attimo e ricade nel fragore delle spighe e pare incantarsi all’infinito fra sibili e bagliori e lamenti e parole bisbigliate, e la mia mano come la luce tremolante ti sfiora.
Non sei mia ma sei qui, quasi nuda a prendere la tua parte di delizia inventata oggi ma covata e accudita per mesi, coltivata come il campo di grano i primi giorni, protetta dai corvi coi nastri colorati che svolazzano, recintata con rovi e spini e nascosta e poi lasciata d’inverno a impigrire sotto la neve, a maturare il pensiero di me che t’aspetto.
Potrei fare tre cose diverse adesso, rimuovere gli ostacoli precari che impediscono al tronco di rotolare attratto nel vortice della corrente, o scoprirti tutta per liberare una luce ancor più accecante del sole, o accogliere l’invito della tua bocca così vicina.
Soffice, il nostro bacio non è aggressivo dapprima, ci sfioriamo le labbra che devono imparare a conoscere il primo contatto e abituarsi al calore, ai ritmi dell’altro, e di nuovo mi perdo questa volta ad occhi chiusi nel gusto di un frutto nuovo che non può avere un sapore conosciuto né somigliare ad alcuno. E’ come l’immersione in uno stagno limpido allo zenit il giorno di mezz’estate e mi assale un brusio prolungato o un frinire ipnotico eccitante che aumenta la sua frequenza fino a diventare un ronzio che m’appartiene.
Tu sei ancora incastonata fra le mie braccia e aggiustata per accogliermi ma devo rifinire il nostro capolavoro, il tuo paesaggio che m’invita ed io che esito per gustare ogni momento perché giunto a metà dei campi non debba voltarmi indietro per chiedermi che sentiero ho percorso e com’era l’avvio e quanti passi ho compiuto per averti.
Ma sono curioso e non so privarmi del brivido fornito dall’ignoto, dai tragitti alternativi conosciuti solo dalle mappe e quasi mai percorsi, forse perché ritenuti ininfluenti per raggiungere l’obiettivo. Al centro della tua schiena, le mie dita scoprono una valle segreta che mi attira e si estende protetta dai fianchi fin sotto la gonna, poi si chiude in due colli ravvicinati che perlustrerò più tardi, dopo averti conosciuta ancora e imparata a memoria.
Il tuo paesaggio non mi respinge e anzi ti sento fremere perché forse tu non hai la mia ansia di frugare ogni centimetro, la mia voglia di segnarti con le dita come se fossero le mie impronte e la prova del cammino, ma anche l’abitudine saggia di lasciare segni che mi sappiano riportare indietro.
Cominci a muoverti e a strusciare sul tronco che preme, sperando che gli ostacoli cedano o che ceda la mia forza di aspettare e che nell’impeto di voluttà che ci assale io possa decidere di concludere il viaggio nella sua destinazione naturale.
Vai piano, ti dico, lasciami giocare.
E mi guardi come se fosse la prima volta che un uomo ti frena.
Devo conoscerti e farmi riconoscere dal tuo corpo-paesaggio ma non solo per un’escursione estemporanea o una gita o un sorvolo che scatti le istantanee da mostrare agli amici, dovrò restarti nell’anima e tu nella mia perché solo così concepisco l’amore. E per farlo ho bisogno di nascere e crescere in te come se ne facessi parte da sempre.
Tu lo sai, e forse la fretta di avermi vuole impedire che il pensiero di me ti prenda per sempre, come le radici dei pini nei boschi oscuri e freddi sul tuo versante boreale, ancorati da tempi remoti, che ti hanno foggiata così come sei. Dovrai chiamarmi per nome e ogni volta associare a quel nome l’evento speciale ch’è stato il nostro incontro e riprovare ogni volta il desiderio che ora mi esprimi, con le mani che cercano un appiglio e le gambe un sostegno e il respiro che diventa un affanno mentre scopro il tuo seno e per la prima volta lo vedo.
Aspetta, lasciami giocare, e mi guardi mentre lo accolgo nei palmi.
E’ un brivido che ti percorre o un flusso di elettroni che ti scuote al contatto delle mie mani annunciato dagli occhi, e più gli occhi ti scrutano quasi come una carezza, ancor di più ti muovi e non sai dove posare le gambe, che cercano il muro che non t’aiuta e il bordo del tavolo che ti sfugge e non sai come fare.
Così aperta per donarmi tutto il bene del mondo e la tua sorgente che mi chiama per dissetarmi ma so impazzire in silenzio, perdermi ancora nei boschi, e scendo piano il crinale, una mano sul tuo seno, l’altra sulla tua bocca per non precipitare e immergo la testa nella valle e scivolo ancora senza chiederti aiuto anche se so che mi farò del male.
Mi scompigli i capelli, è il tuo vento improvviso che ha percorso l’alveo e veloce s’infila fra i cespi e mi spinge sotto la gonna, mi tieni forte e le tue gambe finalmente si quietano sulle mie spalle.

Capitolo 3

So di avere una grande fortuna che s’è insinuata nella mia mente fin da quando ero bambino, il senso che più ho coltivato e che più mi ha dato frutti nel tempo, l’ignoranza perpetua dei piani e delle superfici, delle curve e degli anfratti, delle pieghe, dei fossi, dei colli, l’ignoranza fittizia che rende nuovo ogni atto d’amore e ogni corpo-paesaggio un’avventura inedita. Ci metterò una vita per conoscere il tuo, e ogni volta mi sorprenderà un particolare che mi era sfuggito, come quando nei boschi che frequento da anni scopro un cespuglio o una pietra o una zolla di terra di colore diverso, o un tronco sbiancato e piegato o una fronda di faggio albina soffocata fra i tronchi.
Come questa tua piega che segna obliqua la pelle di velluto, impallidita sotto il nastro degli slip e che scopro adagio per non conoscerla ancora e alimentare il bambino ch’è in me. Piano perché devo giocare, col dito sollevo il tessuto e ne seguo la traccia fin dove mi porta mentre tu hai capito che il mio tempo è più lungo e più grande e diverso dal solito, è un tempo diluito che ti ruba il controllo e concede la calma che serve al piacere.
Se ti guardo vedo il tuo viso rivolto al soffitto e poi ti giri a cercarmi, e ancora ti volti indietro con gli occhi chiusi e m’hai perso, mi ritrovi mentre mi fermo a lambire una piega nuova e la vuoi vedere anche tu per immaginare cosa può avermi attratto. Per te sono un viandante nuovo e curioso come non avresti pensato, che s’incanta negli angoli oscuri a cercare scintille quando il sole lo potrebbe abbagliare, che ti sfiora leggero come un soffio di brezza che allevia l’abulia del calore in un tremito, non già per sedare i tuoi sensi bensì per domare l’ansia di giungere all’apice.
Il tuo paesaggio è infinito e privo di recinti, è una terra mobile che cambia a ogni tuo respiro e ogni volta diverso e sorprendente, sconosciuto ed eccitante e mi ritrovo in una strana estensione che non si può percepire allo sguardo proprio perché dinamico e cangiante.
Ecco il compenso per avere accettato la pena di essere uomo, la tua valle segreta bagnata da un rivolo, dischiusa al mio sguardo e che accolgo in un bacio.

Capitolo 4

Fra sentieri e dirupi e spinati, fra onde di spighe e felci che accerchiano e accecano brillanti sui margini delle pinete ombrose, antiche cattedrali che impediscono il passo coi frammenti di rami caduti, abbattuti dal peso della neve degli ultimi inverni, nel buio delle loro gallerie senza spifferi e coi merli che sfrecciano latranti per incutere il terrore del buio, ho pregato di averti.
Il tuo paesaggio non mi ha concesso nulla di più del silenzio, che invece di respingermi ha spronato il mio ardore e il coraggio di affrontare l’impresa e ora sono qui alla tua fonte mentre mi spingi più forte e poi aggiusti i miei capelli, mi accarezzi e poi ancora ti apri, sospiri, pronunci piano il mio nome e lo dici più spesso come se solo adesso sapessi chi sono, come se solo aprendo la porta mi avessi concesso di amarti.
Le tue labbra fra le mie, piano per far durare di più questo momento e per non violare d’impeto il tuo luogo sacro, a piedi scalzi e senza altra ricchezza che la mia umiltà mi accosto a te come in chiesa a una madonna, labbra nelle labbra, grato al cielo che non mi abbatte ancora e si mostra invece con l’azzurro di Giotto negli affreschi dietro all’altare.
L’ho visto così, dipinto fra gli aghi a ciuffi nei rami alle tue spalle mentre risalivo il grembo, strappavo i clip alla tua gonna fino a sfiorarti il seno coi capelli e l’azzurro irripetibile di quel giorno mi straziava gli occhi, mi entrava nell’anima come una benedizione divina lavando ogni peccato, e mi diceva che puro e umile potevo averti.
L’azzurro si apriva a raggiera nel labirinto di legni e di verdi e di bruni macchiati sbiancati in aloni, ancora chiudeva il suo corso nel muro ma uno spruzzo all’impatto inondava di minuscole gemme l’ostacolo e tutto appariva brillante sfumando i contorni.
Sulla tua pelle scivolavo come planando sul campo di grano sfiorando le spighe e tu mi accoglievi aprendo sentieri fino a farmi trovare i tuoi frutti, offerti alla mia bocca per farmi perdere ancora. Mi stringi forte oggi come allora. E stretto a succhiare i tuoi colli non so più dove sono, s’è ieri o domani, se sogno o davvero t’ho amata e se questa poesia che m’invento è un germoglio che dovrò accudire o un frutto d’amore che potrò conservare.

Capitolo 5

Per me il pensiero è sempre più veloce delle mani e mi devo affrettare per raggiungerlo, a volte lo intravedo occuparsi dell’immediato futuro e trasmettermi le azioni che devo memorizzare nella sua porzione di mente dinamica, altre volte preferisco ignorarlo per dedicarmi ai dettagli che lui invece trascura. E’ un amico che sprona a concludere presto il percorso perché ciò che conta è l’obiettivo finale, e un nemico che vieta gli orgasmi dei sensi separati gli uni dagli altri.
Oggi lo ignoro ma trovo il tuo viso che l’ha già percepito perché lui, più lesto di me, ti ha sorriso e mentre mi aspetti hai già scelto di essere attiva anche tu, e una lunga carezza dal viso al torace fino al prigione costretto nei jeans che duole e urla e ti chiede una mano e tu non la neghi, lenta come hai imparato in questo primo incontro, violenta mi strappi la cintura e più piano dell’alba che sorge ma dirompente come il sole che cade ti godi i cento click della mia cerniera.
La tua impudenza è un fragore assordante che scuote le fronde e i muri assolati, percuote le zolle nei campi e le sbriciola, dissoda i dirupi pietrosi e s’insinua come vento malandrino nelle abetaie seminando il polline rubato sui muschi, porta l’estate nel buio e accende le lampade fioche con nuova energia. La tua audacia inconsueta è un’atomica esplosa negli abissi, che non fa paura perché non ti aspetti catastrofi ma provoca un’onda lunga che consuma le spiagge e allaga gli orti fino a trovartela in casa.
Ti bacio questa volta più ardente, ti mordo, ti succhio le labbra, mi stringi al tuo ventre e la mano, divelto l’ostacolo ruvido, si ferma d’incanto come un torrente nell’ansa e lenta perlustra le rive, accarezza le sponde per trovare un approdo poi trova un varco e mi afferra. Ora è immobile e mi mangi di baci, dinamica sopra e impietrita più in basso che stringi senza muovere un dito il prigione per godere del tatto e la tua mano ch’è piena sussulta.
Potrei stare così per ore nella morsa della tua mano e aspettare che cominci a muoverla piano, ma sembra che tu abbia imparato che fermo e dinamico sono gli estremi dello stesso piacere, o l’hai sempre saputo e continui a contarmi i palpiti come quando li ascolto in punteria col mirino che sobbalza. Dolce, la tua bocca è un preludio del paradiso che stai per donarmi, socchiusa per farmi entrare adagio cede alle mie spinte e scopro il sapore dei frutti di bosco, fragole, lamponi, more, mirtilli, e le sorbe mature, le mele selvatiche, i corbezzoli celati dai muri di rovi e conosciuti solo dai merli, la tua bocca è un giardino da gustare con cura.
Mi guardi e ti chiedi chi sono, cos’ho fatto di bene per indurti ad accogliermi così tanto fino a farmi sentire parte di te, ti chiedi cos’è questa musica che si compone da sola e non conosce spartiti né strumenti ma è così soave e altera, mite e agitata in ritmi simultanei che, non lo sapevi, ma sono parte della stessa forma, dello stesso suono, della stessa vita di ognuno. Lento e dinamico, l’amore come il mare, lento e violento, come il corso degli anni che sconvolge, come questo inizio della nostra storia che non potrà finire domani.

Capitolo 6

Il nostro amore è la tempesta perfetta, l’incontro fra due perturbazioni di senso opposto che si uniscono allo schianto per formarne una di dimensioni gigantesche e senza prospettive di tregua se non alla conclusione del loro vigore. E’ una potenza che il tuo paesaggio conosce e che io navigante affronto con timore ma con l’orgoglio dell’uomo che non può girarsi e fuggire per nascondersi ancora. Adesso ti temo come ho temuto il mondo fuori del grembo di mia madre, ma so che dovrò nascere e che l’azzardo prescinde dalla mia ragione.
Quando la tua mano mi scopre e mi offre alla brezza che scaturisce dal tuo sguardo so che m’hai preso per sempre e il tuo sorriso mi alletta, m’invita nel mistero dei tuoi boschi per svelarmi il segreto della loro bellezza così sensuale e irruente e per mutare, finalmente, un transito errante in amplesso.
Il tronco incagliato sui bordi del salto cigola una nota lampeggiante che illumina a tratti, scolora gli arbusti affacciati che offrono bacche nei canti più cupi scuriti dai fondali terrosi, barbuglia i suoi sforzi per schivare l’attracco e madido arpiona una selce, poi incorna e trapassa l’intrico di sambuchi e ginestre ma un balzo lo priva dell’onda e arcigno si arena sull’alveo.
Tu seduta sul ciglio mi spogli con la mano libera mentre l’altra ancora mi stringe e poi piano correggi la presa e allenti la morsa. Anche il tuo sguardo si appresta all’incontro dei palmi congiunti e le dita come antenne di grillo perlustrano quasi tremanti, sfiorano l’ispido abbrivio, stridono il lucido fronte, scorrono lente sui bordi corrucciati e sui piani assolati fino ai massi rugosi.
Mi dici qualcosa ma intendo solo che ti piaccio mentre mi accosto alla tua porta e, questo sì, lo leggo bene sulle tue labbra che sfumano in zoom contrario e mi soffiano in bocca “si accomodi, prego”.
Ora sei il mare creatura infinita, sospingi con l’onda e riprendi, massaggi, sobbalzi e respingi, afferri e trascini, anneghi per poco e riemergi, deponi sui ciottoli e friggi arretrando fingendo una resa, di nuovo aggredisci coi balzi fra i cubi, gorgogli, sparisci, rastrelli fra i verdi più cupi e ripiombi nel blu. Ti rialzi fra spruzzi di schiuma nei porfidi antichi, ristagni nei fossi, lambisci e tormenti coi ritmi lenti le spiagge e il tuo suono magnetico incanta coi segreti remoti celati agli sguardi.
Mi sveli i misteri più ingenui per accogliermi, scosti le tende alle finestre della prima stanza perché possa guardare e sentirmi accettato, m’inviti ad entrare ed io sulla porta vorrei ancora capire chi sono per te, se il tronco scippato al fondo sabbioso e scagliato nel vortice, sbattuto nelle rapide e adagiato poi esangue sul fondale della laguna o la tessera che manca al mosaico per compiere il capolavoro del tuo paesaggio.

Capitolo 7

Palmo nel palmo a guidare il primo passo dentro di te, le nostre mani unite per sottrarre il tronco all’abulia e condurlo nel mare calmo della tua estate. Vieni, mi dici, sono tua, sono persa, prendi quello che vuoi, come l’onda quieta m’invita nei meriggi assolati di agosto e suadente mi accoglie.
L’armatura deposta ai tuoi piedi fa sfoggio d’astri e di lampi, di allori ingialliti e vetusti splendori, di glorie marziali sature di afrori e crepe ancora sanguinanti avvilite sul confine del nostro incontro dove la tua pace immensa mi prende quasi nudo, non vinto né eroe, non guerriero né paciere, prigioniero dei sensi nella tua gabbia dorata.
Tu sei la donna, il mio rifugio non tanto segreto e sottratto alla sagacia di adulto, al senno e all’inerzia che deriva dagli anni, il bosco ignorato dai savi che alludono a tristi cimenti, la meta per chi come me non cerca null’altro che amore e dolcezza e il prodigio dell’essere uomo compiuto solo se unito al suo contrario nella sintesi delle diversità. Palmo nel palmo a guidare insieme il primo passo dentro di te.
“Insieme”, mi dici, e in questa parola che assume un senso pacato e che sgorga dalle tue labbra come l’acqua offerta all’avversario assetato, leggo il desiderio di entrambi di unirci, nel tuo paesaggio che ora mi accoglie non più come estraneo viandante ma come parte di sé, pur grave sui pascoli teneri dove sento il fragore dell’erba che cresce ma ancor fragile e silente nei vortici delle notti tempestose quando la bufera sferza e congela. “Congiunti”, ti dico, e il rendez-vous dei nostri corpi è compiuto, annunciato da un tuo gemito all’orecchio, quasi un saluto mentre depongo le mie cose sul tavolo del tuo salotto, mi tolgo la giacca come se fossi a casa e comincio a baciarti.
“Si accomodi, prego”, ripeti ancora per gioco e sorridi, sillabi le tue frasi fra un bacio e l’altro, mi sussurri in bocca mentre ti scompiglio i capelli e ti allargo le gambe, poi mi fermo a guardarti e così nuda e presa, luminosa e piena di me che sono immobile da qualche istante per gustare il tuo viso, mi appari di una bellezza impossibile.
Come un fotogramma osceno, tu ed io in posa inerte a prolungare l’attimo d’inizio di un bel gioco e consentire a tutti i sensi di godere quel piacere estremo che la natura vorrebbe negare affrettandoci alla conclusione. Ma il sesso è un gioco alla moviola composto di scene al rallentatore, accelerazioni improvvise e immagini ferme mischiate insieme dalla fantasia dei protagonisti, è un cielo terso senza punti cardinali che senza avviso rannuvola e precipita, rabbuia e avvilisce, folgora e scuote, e all’istante coagula in rosso notturno per minuti infiniti, seda i venti e impaglia le fronde annerite, o sferza violento sui litorali assiderati, strappa e rabbercia, frantuma e incolla le nubi sbattute sull’onda, sfilaccia le creste e asperge le spume, poi quieta e si apre, si tinge d’azzurro e immobile incanta.

Capitolo 8

Piano, come le ore del primo meriggio che faticano a muoversi, la mia mano ti spande di calma dal viso alle gambe, poi lenta si bagna e la guardi che risale sul ventre, sui fianchi ti sfiora e zampetta come un ragno, raggiunge il tuo seno e le dita diventano pinze, ma lievi e leggere come un pizzico sulle corde di una chitarra, e poi ancora sul viso e s’intreccia ai capelli tirandoli appena.
Il tuo viso è dipinto sui rami intrecciati specchiati su spazi che a stento distinguo, piani levigati e tirati a lucido in dimensioni parallele, negli occhi che cercano le ombre e i contrasti e i toni intermedi, nelle orecchie che ascoltano le note bislacche dell’auto che passa e strombazza al di là del muro e il brusio meccanico dell’universo diffuso nel vuoto, un concerto di corde stirate nei bassi.
Luce negli occhi ma sopita o rapita, ammaliata da un piacere disteso nel tempo, legata dalla voluttà simultanea dei sensi che ti blocca e t’induce a subire il mio dolce supplizio, il tuo viso è dipinto con le labbra socchiuse e un sorriso accennato cangiante al sospiro, è un frammento di te che mi ospiti e accogli il mio dono in altro luogo della tua geografia, più segreto e soave che lo sguardo elargito a tutti.
Ma ancora guardi e respiri e nessuno, vedendo ora il tuo viso dipinto separato dal corpo, direbbe che sei colma di me e che aspetti da un attimo all’altro che il tronco arenato nell’alvo riprenda il cammino.
Baciarti e penetrarti insieme è una frenesia sensuale ineguagliabile, ora mi muovo piano per godere della tua stretta, mi rilasci e ti riprendo, non sfuggi, non chiudi la porta, aspetti che decida se voglio rientrare, mi accogli e mi baci, mi saluti se vado ma sei certa che torno. E’ l’inizio del nostro gioco, entrare e uscire sapendo che quando sono dentro mi vuoi e quando sono fuori mi aspetti.
Lo stagno ch’era calmo e quasi immobile si arriccia di brezza e stravolge i riflessi, li disgrega in tratti di lapis contorti e pennellate intrepide ustionate dai lampi di luce, allunga le ombre e le sfilaccia, ne smembra i confini e li disperde sugli argini dove i gigli che si specchiavano si ritraggono lambiti dall’onda. Il tronco è perduto nella corrente alternata dell’ansa, spinge avanti e si arena, ritorna a filo d’acqua sospinto dal reflusso e tampona le rocce, rimbalza sommerso, riemerge brillante, di nuovo s’infila negli antri erbosi del ciglio e cigola, stride sul dosso di ghiaia e lo incide a sua forma, lo apre, lo sbercia, lo coglie d’impeto e scompare nel fosso. Affiora e s’immerge in un ritmo lento che inebria.
Tu mi guardi e sei certa di avermi già conosciuto, perché il ricordo s’affaccia a momenti negli occhi e nel tatto o è solo un file della tua fantasia che mi ha inventato già da tempo e nascosto alla tua vista reale, sistemato in un canto, come un filmato perfetto che temevi non avresti vissuto ma che sogni di notte quando la mano scivola sotto il lenzuolo e ti trova bagnata. E’ per questo che guardi stupita i miei gesti come se fossero le tue fantasie rivelate e ancora ti chiedi s’è vero che le tue gambe incollate, rinchiuse e forzate in geometria parallela, ora divergono allegre e senza timore di sciagure m’invitano.

Capitolo 9

Silente nelle pinete mute e ombroso nelle forre oscure, lento come una foglia di pioppo ceduta allo zefiro che oscilla e svolazza e mostra i suoi piani a comando del vento, ora è gialla e brillante, ora è ruggine e velata di rosso, ora è gemma planata su spini. Inerte fra i tordi che zirlano fra i rami contorti d’ulivo e mi schivano sfrecciando, fra sciami di zigoli che migrano da una corteccia all’altra e mi credono un tronco, ora sono un frammento di questo paesaggio, senza altro pregio che la mia devozione.
M’inchino alle fronde che sbarrano il passo e le aggiro, mi fermo se un trillo m’avverte che il nido riluce di piccole vite appena schiuse all’alba del mondo, se il canto delle cicale zittisce al fruscio dei miei passi e aspetto che l’odore di uomo svanisca nell’aria. Ora sono un’ombra acquattata fra felci, un cespuglio con gli occhi assetati di meraviglia e le orecchie colme del silenzio e della vita frenetica dei boschi, commosso per questo magico istante mentre la garza di brina sui faggi s’indora e poi brilla rossastra colpita dal lume infuocato che s’alza. Spettacolo enorme, il giorno che sorge ai bordi del faggeto e irrompe nella quiete ancora notturna.
La volpe balbetta i suoi passi tra i fossi, inquieta e guardinga mi annusa e non mi riconosce, mi crede un sacchetto d’immondizia annodato gettato dai villeggianti, mi squadra, respira la nebbia del gelo ch’evapora, poi vede i miei occhi e fa un salto, si ferma, mi annusa di nuovo, accenna una fuga ma indecisa si gira per chiedersi ancora chi sono.
Il tuo fianco è lambito da una sfera di sole che fluttua e tinge radente ad ogni mia spinta, la guardo che illumina a tratti soave come una carezza, ti sfiora, si adatta alle tue curve come la mano ingenua di uno spettatore occulto, lieve ti sposto per farla arrivare come un palmo sul seno e tu guardi il mio sorriso, lo segui e trovi quel gioco alternato di luce che ti stringe a momenti e poi scivola.
Il vezzo del sole mi coinvolge e unisco la mia mano in un pizzico all’apice del colle, un pizzico frivolo che prelude a una dedizione insolita e tu lo intuisci e rispondi all’istante, interpreti il guizzo di eros che mi leggi negli occhi ancor prima che le corde sfiorate diffondano un suono percettibile ma già sei vittima delle vibrazioni diffuse e immagini la melodia che ne deriva. Ascolti ad occhi chiusi il ritmo lento che t’insinua e quello più ardito e suadente che tormenta il tuo seno, ti accarezza, ti strizza, ti bagna e ti spreme, ti munge alternando delizia e dolore.
Poi mi guardi e sorridi, aspetti l’agguato dei denti sferrato senza avviso, sussulti, palpiti quando il morso si allenta e il tuo seno subisce il risucchio, lo schiocco, la lingua che placa e ti scioglie, la senti e la vedi lambire per lenire lo strazio e prometterne un altro.
La bocca è un vulcano o uno stagno, ardente e placida ti cerca e l’accogli inquieta finché la sua turbolenza ti accende, mi prendi la nuca e t’incolli, bocca con bocca, il tuo bacio è vorace mentre afferri il mio sesso e lo guidi, lo tiri, lo spingi, lo stringi e ti scivola in mano, come il tronco sobbalza sui muschi e s’infila.
Ora muovi i tuoi colli, me li offri alternati e mi spingi a cercarli, ora questo, poi l’altro, mordi, mi dici, succhia, mi preghi, e intanto strattoni i miei fianchi e il tavolo scricchiola e si sposta di colpo in colpo. Muoviti, adesso, fai ciò che vuoi, e i tuoi piedi che cercavano appigli trovano il muro vicino abbastanza per farne un supporto, con uno gesto veloce ti sfili le scarpe, pianti i tuoi palmi e sollevi il bacino, ti fermi un attimo così a mezz’aria per prendere fiato e cominci a danzare.
Prima lenta, ad occhi chiusi, ondeggi e sospiri mentre reggo la sponda che cigola, disegni cerchi e rette parallele, spingi e ti accosti, sussulti in scarti rapidi che fanno impazzire. Poi ti ricordi di me, apri gli occhi e bisbigli un sorriso d’amore ma che amore adesso non teme giacché i sensi riuniti ora suonano in coro e nulla, sia gioia o dolore che possa inquietare un idillio d’ingegno, potrà mai perturbare un amplesso.

Capitolo 10

Ancora si può guardare scollarsi dall’orizzonte e a fatica sfilacciare la bruma, accendere i grumi azotati dei campi, frantumare i contorni notturni delle zolle e asciugare le nebbie a ponente, il faro che comanda il risveglio e invade l’atmosfera del tuo paesaggio sembra fermo nel cielo basso o procede a guizzi fra i cirri.
Sono parte e motore di questo inizio perpetuo, accecato all’avvio e di nuovo condotto su strade che sembrano insolite o sono freschi i miei occhi, azzerati dei file che già ieri apparivano inediti ma già vecchi e consunti la sera, ora vedo un paesaggio rinato su ruderi e antiche radici, rifiorito d’incanto ed offerto alla mia ingenuità rinnovata.
A balzi fra nubi striate che incendiano lumi filanti e fra i rami del pruno ingabbiato saltella di legno in legno, di sbarra in sbarra, per liberarsi dell’intrico e sgusciare fiotti di luce in ogni finestra, slegati gli uni dagli altri, segati e ricuciti prima di compiere il tuffo su di me. Un maglio di vita così forte da trapassare il mio corpo, sferrato ogni giorno all’alba ed io sono pronto a riceverlo e grato di poterlo ancora assorbire.
Tu mi guardi e sorridi, ti appendi al mio collo e mi agguanti serrandomi le gambe in vita e ti porto così, unita e avvinghiata a guardare il sole che sorge e infiamma e benedice la congiunzione dei nostri corpi.
Fermi così, aspettando che la luce divina possa indicarci un approdo che le sia ben visibile.

Epilogo

Come vado? Mi chiedi.
Devi ancora imparare. Rispondo, e i tuoi occhi che incontrano i miei sobbalzano trafitti quando leggono in pochi secondi tutte le pagine del tuo paesaggio, non so frenarle e non vorrei nemmeno. Come gli spruzzi di calore e di profumo sfuggiti dalla tua camicia sbottonata mi hanno sedotto, così le mie fantasie lascive che percepisci hanno colto il tuo bersaglio e azzerato le insidie incontrandosi a mezz’aria.
Sono parte umile e intima di te, adesso, ti sfioro i capelli e la tua mano mi regala una carezza sulla guancia, mi aggiusta la basetta dell’amore, quella sinistra, e accenna un gancio da box sulla basetta della guerra, quella destra.
Ti aggrappi e di slancio ti siedi sul tavolo, mi guardi e sorridi e il tuo viso radioso mi appare come il sole appena incendiato a un metro dall’orizzonte, che ancora deve scalare la vetta dello zenit un passo alla volta e ad ogni passo inventare la vita di un giorno del tuo-nostro paesaggio.
E quanto ci metterò? Mi chiedi ancora.
Più che puoi, Gabriella, anche tutta la vita.
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Post: 36.157
Sesso: Femminile
29/05/2009 20:52
 
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mi sono fermata al primo capitolo
lo leggero' con calma
sei tu l'autore?






---------------------------------------------
- Prendi un piatto e tiralo a terra.
- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
- Adesso chiedigli scusa.
- Scusa.
- È tornato come prima?
- No.
- Adesso capisci?



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29/05/2009 22:21
 
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Re:
rosarossa79, 29/05/2009 20.52:

mi sono fermata al primo capitolo
lo leggero' con calma
sei tu l'autore?


Ciao rosarossa, scusa se non mi sono presentato prima. Sì, l'autore di questo racconto sono io, l'ho scritto "a braccio" sul forum che amministro (poligono pentimele), ispirato da una mia allieva che adesso è una mia cara amica. Forse ti sembrerà strano perché sono un istruttore di tiro dinamico, ma devi sapere che sono un pittore, mi piace scrivere racconti e il tiro dinamico è la mia passione sportiva da più di vent'anni.
Quando ho trovato il vostro forum con la sezione dedicata ai racconti, ho pensato che poteva piacervi. Spero che sia così.
A presto.

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Post: 36.157
Sesso: Femminile
30/05/2009 09:35
 
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e' cosi infatti
ci piace
quindi puoi usare lo spazio ogni volta che vuoi [SM=g8422]






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- Prendi un piatto e tiralo a terra.
- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
- Adesso chiedigli scusa.
- Scusa.
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- No.
- Adesso capisci?



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01/06/2009 11:35
 
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Concordo con Roas.. davvero entusiamsnate .. e puoi scrivere qui quando vuoi .. ci fa piacere leggerti...
Mi sono dovuta fermare al primo capitolo anche io mannggia pure..
non soo nel luogo adatta per poterla leggere...
Complimenti .. [SM=g9538]






Vieni e iscriviti al nostro concorso. Ti aspettiamo!!

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Post: 36.157
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03/06/2009 10:44
 
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bella questa parte



Palmo nel palmo a guidare il primo passo dentro di te, le nostre mani unite per sottrarre il tronco all’abulia e condurlo nel mare calmo della tua estate. Vieni, mi dici, sono tua, sono persa, prendi quello che vuoi, come l’onda quieta m’invita nei meriggi assolati di agosto e suadente mi accoglie.











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- Prendi un piatto e tiralo a terra.
- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
- Adesso chiedigli scusa.
- Scusa.
- È tornato come prima?
- No.
- Adesso capisci?



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Sesso: Femminile
07/06/2009 23:03
 
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Scrivi bene, la varietà di parole e immagini che usi sembrano tradurre la complessità e la magia di emozioni che nascono da un Incontro autentico con l'altro. Alcune frasi mi hanno colpita per la loro profondità. Una cosa sola..forse è una domanda un pò impertinente: è una storia fedele a un'esperienza vissuta? La mia sensazione è che tu abbia immaginato l'incontro e messo dentro emozioni comunque vissute in circostanze diverse.. perchè mi arriva a metà..

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Post: 5.336
Città: ROMA
Età: 44
Sesso: Femminile
08/06/2009 11:22
 
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Bella tutta....






Vieni e iscriviti al nostro concorso. Ti aspettiamo!!

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08/06/2009 19:01
 
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Re:
_Mamu_, 07/06/2009 23.03:

Scrivi bene, la varietà di parole e immagini che usi sembrano tradurre la complessità e la magia di emozioni che nascono da un Incontro autentico con l'altro. Alcune frasi mi hanno colpita per la loro profondità. Una cosa sola..forse è una domanda un pò impertinente: è una storia fedele a un'esperienza vissuta? La mia sensazione è che tu abbia immaginato l'incontro e messo dentro emozioni comunque vissute in circostanze diverse.. perchè mi arriva a metà..



Sì, è vero, ho volato con la fantasia e messo insieme esperienze vissute in momenti diversi, perciò è bello scrivere, ti puoi permettere tutto. Ma Gabriella esiste davvero, è stata una mia allieva ma da qualche anno lavora troppo lontano e ci vediamo raramente. Il racconto è nato per caso sul forum che amministro, ho chiesto a Gabri se voleva giocare con me per descrivere il suo paesaggio, lei mi ha fatto questo regalo e ne è nato un bel racconto. Mi ha sempre consentito di continuare e non mi ha mai censurato, anzi mi ha incitato a continuare ed ora siamo più amici di prima. Grazie Gabri.

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Post: 36.157
Sesso: Femminile
11/06/2009 10:23
 
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vedo che ci legge spesso






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- Fatto.
- Si è rotto?
- Si.
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- Scusa.
- È tornato come prima?
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- Adesso capisci?



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11/06/2009 17:08
 
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chi mi ama mi segue
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Post: 36.157
Sesso: Femminile
11/06/2009 17:10
 
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....ci piacerebbe non solo leggesse
ma ve bene [SM=g8422]






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- Si.
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14/06/2009 18:44
 
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Penso che fra un po' la vedremo insieme a noi.
Vieni Gabri, ti aspetto come sempre.
[SM=g9524]
26/07/2009 17:56
 
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Si coglie in questo racconto la conoscenza e la coscienza di una UNITA': un mondo dove la natura, la vita, l'interiorità, il desiderio, il sentimento, il mistero, l'incontro, il legame sono contemporaneamente CENTRO, CERCHIO e SFERA dell' UOMO.
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Post: 2.491
Città: SIRACUSA
Età: 41
Sesso: Femminile
26/07/2009 19:08
 
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Concordo pienamente con Roger..
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26/07/2009 21:58
 
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Grazie roger, grazie Manu, avete colto il senso vero di questo racconto, l'incontro fra l'essere umano, con tutte le sue debolezze e i suoi difetti e la natura che rappresenta forse la perfezione assoluta, o almeno l'unico sogno in cui ci è consentito di vagare e di soffermarci, di scegliere o di capire se siamo solo viandanti o se possiamo farne parte. E' certo un incontro d'amore che il protagonista sublima nell'unica forma che conosce, l'unione fra un uomo e una donna.
Grazie per la vostra sensibilità.
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