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Le spose bambine

Ultimo Aggiornamento: 09/11/2009 13:30
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Città: ROMA
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09/11/2009 11:27
 
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Le spose bambine islamiche sono 60 milioni e hanno meno di 13 anni


P.S. è un pò lungo, avevo pensato di "accorciare", ma è meglio che lo leggiate così.

I 20 paesi in cui i matrimoni di minorenni più diffusi sono: il Niger è al primo posto, seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia. La “Top 20” è basata su questionari standardizzati che non sono però disponibili per tutti i paesi. Resta fuori dalle statistiche, ad esempio, gran parte del Medio Oriente.

Purtroppo si succede, nello Yemen una bambina di otto anni si è presentata da sola in tribunale dicendo di essere stata costretta dal padre a sposare un uomo trentenne che l’aveva picchiata e forzata ad avere rapporti sessuali. Il marito è sempre un uomo molto più anziano, mai incontrato prima, spesso un parente.

Queste bambine non potranno mai studiare né guadagnare lavorando, sebbene lavoreranno tutta la vita come bestie. Il loro ciclo di povertà non s’interromperà mai. L’attività sessuale precoce cui sono obbligate, le gravidanze e i parti procurano loro danni terribili, oltre a contagi d’ogni genere. Una volta malate vengono emarginate dai propri mariti e dalle comunità; la dottoressa Nawal Nour, direttrice del Centro per la salute delle donne africane, a Boston, spiega che due milioni di ragazzine sono affette da fistole vescico-vaginali o retto-vaginali in seguito a lacerazioni prodotte dal feto. Ciò le rende incontinenti per il resto della loro vita, e il loro odore di urina è talmente forte che dalla loro gente vengono ghettizzate, scansate, abbandonate sole. Secondo l’Agenzia Onu per la popolazione (Unfpa), la morte di parto è cinque volte più probabile per le bambine sotto i 15 anni, e quella del feto è maggiore del 73%.

La regista yemenita Khadija Al Salami è la responsabile culturale dell’ambasciata dello Yemen a Parigi; suo è il documentario Amina, vincitore dell’Horcynus Festival di Messina, in cui si racconta la storia di una bimba di 11 anni costretta al matrimonio, e condannata a morte a 15 con l’accusa d’aver strangolato il marito. Oggi Amina ha 26 anni e Khadija Al Salami è riuscita a farla assolvere. La stessa Khadija era stata obbligata a sposarsi a 11 anni e a subire gli stupri del marito, come ha scritto nella sua biografia Piangi, regina di Saba. «Sposata a 11 anni, avrei voluto uccidere tutti, – racconta – non solo mio marito, tutti, anche me stessa. Di Amina volevo raccontare la sua versione della storia. Poi ho scoperto che non era lei l’assassina. Il cugino del marito è stato giudicato colpevole e punito con la morte».

Alla domanda se i matrimoni di minori sono comuni oggi come un tempo in Yemen, la signora Khadija risponde: «Pensavo che ai miei tempi accadesse di più, che le cose fossero cambiate. Ma negli ultimi mesi mi sono resa conto che ci sono molti casi. Dopo il caso di Nojoud, la bambina che ha chiesto il divorzio in tribunale, altre tre ragazze hanno raccontato la loro esperienza. Forse è più raro nelle città, ma nelle campagne è una pratica diffusa». A causa dell’ignoranza e della povertà le madri non si oppongono; esse stesse erano spose bambine. «Quando vennero a chiedere la mia mano, mia mamma non si oppose. Una donna nasce per essere seppellita o sposata, diceva mia nonna».

A fronte di tutto ciò abbiamo, da un lato, l’intervista dell’ambasciatore saudita in Gran Bretagna, Ghazi Al-Qusaibi, che dichiara: «Flagellazione, lapidazione e amputazioni sono, agli occhi musulmani, il nocciolo della fede», e «la cultura occidentale è ridicola, è una cultura perversa e inferiore».

Dall’altro lato, abbiamo una serie infinta di fatwa di condanna da parte di eminenti religiosi islamici d’ogni Stato contro qualsiasi attricetta, scrittore o vignettista satirico; verso le barzellette i sacerdoti musulmani sono molto attenti. Però da nessuna parte nel mondo islamico si è mai levata chiara, forte e continua alcuna voce di condanna contro le crudeltà primitive di cui è permeata certa cultura musulmana. Né negli Stati islamici né in quelli occidentali, né fra autorevoli mullah in terra d’Africa né fra i predicatori nelle moschee occidentali. Un silenzio di tomba, un silenzio che smaschera l’assenza d’ogni valore religioso e umano di certe tradizioni spacciate per coraniche, e ne svela l’unico carattere: il peggior maschilismo retrogrado e oscurantista chiamato a proteggere il potere maschile delle società musulmane.

Noi occidentali abbiamo pagato sulla nostra pelle per secoli la ricerca della verità e della giustizia, della libertà e della ragione; per millenni ci siamo massacrati, bruciati sui roghi e asfissiati coi gas, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Alla fine ora abbiamo nel Dna almeno una consapevolezza: che tutti gli uomini sono liberi e uguali. Da ciò devono discendere i nostri principi di tolleranza e di carità. Fino a che il mondo islamico non denuncerà i propri mostri come noi denunciamo i nostri, ma continuerà a sponsorizzare arcaiche violenze e sopraffazioni; fino a che non verrà alla luce quell’Islam razionale e caritatevole pronto ogni giorno a gridare e sfidare l’ingiustizia nascosta nei propri intestini, non ci potrà essere altro che conflitto fra le nostre culture. Aspettiamo il coraggio dei fratelli musulmani illuminati, uomini e donne. Nessuna religione può essere tale se non predica l’amore: noi occidentali dopo duemila anni lo abbiamo capito. A quando l’Islam?

Da: L'Occidentale.






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09/11/2009 13:30
 
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